Il 16 dicembre 2016 Paolo Prodi ci ha lasciati. Nonostante la malattia che lo ha tormentato a lungo e di cui quasi non si lamentava, ha lavorato fino all’ultimo. Ha pensato e ragionato di questo mondo complesso e in sofferta trasformazione, rimarcando nei fatti quanto il lavoro di un intellettuale debba essere, innanzitutto, pensiero sul mondo
[...]«Fra tutte le sciagure subite fino ad oggi dall’umanità le grandi epidemie hanno lasciato di sé un ricordo singolarmente vivo».
[...]Pensavo fosse clausura, invece era un’orgia. Dietro le mura dei conventi domestici in cui il virus ci ha rinchiusi non abbiamo vissuto settimane di astinenza e castità culturale. Ci ha raggiunto, nell’isolamento, l’imprevisto ma travolgente assalto di un seduttore immateriale
[...]Mi sono messo a collezionare scene di resa. La letteratura è piena di eroi vittoriosi, di stoiche resistenze. Alla fine della resistenza non è detto che si vinca, ma intanto si resiste, e questi atti di abnegazione e coraggio finiscono nelle antologie scolastiche
[...]«Tutto ciò che succede nel mondo mi riguarda». Una frase presuntuosa e folle, che solo chi è davvero avido di conoscere può azzardarsi a scrivere. Ma che quasi nessuno può provare a mettere in pratica.
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