Paola Cortellesi ha fatto molto più di un film. Ci ha dato un’occasione per parlare. Cosa che il cinema italiano non faceva da tempo e di cui sembrava aver perso la formula. C’è ancora domani ha coinvolto nella discussione i cinefili e chi va al cinema una volta l’anno, i parenti e i colleghi, le persone che condividono gusti e visioni e quelle che si sentono solo a Natale o durante Sanremo. Il valore di questo film, in misura non unica ma fondamentale, sta nelle parole che ognuno di noi ha usato per renderlo proprio e condividerlo con gli altri, in quelle frasi fatte che contengono argomenti significativi per avvicinarlo. Eccone dieci.
1. “Il cinema italiano non esiste più”. Quand’è che un film diventa italiano? Quando ne parliamo e lo usiamo. Certo, c’è lo ius sanguinis, le quote di produzione e i parametri ministeriali per il riconoscimento della nazionalità italiana e dei benefici di legge. Ma poi c’è anche lo ius scholae, la formazione entro una comunità di interesse che si appropria del film. C’è ancora domani è in questo senso il primo film nazionale dalla fine della pandemia. Cortellesi ottiene al suo esordio da regista una legittimazione che altri suoi predecessori (vedi Zalone) avevano guadagnato molto più gradualmente, grazie anche al tema e alla veste visiva grave, che temperano la struttura narrativa e la freschezza performativa della commedia. Il più acuto storico del neorealismo, Alberto Farassino, aveva individuato nella capacità congiunta di rappresentare il Paese (nei due sensi: pittorico e diplomatico) il carattere definitivo del neorealismo. E infatti, puntuale, il neorealismo è stato convocato anche per C’è ancora domani.
2. “Il neorealismo? Ancora?”. È neorealista? A stretto rigore storico la questione non è ricevibile. Però storia e filologia qui non c’entrano: il punto non è capire se il film è neorealista, ma comprendere perché vuole sembrarlo e perché ne parliamo in questi termini. Ci sono vari livelli. C’è una superficie visiva e narrativa in cui la check-list del neorealismo dell’obbligo è più o meno rispettata. L’ambientazione post-bellica, popolare e romana, il bianco e nero, l’amalgama tra attori professionisti e non. A voler essere pignoli C’è ancora domani richiama il neorealismo fertile e compromesso con i generi, più che quello “maggiore” di Rossellini e De Sica: i pescecani arricchiti di Abbasso la miseria, il meccanico riccioluto di Catene, la corrispondenza misteriosa e la solidarietà femminile di Due lettere anonime. A ben guardare, però, da quel prontuario ci sono deviazioni sintomatiche. La folla femminile è ordinata, composta e soprattutto costruttiva, sia quando fa la fila per la pasta sia quando va a votare, ben lontana dalla turba da disciplinare di film come L’onorevole Angelina e Bellissima.
Manca quasi del tutto il desiderio, che è uno degli aspetti più difficili da processare del cinema del dopoguerra e, sebbene si sia parlato di Magnani, la Delia di Cortellesi è una donna definita soprattutto dal ruolo di madre e cittadina. L’aspetto più interessante poi è che, usando il neorealismo come mezzo e repertorio, Cortellesi e produzione ottengono un prodotto visivamente allineato con una certa tendenza arcaizzante del cinema d’essai internazionale, che negli ultimi anni ha recuperato, senza sovraccaricarli di patine intellettualistiche, stilemi come il bianco e nero (Roma di Cuarón, i film di Pawlikowski) e lo schermo “stretto” non panoramico (Godland, Le otto montagne, EO). Italiano e proiettato (proiettabile) all’estero. In questo sì, effettivamente è un po’ neorealista, ma non nel senso che ci si aspetterebbe.
3. “Lo Stato deve sostenere questo cinema”. Lo spettro del neorealismo come cinema nazionale ne evoca un altro, quello dell’intervento statale. Qui si innesta una polemica tanto avvilente quanto emblematica, per fortuna durata assai poco: quella sul finanziamento pubblico al film. La querelle è partita dopo la pubblicazione di un estratto del verbale (peraltro già pubblico) in cui la commissione ministeriale incaricata di assegnare contributi diretti alla “Produzione di opere cinematografiche di lungometraggio di particolare qualità artistica e film difficili con risorse finanziarie modeste” aveva escluso C’è ancora domani dal beneficio. Inutile spiegare quanto sia delicato e fallibile il finanziamento pubblico della cultura, superfluo elencare i motivi tecnici per cui il film non poteva accedere a quel preciso contributo. È un tic culturale profondamente italiano, che accomuna ministri di destra e di sinistra: se il film è importante allora è necessario che lo Stato lo finanzi. Se ha un valore culturale, deve essere declinazione anche di un valore istituzionale. Non conta il merito, conta la paura delle classi creative che il valore del film si costruisca altrove, nel contatto con chi lo guarda.
4. “Il cinema italiano non ha più il suo pubblico”. C’è ancora domani è uscito in sala il 26 ottobre, dopo l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma, ottenendo un decoroso secondo posto dietro l’horror Saw X. Sabato 28 ottobre va al primo posto, che non ha più lasciato, salvo una breve parentesi a Ognissanti. A oggi [11 dicembre] il film ha incassato secondo le rilevazioni ufficiali quasi 30 milioni di euro ed è il primo incasso sul mercato italiano della stagione, che inizia il 1° agosto. Sono numeri clamorosi già in termini assoluti, ma ancora di più se visti in prospettiva. Di fatto, per un mese, C’è ancora domani ha contribuito, come aveva fatto Barbie in estate, a riportare gli incassi dei cinema italiani ben oltre la media dei tre anni pre-pandemici (nel 2022 il calo rispetto al 2019 è stato di quasi il 50%).
Sarebbe interessante sapere chi sono gli oltre 4 milioni di spettatori e spettatrici che lo hanno visto, e perché lo hanno visto, ma un dato interessante già lo abbiamo: il film ha una media biglietto più bassa rispetto agli altri successi dell’anno. Chi ha visto C’è ancora domani ha speso in media 6,8 euro a biglietto, contro i 7,4 di Oppenheimer. Questo conferma l’impressione empirica di un film che è andato oltre il solito consumo urbano per arrivare in profondità, dove il cinema costa meno: in provincia, al Sud, nelle visioni successive alla prima, tra un pubblico adulto che sembrava scomparso con la pandemia. È difficile capire se questo pubblico resisterà all’evento e tornerà a dare credito a un cinema che lo ha deluso troppe volte, ma di sicuro esiste e in questa occasione si è mosso.
Come accade al cinema davvero popolare, C’è ancora domani ha messo sostanzialmente d’accordo chi scrive di cinema e chi paga il biglietto
5. “I film che piacciono al pubblico non piacciono mai alla critica”. Come accade al cinema davvero popolare, C’è ancora domani ha messo sostanzialmente d’accordo chi scrive di cinema e chi paga il biglietto. Al di là di qualche reazione sdegnata di posizionamento, l’esordio di Cortellesi è stato accolto con benevolenza, e soprattutto discusso con serietà dalla critica italiana. Le recensioni dei quotidiani principali e dei siti specializzati sono di fatto allineate. La critica non è stata vittima del ricatto del contenuto e le scelte di regia di Cortellesi, dall’anacronismo della colonna sonora alla composizione di quadri e movimenti di macchina che creano la tensione continua tra la subalternità della protagonista e il suo vitalismo, sono state discusse con attenzione analoga a quella riservata ai temi del film. Il significato, quando il film ne ha uno e riguarda una comunità reale di spettatori, torna al centro dei discorsi. Dal sito ultracinefilo spietati.it, che ragiona sul senso contraddittorio della Storia, al blog di Clio Zammatteo, meglio nota come ClioMakeUp, che analizza il valore narrativo del rossetto nel film, è curioso vedere come soggetti che non potrebbero essere più distanti abbiano avuto lo stesso bisogno di esplorare il significato di questo oggetto e renderlo presente agli altri.
6. “È un film che bisognerebbe mostrare nelle scuole!”. Un altro tic discorsivo frequente – legato ai temi del film, al suo finale almeno inizialmente a sorpresa, o da intendersi come ulteriore forma di validazione del successo ottenuto – ha portato molti a chiedere a gran voce di trasformare C’è ancora domani in attività extracurricolare scolastica, dall’indubbio valore culturale, sociale e civile, o persino in materia di insegnamento obbligatorio, ad affiancare (o a sostituire) una storia contemporanea che fatica a superare la Seconda guerra mondiale e un’educazione civica dai contorni sfuggenti. È stato quasi un riflesso condizionato. Ma se c’è un elemento di indubbia forza che emerge dai dati e dai discorsi intorno al film, questo è proprio l’aver portato al cinema un pubblico desideroso ed entusiasta a prescindere da qualsiasi obbligo, senza ricorrere al ricatto del titolo importante e necessario, in modo libero da qualsivoglia impegno. Un fenomeno nato e cresciuto nel passaparola ben di più che negli spostamenti forzati in sala degli studenti. E che nella volontaria decisione di spendere così il tempo libero trova il suo significato, il suo valore, il suo impatto vero.
7. “Il cinema italiano non si sa promuovere”. C’è ancora domani si è distinto da molti altri film italiani anche per il modo in cui ha abbracciato la promozione, intesa non come male necessario ma come tassello cruciale per accompagnare l’incontro con il pubblico. Con l’anteprima alla Festa di Roma, con i numerosi saluti e incontri nelle sale di tutto il Paese, e anche e soprattutto con un uso accorto e creativo della televisione. Già la rituale intervista a Che tempo che fa nella domenica precedente all’uscita è riuscita nell’insolita impresa di non dire alcunché sul colpo di scena finale.
Ma è stato soprattutto dopo il secondo weekend, con il film in sala che già si stava svelando come un piccolo caso, che Paola Cortellesi si è messa pienamente in gioco: tornando sul luogo del delitto di GialappaShow nei panni di una regista affermata che pretende di fare nel programma “un approfondimento culturale”, per poi tornare ai suoi vecchi personaggi; affiancando Fiorello a Viva Rai 2 con un numero di varietà, con metà dello schermo a richiamare il bianco e nero del film; o ancora cantando una canzone presente in un momento cruciale del film, A bocca chiusa, a Propaganda Live per poi trovarne a sorpresa l’autore, Daniele Silvestri, nascosto tra la band e pronto al duetto. A colpire sono i tempi, più lenti e lunghi del solito (e chissà se era tutto già previsto in origine…), la volontà di sporcarsi le mani fino in fondo, la scelta degli spazi più importanti e significativi, le idee capaci poi di rimbalzare online, la decisione di parlare a un pubblico ampio, trasversale, largo. Anche mettendo a frutto la storia e il capitale di credibilità che Cortellesi è stata capace di costruire nel tempo.
Il successo di C’è ancora domani è l’ennesima conferma di un lavoro attoriale che anche in Italia ha finalmente superato gli apparentemente rigidi confini tra piccolo e grande schermo, tra fiction e intrattenimento
8. “Certo, è un film televisivo”. La generosa promozione sul piccolo schermo si intreccia alla notorietà che Cortellesi ha consolidato nei programmi comici e nel varietà televisivo prima e in tanta commedia cinematografica poi. Cortellesi ha saputo costruirsi un credito che ora ha riscosso portando il “suo” pubblico sia a confrontarsi con un film in parte inatteso sia a ritrovare, almeno in alcuni passaggi, quei tratti professionali a lei legati. Una simile dinamica aggiunge valore al coinvolgimento di Valerio Mastandrea, che negli anni ha saputo e voluto affiancare ai suoi tanti personaggi cinematografici un “suo” personaggio per così dire televisivo, così lontano dal ruolo interpretato nel film; o di Emanuela Fanelli, che tra comicità televisiva (Una pezza di Lundini) e cinema italiano (Siccità) sta modellando un percorso prezioso ed efficace; e persino di Francesco Centorame, che per un pubblico più giovane sfrutta e poi ribalta il personaggio di SKAM Italia. Il successo di C’è ancora domani è l’ennesima conferma di un lavoro attoriale che anche in Italia ha finalmente superato gli apparentemente rigidi confini tra piccolo e grande schermo, tra fiction e intrattenimento.
9. “Certo, non è un capolavoro”. Accanto e oltre a queste sporcature di carattere televisivo, molti discorsi hanno sentito la necessità di mettere in evidenza (spesso, con piena ragione) le imprecisioni formali che caratterizzano C’è ancora domani, un esordio alla regia alla ricerca di qualche trucco, di qualche effetto facile. Un caso come questo può diventare allora un’occasione per provare a ricomporre una frattura nascosta nella lettura e nell’interpretazione del cinema: quella tra chi considera il film (o il prodotto audiovisivo) esclusivamente come forma d’arte, un testo primariamente dal valore estetico, e chi invece legge il film (o il prodotto audiovisivo) soprattutto come medium, uno strumento di comunicazione dove il fine ha la meglio sui modi di arrivarci. Spesso è una scelta di campo, tra il cesello dell’analisi e la compromissione del contesto, tra lo sguardo artistico e l’impiego funzionale. Ma sempre, per capire un film, anche questo film, vanno messe in gioco tutte e due le componenti: senso estetico e valore culturale non vanno sempre insieme, ma trovano equilibri variabili e significativi.
10. “Servirà prendere esempio da C’è ancora domani”. Anche il successo del film di Paola Cortellesi, come ogni successo, porta a tentativi di riprodurlo, o almeno provarci. E allora è facile che un caso per tanti versi eccezionale possa finire trasformato in una ricetta, in un manuale di istruzioni. L’intenzione è comprensibile, ma fallace. Il cinema, e tutto l’audiovisivo, è un’industria di prototipi, dove l’eccezione fatica a diventare regola. Poi certo ci sono le seconde volte (e la possibilità di consolidare un ruolo), ci sono le mode, ci saranno le copie. Ma vanno considerate anche le specificità (avercene di altre Paola Cortellesi nell’intero sistema culturale italiano!), le casualità, il dialogo con la realtà sociale e politica, la mobilitazione informale del passaparola.
Più che nel totale, allora, C’è ancora domani può indicare una strada futura nei suoi tanti e vari ingredienti: la sorpresa, l’ambizione, la trasversalità. E, soprattutto, una chiara strategia mescolata a passione credibile, capace non solo di farci andare e tornare in sala, ma di dare forma e materia ai nostri pensieri e discorsi.
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