Inizia un nuovo anno e come è buona prassi i mezzi d’informazione formulano i loro programmi e dichiarano le loro buone intenzioni. Per “il Mulino”, sia nella sua versione online sia in quella tradizionale del quadrimestrale cartaceo, con il gennaio 2024 si apre anche il triennio di operatività di una nuova direzione.

Vogliamo offrire un prodotto degno della tradizione del Mulino. Una tradizione che inizia nel 1951 in un mondo allora aspramente diviso in militanze contrapposte, quando un gruppo di giovani laureati volle creare una sede in cui a prevalere non fossero le bandiere ideologiche, ma i travagli intellettuali di chi cercava di capire la storia in divenire per governarne in positivo gli sviluppi.

Rifarsi a quell’origine e alla storia che ne seguì è senz’altro impresa ambiziosa, ma senza questa componente non si collabora alla formazione di una opinione pubblica nel senso pieno del termine. Come si diceva nell’Ottocento, l’opinione pubblica non è espressa né dalle impressioni dell’uomo pelato che siede negli ultimi posti dell’omnibus (Walter Bagehot), né dai tumulti delle folle che si agitano dietro a maestri improvvisati quando non dietro a demagoghi. L’opinione pubblica è il meccanismo virtuoso che produce un idem sentire de re publica, una coscienza comune che si nutre di una cultura elaborata collettivamente all’interno delle varie comunità di destini che formano il tessuto della vita politica ai suoi diversi livelli.

L’opinione pubblica è il meccanismo virtuoso che produce una coscienza comune che si nutre di una cultura elaborata collettivamente all’interno delle varie comunità

Affrontare la sfida che oggi si pone a chi si mette su questa lunghezza d’onda è un’impresa ardua. Viviamo in una fase di profonda transizione storica: vediamo mutarsi velocemente le coordinate che hanno tessuto le relazioni culturali e politiche fino a non molti decenni fa. I padri fondatori di questa rivista scrivevano se non con la penna con la macchina da scrivere e si scambiavano messaggi e riflessioni con lettere affidate alle poste e già parlarsi al telefono era un progresso. Noi scriviamo coi computer e ci scambiamo mail via internet.

Le mutazioni della geopolitica sono sotto gli occhi di tutti: l’equilibrio fra due, massimo tre superpotenze, per quanto fosse fondato “sul terrore” si è dissolto e riprendono le guerre che lo mettono in discussione. Le migrazioni dei popoli sono riprese, ma non hanno più a disposizione terre che si supponevano vergini in cui esse potevano essere assorbite senza troppi traumi. Lo stesso dominio dell’uomo sulla natura appare in questione, e le manipolazioni che da secoli egli ha esercitato sembrano ora rivoltarglisi contro sia sotto forma di una sfida alla sua possibilità di controllo sull’ecosistema di cui è parte, sia come oscuro fato dell’apprendista stregone che evoca spiriti che sfuggiranno al suo potere.

Come forse non tutti sanno, siamo una rivista peculiare. La nostra proprietaria è la “Associazione di cultura e politica il Mulino” che conta una novantina di soci. La sua assemblea elegge ogni triennio la direzione a cui affidare la gestione delle versioni della sua rivista. Nella formula attuale viene eletto un direttore che si candida con una équipe di quattro soci che entrano in carica contestualmente. Essi hanno la possibilità di cooptare fino ad altri quattro membri scelti fra non soci.

Nelle elezioni svoltesi lo scorso 30 settembre è risultato eletto come direttore Paolo Pombeni coadiuvato da Francesco Clementi, Maria De Paola, Claudio Giunta e Margherita Ramajoli, che hanno cooptato Luca Barra e Alessandra Sardoni. Come vedrete dal sito e poi da quanto sta nelle pagine della rivista cartacea, la direzione ha chiesto a un gruppo di 13 amici di cooperare come forza di stimolo e di presenza critica perché si possa essere all’altezza della nostra tradizione.

Per questo puntiamo a che il nostro lavoro con questa rivista sia consapevole delle responsabilità che un’epoca di grande transizione storica impone a chi si impegna per cooperare alla formazione di una opinione pubblica capace di confrontarsi con le sfide che abbiamo davanti.

Puntiamo a che il nostro lavoro con questa rivista sia consapevole delle responsabilità che un’epoca di grande transizione storica impone

Questo pone innanzitutto un problema culturale. È infatti con lo strumento della cultura che noi attribuiamo un senso e un significato al mondo in cui viviamo, ed è essa che ci mette in guardia dall’illusione che capire quel che avviene sia una banalità alla portata di una esperienza quotidiana senza fatica. La cultura, nella sua essenza profonda, non gode di grande considerazione di questi tempi. Noi vogliamo riprendere e riproporre la consapevolezza della sua centralità. Vogliamo parlare di libri, di scuola e di università, di strumenti di trasmissione delle idee e delle riflessioni.

Abbandoniamo con questo la tradizione del Mulino di essere presente nel forgiarsi della vita politica? Certamente no. Torniamo anzi a considerare la politica come l’arte di costruzione della polis, un luogo per vivere e con-vivere, dove la ragione interpreta l’evolversi dei tempi e dove la passione è stimolatrice dello sforzo a comprendere, non veleno per costruire artificiose contrapposizioni fra amici e nemici.

Calare questo modo di sentire nella realtà italiana, europea, mondiale non sarà impresa facile. Come in tutte le fasi di grande transizione storica si vive l’età dell’angoscia verso il futuro, dell’oppio intellettuale offerto dalle ideologie che tutto spiegano e così tutto risolvono, della ricerca di isole privilegiate in cui creare la propria riserva indiana. Noi cercheremo invece di proporre analisi non saccenti, riflessioni che non si inchinano agli idola tribus del momento, confronti con tutto ciò che si muove intorno a noi.

Se volessimo dirlo con categorie weberiane, all’etica della convinzione contrapponiamo l’etica della responsabilità, e perciò ci mobilitiamo per difendere la circolazione pluralistica delle idee che sta alla base delle democrazie liberali per costruire contesti in cui condividere destini comuni e beni comuni.