Il 26 luglio del 1986 nella Tenuta di Fontanafredda, nell’omonimo comune in provincia di Cuneo, nasce Arcigola. Si tratta dell’evoluzione di una organizzazione, la Libera e benemerita associazione amici del Barolo, che da locale diventa nazionale. Un salto importante, tanto quanto lo sarà il passaggio successivo, da nazionale a internazionale.

Arcigola è un nome che si comprende solo facendo riferimento all’Arci, associazione nata a metà degli anni Cinquanta, il cui obiettivo è accogliere le istanze popolari in ambito ricreativo, sportivo, culturale. Arcigola ne diventa il ramo che si occupa della cultura enogastronomica popolare, locale, legata ai territori e a un approccio alla portata di tutti, ma non per questo meno esigente in termini di qualità.

Animatore è Carlo Petrini, impegnato politicamente (con il Pdup, Partito di unità proletaria) e socialmente (con la Società san Vincenzo de Paoli) e grande organizzatore e aggregatore. Il gruppo di fondatori è accomunato dalla passione per il vino e il cibo condiviso e per la scoperta di luoghi da comprendere anche attraverso i loro sapori. Oggi si chiamerebbe turismo enogastronomico. Allora non si chiamava, si faceva e basta.

Proprio l’attitudine al viaggio e alla condivisione, oltre a un’intensa attività pubblicistica su l’“Espresso” e il supplemento “Gambero Rosso” del “manifesto”, consente ad Arcigola di farsi conoscere rapidamente in Italia e all’estero. In soli tre anni il profilo dell'organizzazione si evolve a tal punto da avere attenti soci anche all’estero: serve un nome comprensibile anche al di fuori dei confini nazionali. Nel 1989 Mc Donald, che si è insediato in Italia già da 4 anni, arriva a Roma – precisamente in piazza di Spagna, uno dei luoghi più iconici e identitari della capitale. In opposizione al fast food nasce quindi, quasi per gioco, l’idea del nuovo nome: Slow Food.

Il profilo di Arcigola si evolve a tal punto da avere attenti soci anche all’estero: serve un nome comprensibile anche al di fuori dei confini nazionali. Così, in opposizione al fast food, nasce l’idea del nuovo nome: Slow Food

Gli anni Ottanta sono importanti per l’Italia. Sono anni di reazione al clima cupo del decennio precedente, sono anni in cui molti si allontanano dalla politica attiva dopo lo shock sociale e culturale degli anni di piombo. Tanti arrivano all’associazione con un bagaglio di delusioni intellettuali, tanti hanno visto allontanarsi i sogni coltivati negli anni Sessanta e Settanta. Portano in Arcigola/Slow Food un capitale straordinario di competenze, conoscenze, professionalità, per un progetto che non è ancora completamente disegnato, ma promette di essere – innanzitutto – piacevole.

La definizione che Slow Food darà di sé in concomitanza con la sua ufficializzazione, che avviene all’Opéra-Comique di Parigi nel 1989, sarà proprio “Movimento per la tutela del diritto al piacere”. Non c’è nulla che suoni “politico” in una definizione del genere. Eppure, considerare il piacere un diritto e non un privilegio ne fa automaticamente una questione ampia, globale, universale. E una faccenda, se riguarda tutti, diventa di per sé una questione politica. Tutta la storia di Slow Food è lì a dimostrarlo.

Gli anni Settanta, in Italia e non solo, sono straordinariamente fertili, creativi: sono gli anni delle prime risposte tanto sperimentali quanto promettenti, e, viste oggi, longeve, a un modello di industrializzazione capitalistica che stava già mostrando quali e quanti danni – ambientali, sociali, culturali, economici – era in grado di creare. Nascono le prime associazioni ambientaliste, nasce il movimento del fair trade, si avviano le esperienze dell’agricoltura biologica, le prime guide ai ristoranti iniziano le loro pubblicazioni e, poco dopo, alcune riviste di settore. Prima fra tutte “La Gola”, che esordisce nel 1982 e offre un modello completamente nuovo di riflessione sul mondo del cibo.

Almeno altre due cose importanti succedono nel 1986. Una pessima: lo scandalo del vino al metanolo, il primo grande scandalo alimentare che vede coinvolta l’Italia e che mette in ginocchio – a causa delle malefatte di una piccola azienda del cuneese – un intero comparto. L’altra epocale: l’avvio di Internet con la conseguente, nel bene e nel male, globalizzazione delle comunicazioni, dei mercati, degli scambi culturali.

La questione metanolo ha l’effetto di compattare intorno ad Arcigola il mondo del vino di qualità, che ha bisogno di alleati per ricostruire la propria immagine in patria e all’estero. Internet, innegabilmente, fa da straordinario acceleratore in moltissimi settori e consente a Slow Food di comunicare facilmente e a basso costo in tutto il mondo. Anche solo dieci anni prima un’associazione culturale, per quanto vivace e motivata, non avrebbe potuto passare dal livello nazionale a quello internazionale nel giro di tre anni, fondando una casa editrice, pubblicando guide, saggi, ricettari e una rivista edita in cinque lingue, creando comparti nazionali in tutti i continenti e avviando, dopo appena sette anni (1996), la prima edizione di quello che diventerà uno degli eventi più attesi dal comparto: il Salone del gusto di Torino.

Quelli che venivano chiamati con un po’ di supponenza “buongustai” o “gourmet” hanno chiarito di cosa stavano parlando: di un diritto universale, il cibo, e di un pianeta unico, che tutti abbiamo il diritto e il dovere di chiamare casa

Dagli anni Novanta il ritmo della cronologia si fa più intenso. Nel 1998 nasce il progetto dell’Arca, un catalogo dei cibi in via di estinzione, che presto genera il suo spin-off produttivo con il progetto dei Presìdi. Nel 2000 la prima edizione del Premio slow food per la biodiversità (a sua volta nato dalle riflessioni che i Presìdi portano con sé, in termini di salvaguardia del vivente a opera di personaggi ignorati dai media) getta le basi di quello che nel 2004 sarà Terra madre. Sempre nel 2004 nasce a Pollenzo l’Università di Scienze gastronomiche, ateneo privato riconosciuto legalmente a livello europeo che da quasi vent’anni offre a studenti, ricercatori e docenti la possibilità di costruire e concretizzare un’idea completa e complessa di gastronomia (molto simile a quella enunciata nel 1825 da Jean Anthelme Brillat-Savarin ne La fisiologia del gusto) come storia naturale, fisica, chimica, economia, politica. E su questo stesso concetto oggi si innestano istanze e urgenze totalmente contemporanee: la crisi climatica, la giustizia sociale, le tecnologie orientate alla sostenibilità, il rispetto dei nuovi diritti, come la sovranità alimentare, ma anche le agende politiche internazionali, come gli obiettivi Onu dello sviluppo sostenibile o quelli del Green New Deal europeo.

La parabola politica è ora completamente visibile: quelli che venivano chiamati con un po’ di supponenza “buongustai” o “gourmet” hanno chiarito di cosa stavano parlando: di un diritto universale, il cibo, e di un pianeta unico, che tutti (presenti e futuri) abbiamo il diritto e il dovere di chiamare casa. Il punto chiave è la conoscenza, in tutte le sue forme e con tutti gli organi, dal cervello al palato, dalle emozioni al tatto. Sapere di cibo significa saperlo riconoscere e apprezzare, conoscerne i processi – agronomici, chimici, economici –, comprendere le ragioni dei viventi che partecipano alle produzioni. Ma la conoscenza non attecchisce, non fiorisce e non fruttifica senza il piacere. Animus pascitur, unde laetatur, scrive Sant’Agostino nelle “Confessioni”: l’anima si nutre laddove si rallegra. È questo il messaggio di Arcigola prima, e Slow Food poi: indignatevi, arrabbiatevi, studiate, manifestate, divulgate con competenza ed efficacia. Ma fatelo divertendovi, riconoscendo e gustando un formaggio di qualità, comprendendo dove trova un orticoltore l’energia per ripartire dopo una grandinata, accostandovi all’alta cucina, ai piatti della tradizione e ai cibi dei mercati con il rispetto intellettuale e la curiosità dei sensi che dobbiamo riservare, sempre, alle manifestazioni culturali, qualunque forma esse assumano.