“Dopo le elezioni del ’48 Togliatti mi chiamò e mi chiese: ‘Dov’è che hai i giornali?’. Perché, dico la verità, ho sempre tenuto un po’ nascosta, non dico certo a lui ma a molti comunisti, la nostra presenza in certi giornali per evitare intromissioni a volte indebite, talvolta sbagliate. Mi disse: ‘Dove hai un giornale?’. ‘Qui’, rispondo io. E lui dice: ‘Qui abbiamo diminuito i voti. Qui ce l’hai il giornale?’. ‘No’. ‘Qui li abbiamo aumentati’”.

Questo simpatico episodio, raccontato in un programma televisivo molti anni dopo da Amerigo Terenzi, il gran capo dell’editoria comunista, sembra calzare a pennello per ricordare l’anniversario della nascita della gemma forse più preziosa di tutta la collana dei giornali che afferiscono direttamente o indirettamente al Pci: “Paese Sera”.

I giornali a cui fa riferimento Togliatti sono i cosiddetti “giornali fiancheggiatori”. Non l’organo di partito, “l’Unità”, ma tutti gli altri: la “Repubblica d’Italia e “Il Paese” a Roma, “Milano-sera”, “Il Progresso d'Italia” di Bologna, “Il Nuovo Corriere” di Firenze, la “Gazzetta” di Livorno e poi, al Sud, la “Voce” di Napoli e successivamente anche “L'Ora” di Palermo.

A differenza di quelli de “l’Unità”, non tutti i giornalisti di quelle testate sono iscritti al partito e godono dunque di una certa libertà nella scelta dei temi e dell'impostazione generale. Il Pci vigila che non ci si discosti troppo dalla linea ufficiale, soprattutto sui temi di politica estera, e alla fine di ogni anno copre i disavanzi di gestione.

A Roma, il 30 giugno del 1949, chiude“La Repubblica d’Italia”. Ma il partito rilancia con un nuovo giornale della sera. Il 6 dicembre nasce così “Paese Sera”, quasi per gemmazione da una costola del suo fratello mattutino “Il Paese”, fondato nell’imminenza dello scontro elettorale del 18 aprile 1948 per dare le coordinate a una fetta di lettori e potenziali elettori. “Paese Sera” ha un altro scopo, più ampio: essere mediatore tra classi e ceti che, soprattutto a Roma, si confondono e si mischiano.

Una storia strana quella dei rapporti tra i due giornali. “Paese sera” con il giornale del mattino condivide tutto, dal direttore – Tomaso Smith, vecchio cronista con un lungo passato giornalistico prima e dopo il fascismo, da cui è stato costantemente controllato e ostracizzato – ai locali delle redazioni, alla tipografia. Il corpo redazionale, per ovvi motivi, si differenzia, ma le collaborazioni sono costanti e continue, dalle corrispondenze alle rubriche. Nei primi anni è “Il Paese” a essere il giornale più importante. Poi, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, inizia un ribaltamento dei ruoli, che si conclude il 28 gennaio 1963 con l’assorbimento del giornale del mattino in quello della sera.

“Paese sera” con il giornale del mattino divide tutto, dal direttore – Tomaso Smith – ai locali delle redazioni, alla tipografia

Nasce un giornale a ciclo continuo, con quattro edizioni, a volte con ulteriori ribattute, che esce la mattina con la testata “Paese Sera-il Paese” e si conclude, dopo le edizioni delle 12 e delle 18, con quella delle 21. Uno sforzo immane che prefigura i moderni canali all news, in cui passano e si aggiornano in continuazione le notizie. Ma questi lo fanno su di un crawl, le strisce a fondo schermo, o rileggendo le stesse notizie ora dopo ora, non scrivendo, impaginando, stampando e infine distribuendo copie cartacee!

Uno sforzo fatto con mezzi assolutamente insufficienti. Il redattore capo, ma di fatto il direttore, Fausto Coen, in una lettera indirizzata all’amministrazione del giornale pochi giorni dopo la partenza, descrive una situazione al limite dell’assurdo: una redazione composta da 16 persone di cui soltanto 7 retribuite secondo il contratto giornalistico, con solo tre corrispondenti in tutta Italia e nessuno all’estero: non ci sono inviati speciali e neppure un segretario di redazione. Manca la telescrivente dell'Ansa: l’abbonamento c’è, ma senza la macchina ricevente il fattorino deve fare la spola fra il giornale e l’agenzia più volte al giorno. Per le fotografie si procede di forbici su vecchie riviste. Anche le stanze nel grande palazzo di via IV Novembre sono insufficienti: la terza pagina è installata nella stanza del direttore, i redattori sportivi aspettano che se ne vadano gli impiegati dell’amministrazione per sedersi a loro tavoli.

Vista questa preparazione, la partenza è inevitabilmente lenta: 20/25 mila copie vendute ogni giorno. Non poche, ma neanche un successo travolgente. Ci vogliono la cronaca, i titoli a tutta pagina sui grandi casi che dividono l’opinione pubblica, i nomi delle vittime e dei sospettati urlati dagli strilloni tra la gente – il caso Egidi, il processo Bellentani e il caso dei casi, il delitto Montesi – per superare le 50 mila copie. Ma anche le inchieste sulla mafia di Felice Chilanti e quelle sulla speculazione edilizia e sulle borgate romane, e poi le polemiche sulla mancata difesa di Roma dopo l’8 settembre del 1943, decretano il successo di un giornale di lotta ma anche… da passeggio. Che tutti possono leggere, in cui ciascuno trova qualcosa di interessante.

“La mattina leggo di destra, la sera leggo di sinistra”, dicono spesso anche i lettori lontani dai partiti di sinistra. “È il giornale che sa già gli scandali che verranno domani”: è la qualità che gli riconoscevano un po’ tutti. E poi: “Leggo ‘Paese Sera’ perché su ‘l’Unità’ sembra che vada sempre tutto male”, rispondono molti iscritti o simpatizzanti comunisti stanchi della verbosità un po’ pessimistica dell’organo di partito.

Invece su “Paese Sera” si trovano il commento politico di Publio, alias Ruggero Zangrandi, non sempre allineato in modo ortodosso al partito, e lo sferzante corsivo polemico di Benelux, lo pseudonimo collettivo usato da Felice Chilanti, Marco Cesarini Sforza e poi Gianni Rodari. Ci sono anche la nota di colore di Berenice, la notizia più frivola, l’elzeviro simpatico e i fumetti, i tamburini dei cinema e dei teatri e tante altre notizie utili. Senza dimenticare una terza pagina, sempre più corposa e interessante, tanto che sfocerà nel 1960 in “Paese Sera-Libri”, il primo supplemento culturale di un quotidiano italiano.

Un giornale forte, in alcuni momenti fortissimo (arriverà a vendere 150 mila copie alla fine degli anni Sessanta, coprendo una larga parte dell’Italia centrale, dal Lazio all’Umbria, dalla Toscana alla Campania), utile per parlare a ceti sociali che il Partito comunista non riesce a incontrare con la sua propaganda, ma da cui sarà sempre guardato con un certo sospetto per la sua poca ortodossia. In alcuni momenti cruciali del Novecento – la pubblicazione del Rapporto segreto di Krusciov al XX congresso del Pcus contro le direttive del partito, i molti dubbi espressi sull’invasione dell’Ungheria, l’appoggio a Israele nella guerra dei Sei giorni, solo per citarne qualcuno – lo scontro si farà aperto. E per un giornale che costa molto al partito prendere queste posizioni sarà sempre più scomodo.

Per una città come Roma serve un giornale “strano”, capace di parlare all’alto e al basso, all’élite culturale ma anche alla folta schiera di ministeriali, al poveraccio che si arrabatta in una borgata così come al piccolo commerciante, fino a una popolazione di studenti che sta crescendo di anno in anno

Eppure, sarà sempre un quotidiano con una chiara collocazione, di opposizione e di denuncia del potere della Dc. A partire proprio dal suo centro, dalla capitale dove si mischiano poteri forti e molli, diktat d’Oltretevere e piccole meschinerie di basso cabotaggio. Una città strana, potremmo dire multistrato, senza la rigida, e comoda per chi la deve raccontare ogni giorno, divisione borghesi/operai. Una città senza grandi fabbriche ma in cui non mancano certo disagi e povertà. Per una città così composta serve un giornale “strano”, capace di parlare all’alto e al basso, all’élite culturale ma anche alla folta schiera di ministeriali, al poveraccio che si arrabatta in una delle tante borgate lontane dal centro, così come al piccolo commerciante intriso ancora di antico spirito repubblicano e anche un po’ anticlericale, fino a una popolazione di studenti che sta crescendo di anno in anno.

“Qualunquismo di sinistra”, definirà qualcuno questo spirito libero e anche un po’ corsaro. E scorrendo alcuni articoli e qualche titolo roboante potrebbe venire anche il dubbio. Ma non è mancata l'attribuzione al giornale di un ruolo ben più importante: “un antesignano, uno dei primi e più concreti prodotti, e quasi una dimostrazione esemplare, del funzionamento e dei punti d’arrivo della strategia politica del Partito comunista in questo dopoguerra: una manifestazione particolare, tendenzialmente egemonica, sul piano della società civile, di quella che a suo tempo fu chiamata la linea della democrazia progressiva” (M. Isnenghi, Giornali e giornalisti, Savelli, 1975, p. 55).