“Circa 300 metri prima di giungere alla mia abitazione notavo che nelle vicinanze di essa, nell’aperta campagna, si era sviluppato un incendio con proporzioni gigantesche”. Mario Ronchi, contadino di Bascapé, un piccolo paese in provincia di Pavia, pronuncia queste parole il 29 ottobre 1962 al maresciallo Augusto Pelosi, comandante della stazione dei carabinieri di Landriano. Sono passati due giorni dallo schianto dell'aereo Morane Saulnier 760, su cui viaggiava, insieme al pilota Irnerio Bertuzzi e al giornalista americano William McHale, il presidente dell’Eni Enrico Mattei.
Precipita e muore l’ingegner Mattei; Muore l’italiano più noto al mondo; Enrico Mattei è morto: titolano così i giornali italiani il 28 ottobre, affidando a quell’inchiostro nero il pesante compito di informare il Paese che uno degli uomini che più aveva cercato di facilitargli lo sviluppo industriale non c’era più. Uno shock nazionale duro da metabolizzare, che genera dolore, sbigottimento e tante domande, alle quali comincia a dare risposte, o forse è meglio dire non-risposte, nel marzo 1963, l’Aeronautica militare, che pur senza accertare le cause dello schianto parla di incidente e chiude l’inchiesta. Il giudice istruttore incaricato dell’indagine che doveva rispondere ai dubbi sollevati intorno alla possibilità che si trattasse di un attentato, invece, lavora più a lungo, e comunica nel febbraio 1966, alla procura di Pavia, che non si può procedere perché “i fatti non sussistono”.
Negli anni che seguono, l’onda del sospetto, alimentata già nel ’63 dall’inchiesta di Fulvio Bellini (poi autore, nel 1970, con Alessandro Previdi, della monografia L’assassinio di Enrico Mattei) sul “Secolo XX” dall’eloquente titolo Enrico Mattei è stato assassinato, alza la cresta attraverso la significativa voce di Pier Paolo Pasolini, ma anche quella di Francesco Rosi. Quest’ultimo, nel 1972, dirige Il caso Mattei, dove è presente una breve intervista a Philippe Thyraud de Vosjoli, ex agente dello Sdece (i servizi segreti francesi, oggi Dgse), che nel suo libro Lamia, uscito due anni prima solo negli Stati Uniti e in Canada, aveva apertamente attribuito la responsabilità della morte di Mattei all’organizzazione della quale era stato parte. La scomparsa di Mauro de Mauro, il giornalista de “L’Ora” incaricato da Rosi di compiere indagini sugli ultimi giorni di vita del primo presidente dell’Eni, pare interpretabile solo in un modo: il lavoro di scavo intorno all’infelice conclusione della vita del fondatore dell’Ente nazionale idrocarburi si avvicinava pericolosamente alla verità.
L’onda del sospetto, alimentata già nel ’63 dall’inchiesta dall’eloquente titolo Enrico Mattei è stato assassinato, alza la cresta attraverso la significativa voce di Pier Paolo Pasolini, ma anche quella di Francesco Rosi
Non meno potenti le parole del grande scrittore, che invece nel suo incompiuto Petrolio (pubblicato postumo da Einaudi nel 1992) ci spinge a percorrere un’altra strada: quella della responsabilità interna alla politica del nostro stesso Paese. Pasolini, infatti, descrive i pessimi tratti di un fantomatico presidente dell’Ente petrolifero italiano che tanto assomiglia al reale successore di Mattei, Eugenio Cefis, alla guida del potentato pubblico dal 1967 al 1971, suggerendo in maniera davvero suggestiva che egli sia il responsabile della morte del fondatore dell’Eni.
Poi l’onda perde forza, per acquisirne definitivamente nel 1994, quando il giudice di Pavia autorizza la riapertura delle indagini. Il pubblico ministero Vincenzo Calia giunge, nel 2003, ad affermare che Enrico Mattei fu certamente assassinato. Dentro il piccolo aereo di proprietà dell’Eni, spiega il pm, fu messa una carica di esplosivo che lo fece andare in pezzi poco prima di giungere all’aeroporto di Linate (per approfondire consiglio la lettura dell'articolo Una pista sul caso Mattei).
Perciò i motivi per ricordare il giorno della morte di Enrico Mattei sono validi moralmente ed eticamente insistenti perché spingono nella direzione di un traguardo forse impossibile, ma necessario: la verità, quella che ancora non si conosce. Una verità che ha il volto della politica italiana, ma anche quello delle trame internazionali che puntano su Parigi, e poi anche quello dell’innegabile antipatia che le più potenti compagnie petrolifere del tempo, come la British Petroleum o la Esso, che dominavano il mercato internazionale producendo, soprattutto in Medio Oriente, buona parte degli idrocarburi che l’Occidente consumava ampiamente per la propria crescita industriale, avevano sviluppato nei confronti di un determinato e indipendente manager pubblico.
Nato ad Acqualagna, in provincia di Pesaro, il 29 aprile 1906, Enrico Mattei proviene da una famiglia della piccola borghesia marchigiana. Dopo avere smesso di studiare a soli 15 anni comincia a lavorare nella conceria per la quale il padre faceva il guardiano. Quando l’attività va in crisi si trasferisce a Milano. Nella città lombarda il giovane di Acqualagna apre una società chimica per la lavorazione di grassi e saponi dalla quale ottiene profitti e successo, introducendosi attivamente nella società economica milanese, ma anche in quella politica. Si avvicina, infatti, agli ambienti cristiano-sociali della futura Democrazia cristiana. Dopo l’8 settembre collabora con la Resistenza, per lo più con incarichi organizzativi e finanziari. Emerge come uomo capace e intelligente e per questo il Comitato nazionale liberazione alta Italia gli affida l’incarico di gestione della direzione Agip di Milano, compito che poi è esteso, nel corso del 1945, a tutto il territorio italiano.
Mattei avrebbe dovuto valutare il patrimonio dell’Azienda generale italiana petroli, fondata nel 1926 e giungere alla sua liquidazione. L’imprenditore, invece, stimate le potenzialità del vecchio carrozzone fascista, opera un piano di rilancio e valorizzazione che giunge allo sfruttamento delle risorse minerarie della pianura Padana, e nel 1949, al ritrovamento di petrolio a Cortemaggiore, a pochi chilometri da Piacenza. Le intenzioni delle autorità centrali, tuttavia, non sembrano mutate rispetto a quelle che le avevano spinte ad assegnare a Mattei la funzione di commissario liquidatore, così il marchigiano comincia una lotta di persuasione che lo vede trionfare come vittorioso fondatore di un nuovo ente statale per la gestione e lo sfruttamento delle risorse minerarie del Paese. L’Ente nazionale idrocarburi nasce nel 1953.
Mattei comincia una lotta di persuasione che lo vede trionfare come fondatore di un nuovo ente statale per la gestione e lo sfruttamento delle risorse minerarie del Paese
Il primo presidente della nuova istituzione pubblica impone alla struttura che dirigeva una forte spinta verso l’indipendenza dalle compagnie petrolifere internazionali, facendosi attribuire, con la legge istitutiva di febbraio, il monopolio delle ricerche e dello sfruttamento degli idrocarburi nella valle Padana. Questo provvedimento, destinato a ridurre sensibilmente la presenza delle major americane già impegnate in quella zona, genera un primo motivo di contrapposizione. Non è, tuttavia, l’Italia il terreno sul quale Mattei guerreggia più duramente con le grandi compagnie anglo-americane.
Ciò accade in Medio Oriente, dove l’intraprendente e ambizioso primo presidente dell’Eni sa che deve puntare se vuole veramente ottenere per il suo Paese l’indipendenza energetica. Quella di Mattei è un’azione travolgente e fulminante che inizia in Egitto e prosegue in Iran, Iraq, Arabia Saudita, Libia, solo per fare qualche nome. Il successo è indubbio. Mattei mostra sensibilità e opportunismo, nonché la capacità di interpretare positivamente e a proprio vantaggio il percorso di emancipazione dal potere occidentale che i Paesi arabi stavano compiendo da qualche anno. Egli lascia che a condurre il gioco siano i Paesi produttori e firma accordi di nuova generazione nei quali il protagonismo delle compagnie straniere è ridimensionato. Il viaggio di internazionalizzazione dell’Eni è un vero successo, tanto che già nel 1957 fa pronunciare ad Abdullah Tariqi, ministro del Petrolio saudita, intervistato da uno studioso francese che fa un lungo viaggio d’inchiesta in Medio Oriente queste parole:
“C’est vrai, [Mattei] c’est le seul. Le seul à avoir compris que les temps ont changé́, qu’il faut remplacer l’exploitation colonialiste, par une association sincère. […] C’est un homme pour lequel j’ai la plus vive admiration. Un ambassadeur arabe a dit de lui qu’il était le partenaire idéal.” [“È vero, [Mattei] è l’unico. L'unico ad aver capito che i tempi sono cambiati, che lo sfruttamento colonialista deve essere sostituito da un'associazione sincera. […] È un uomo per il quale nutro la più grande ammirazione. Un ambasciatore arabo ha detto che era il partner ideale”].
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