Tornare a ragionare a partire dalla legge Gelmini può sembrare un paradosso quasi nostalgico. La legge contiene, come il famoso cane giallo protagonista del romanzo di Simenon, enigmi che solo i quasi cento decreti delegati consentiranno poi di decifrare. Ma la riflessione che oggi è possibile portare avanti (sino all’ultimo bando per la valutazione della ricerca del 3 gennaio scorso) è sulla narrazione
È trascorsa circa una settimana da quando i media nazionali hanno rilanciato la notizia di una scuola romana che, presentandosi sul suo sito internet, avrebbe caratterizzato le sue tre sedi in termini classisti. Come in altre occasioni, quando la scuola entra nel faro d’attenzione del dibattito pubblico, prevalgono il tono scandalizzato e una scarsa capacità di contestualizzare ciò che si sta riportando.
Il Decreto con cui dal ministero da lui a quel tempo presieduto Lorenzo Fioramonti, il 23 dicembre scorso, ha stabilito norme e limiti ai corsi di laurea universitari in modalità telematica – in particolare con il comma 1 dell’articolo 1 – deve essere giudicato, ci sembra, assai positivamente. Almeno da parte di chi, nei corsi di studio (e nei vari dipartimenti) ha a cuore la formazione degli educatori socio pedagogici
Un recente studio dell’Istat ha messo insieme diversi indicatori raccolti in 12 domini per misurare il “Benessere equo sostenibile” (Bes). La misura riguarda aspetti ritenuti importanti per la qualità della vita dai cittadini che, interrogati per la consultazione, hanno contribuito alla definizione finale. I domini considerati maggiormente significativi dal campione, con punteggi molto elevati, in una scala da 0 a 10, sono quelli relativi alla salute, all’istruzione e formazione e alla sicurezza personale: tre capisaldi del benessere individuale.
L’articolo con cui, sul «Corriere della Sera» del 4 gennaio scorso, il grecista Walter Lapini contestava la tendenza degli atenei italiani a inquadrare immediatamente nei propri ruoli di insegnamento stabili i vincitori dei cospicui finanziamenti alla ricerca erogati dallo European research council ha suscitato un ampio e aspro dibattito. Da un lato, si è contestato l’atteggiamento liquidatorio, spesso al di là del lecito, nei confronti di un programma di sostegno alla produzione di conoscenza utile, trasparente e meritocratico