Immaginate un treno in corsa in cui, ogni due o tre stazioni, si cambino le regole del personale, dei macchinisti, dei controllori, anche del servizio bar: alla partenza le regole sono quelle note, poi vengono cambiati i posti, gli incarichi, i riconoscimenti ecc. Immaginate che si cambino anche le regole relative ai viaggiatori: una volta devono entrare in un modo, una volta in un altro, una volta possono portare una certa quantità di bagagli, la volta dopo di meno, poi di più ecc. E che cambino, di tanto in tanto, anche gli orari e le stazioni intermedie. Un treno pazzo, degno di un film comico, più o meno inconcepibile.
Bene, questo treno è la scuola italiana. Da almeno un quarto di secolo, se non più, le regole della scuola vengono cambiate in corsa, spesso solo perché c’è un cambio di maggioranza e per ragioni identitarie il nuovo governo di turno vuole piantare la sua bandierina. Il disamore e il fastidio che domina tra chi lavora nella scuola (docenti, prima di tutto, ma anche dirigenti, assistenti amministrativi, bidelli) ha qui la sua origine. Di solito, il campo preferito di riforme e controriforme per fare dispetto ai propri avversari politici è la scuola secondaria, perché lì c’è il terreno immenso del reclutamento dei docenti, che cambia senza sosta, alimentando infinite tipologie, infinite beghe sindacali, infiniti ricorsi. Ma ogni tanto finisce nel frullatore anche la scuola primaria.
Qui le “ragioni identitarie”, che piacciono così tanto in questa epoca di politici ondivaghi, si buttano sul terreno didattico: per esempio la valutazione. Questa è sempre stata la battaglia che alimenta il gioco di fare e disfare. Il totem sono i voti: partendo dalla loro presunta intoccabilità nella scuola secondaria, il braccio di ferro è sempre lo stesso. La sinistra introduce la valutazione formativa, con giudizi e livelli, la destra vuole il ritorno ai voti. Qui non si tratta di essere equanimi: il totem del voto è del tutto ingiustificato, e l’introduzione di una valutazione formativa, descrittiva e per livelli, nella primaria (e possibilmente in tutto il primo ciclo) è necessaria. Ma il problema è anche di metodo, di funzionamento delle istituzioni. L’ultimo colpo di mano è del governo attuale: dall’oggi al domani, con un emendamento al disegno di legge “Revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti” (in esame al Senato), si smantella l’ultima riforma, del 2020. Questa era stata votata in un clima di emergenza, forse in modo criticabile, ma raccogliendo un’esigenza sollevata da lungo tempo e modelli elaborati anch’essi da tempo. Abolendo i voti nella primaria (tra l’altro introdotti nel 2008 in polemica contro i “giudizi”) ha istituito una valutazione formativa che solo a fine periodo (tradotto: fine quadrimestre e fine anno) chiede una valutazione generale espressa su quattro livelli. Questi livelli non vengono assegnati alle “materie” ma alle “competenze”, differenziate all’interno delle singole materie. Il sistema è complesso, ma disinnesca la spirale dei voti. In ogni caso, essendo complesso, richiedeva tempo per essere realizzato, e per consolidarlo nella pratica e nella mentalità tra docenti e genitori.
Cambiare ogni tre o quattro anni le regole, senza lavorare a fondo su quelle che ci sono già, senza radicarle e migliorarle, serve solo a sfasciare la scuola
Invece il nuovo governo vorrebbe il ritorno ai voti, per le solite ragioni identitarie. E quindi cambia rotta, facendo però un compromesso, reintroducendo il “giudizio sintetico”, come vedremo sotto. Ma prima di entrare nel merito, c’è un enorme problema di metodo, il treno in corsa: cambiare ogni tre o quattro anni le regole, senza lavorare a fondo su quelle che ci sono già, senza radicarle e migliorarle, serve solo a sfasciare la scuola. Che infatti è in grande sofferenza. E soprattutto chi lavora nella scuola è disamorato, infastidito, sempre più difficile da motivare, perché si vede piovere dall’alto decisioni più o meno incontrollabili. E comunque pensa che tanto tra poco cambieranno di nuovo.
Così la notizia del ritorno ai giudizi sintetici nella scuola primaria lascia l’amaro in bocca a tanti insegnanti che da tre anni ormai stanno lavorando con la valutazione formativa e si trovano davanti a un’ennesima giravolta sul tema. Se da una parte l’emendamento del governo rimanda a una futura ordinanza il chiarimento sulle modalità esatte di valutazione, nel testo si parla di “giudizi sintetici” e il termine fa pensare a quelli in uso nella scuola primaria dai tempi della riforma Berlinguer alla loro abolizione nel 2008 da parte di Mariastella Gelmini per tornare al voto numerico. Ricordiamoli al lettore: erano “insufficiente”, “sufficiente”, “buono” e “ottimo”. Sono quattro livelli, proprio tanti quanti quelli oggi in uso e quindi non sembrerebbero né un grande cambiamento né una inversione di rotta; eppure lo sono perché nel loro utilizzo degli anni passati questi termini hanno perso la neutralità che avevano inizialmente e si è creato un rapporto diretto tra giudizio sintetico e voto numerico in decimi che tutti colgono al volo: insufficiente è 5, o 4 se preceduto da un “gravemente”, sufficiente è 6, buono è 7/8, ottimo è 9/10. Ai tempi in cui erano in uso alcune scuole aggiungevano anche “discreto” per avere un ulteriore livello tra sufficiente e buono, un 7 insomma, creando così una corrispondenza perfetta tra giudizio e voto.
In contrasto con queste facili ma poco utili equivalenze, il percorso intrapreso dalla scuola primaria era proprio quello di togliere dalla testa di ragazzi e famiglie che un voto o un termine li definissero e di parlare loro in termini di giudizi descrittivi, sottolineando i punti di forza e quelli di debolezza su cui lavorare per migliorarsi. Alcune scuole secondarie, incoraggiate da questo modo di fare, avevano cominciato a lavorare sulla valutazione formativa lasciando soltanto il voto finale, l’unico previsto per legge. Anche questa pratica sta per essere abolita rendendo obbligatorio il voto numerico alla fine dei periodi intermedi.
Il ministero sostiene che questi cambiamenti sono necessari perché così le pagelle saranno più chiare e le valutazioni più oggettive. La prima affermazione è condivisibile e potrebbe essere un punto d’incontro su cui lavorare mentre la seconda è del tutto scorretta.
Con l’introduzione della valutazione formativa si è richiesto a ogni singola scuola la creazione di documenti di valutazione (le vecchie pagelle) completamente personalizzati: il risultato è stato spesso una serie di documenti molto verbosi, di difficile lettura per i genitori e impossibili da comparare tra una scuola e l’altra. L’unica cosa uguale per tutti sono i quattro indicatori di livello (in via di prima acquisizione, base, intermedio, avanzato) e le famiglie sostanzialmente si preoccupano di questi, cercando di rivederci i voti mentre gli insegnanti si prodigano a spiegare che il livello è descrittivo del bambino e non un indicatore di prestazione. In questo contesto molto frammentato potrebbe avere senso creare un modello di documento di valutazione comune per tutti (o almeno con una parte comune e l’altra personalizzabile dalle singole scuole) in modo da coltivare col tempo un’abitudine alla sua lettura da parte delle famiglie. In questo senso il desiderio del ministro di maggior chiarezza potrebbe essere accolto e aiuterebbe le famiglie a comprendere meglio il significato della valutazione formativa.
La notizia del ritorno ai giudizi sintetici nella scuola primaria lascia l’amaro in bocca a tanti insegnanti che da tre anni ormai stanno lavorando con la valutazione formativa e si trovano davanti a un’ennesima giravolta sul tema
Al contrario, l’idea che il voto numerico sia più oggettivo è del tutto inconsistente: pensate a tutti quegli insegnanti che dicono di non dare più di 8 perché la perfezione non esiste, a quelli che al voto aggiungono i vari “quasi”, “appena”, “non del tutto”, “più più” e “meno meno”, che come sussurri vanno a creare sfumature impalpabili. Pensate a quelli che non danno meno di 5, “tanto una volta che è insufficiente basta così”, e a quelli invece che danno anche 0 e 1. Pensate a come sono diversi i voti tra un insegnante e l’altro quando i ragazzi cambiano insegnante. Non c’è niente di oggettivo in tutto questo, ognuno utilizza i numeri con modi e significati diversi. Certo, i voti numerici sono confrontabili, ci si possono fare le medie e i grafici, ma sono oggettivi tanto quanto i calcoli del segno zodiacale e dell’ascendente: matematicamente ineccepibili ma senza relazione con le persone reali a cui vorrebbero riferirsi.
È ancora possibile fermarsi a riflettere prima di buttare all’aria il lavoro di tre anni e discutere su come migliorare l’attuale sistema invece che cancellarlo con un tratto di penna? La valutazione formativa è stata la più importante novità accolta dalla scuola italiana negli ultimi anni, mettendo al centro del processo di valutazione l’alunno e non i numeri né la sua performance: se è di difficile comprensione per le famiglie lavoriamoci su, ma non gettiamola via.
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