Insieme alla Slovenia, la Francia è uno dei pochi Paesi europei le cui scuole pubbliche (frequentate dall’80% degli alunni, mentre il restante 20% è in gran parte iscritto a scuole private cattoliche parzialmente finanziate dallo Stato) non offrono alcuna educazione religiosa. Le ragioni sono di carattere storico: alla fine del XIX secolo, i repubblicani decisero che le scuole pubbliche finanziate dallo Stato dovessero essere religiosamente neutre (laiche), il che implicava la scomparsa del corso di educazione religiosa e morale. La religione continuò a essere affrontata nel curriculum, in particolare in Storia, ma solo marginalmente, al fine di «evitare ogni proselitismo» ma anche «qualsiasi approccio critico che potesse andare contro i sentimenti religiosi delle famiglie, ai fini di una pacificazione».

La situazione si è evoluta nel corso degli anni Ottanta: in un contesto di secolarizzazione (la cultura religiosa veniva trasmessa sempre meno dalle famiglie), di pluralizzazione (il declino numerico del cattolicesimo e la crescita di altre religioni, in particolare l’islam) e di indebolimento delle scienze umane in senso lato, alcuni accademici presentarono dei rapporti ai ministri dell’Istruzione chiedendo un rafforzamento dello studio delle religioni nei curricula (il che si è fatto nel 1996 in quelli di Storia e Letteratura).

Anzitutto per il proprio patrimonio: gli alunni devono poter continuare ad accedere al significato delle opere d’arte, molte delle quali hanno una dimensione religiosa che deve poter essere decifrata. Un secondo motivo fa riferimento alla necessità di comprendere un mondo, come quello contemporaneo, in cui il religioso torna sulla scena. Infine, il terzo motivo si basa sul presupposto che una migliore conoscenza delle diverse credenze favorirebbe il rispetto e la comprensione reciproca.

Il Rapporto Debray, presentato nel febbraio 2002 al ministro dell’Istruzione, il socialista Jack Lang, differisce dai documenti precedenti per l’importante eco ricevuta. Scritto all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001, suscitò l’interesse dell’opinione pubblica in un momento in cui i minuti di silenzio nelle aule, in omaggio alle vittime del terrorismo, avevano talvolta provocato le proteste di alcuni alunni musulmani, e in cui si osservava un inasprimento dei conflitti legati alla possibilità, per le ragazze musulmane, di indossare il velo in classe. La personalità dell’autore, Régis Debray, ex compagno d’armi di Che Guevara, scrittore prolifico, alto funzionario, personalmente agnostico ma affascinato dalla questione del sacro, contribuì all’interesse suscitato dalla sua proposta chiave: introdurre un «insegnamento del fatto religioso» nelle scuole pubbliche.

Il Rapporto Debray non voleva portare Dio nella scuola. Proponeva invece lo studio distanziato e critico delle credenze passate e presenti

Non si trattava di «portare Dio nella scuola», ma di studiare, in modo distanziato e critico, le tracce materiali e immateriali delle credenze passate e presenti. Piuttosto che creare una nuova disciplina, in un sistema educativo, come quello francese, in cui i programmi di insegnamento sono già molto pesanti e frammentati, Debray raccomandò un approccio trasversale, all’interno delle discipline che si prestavano allo studio del religioso (la musica, l’arte, le lingue, il francese, la letteratura, la filosofia). Ciò presupponeva una modifica e una coerente uniformazione dei programmi, ma anche di agire sugli insegnanti armandoli «intellettualmente e professionalmente per affrontare un tema sempre delicato perché tocca l’identità più profonda degli alunni e delle loro famiglie».

Debray consigliò al ministro di istituire dieci ore di formazione iniziale obbligatoria e moduli di formazione in servizio per gli insegnanti e il personale educativo, di produrre risorse didattiche adeguate, e di creare un Istituto europeo di studi religiosi, collegato alla sezione di Studi religiosi dell’École pratique des hautes études (Iesr), che fungesse da interfaccia tra la ricerca nelle scienze religiose e la formazione di insegnanti e funzionari.

A vent’anni da allora, i risultati sono piuttosto contrastanti. È vero che, inizialmente, nonostante il cambio di ministro dell’Istruzione in seguito alle elezioni che consegnarono la vittoria alla destra nel giugno 2002, le raccomandazioni furono parzialmente attuate: l’Iesr venne creato nel giugno 2002 e nel 2005 il fatto religioso venne definito come parte del nucleo comune di conoscenze da acquisire prima di lasciare la scuola. Anche i programmi di studio e i libri di testo furono rielaborati per sviluppare un approccio più scientifico al religioso. D’altra parte, la formazione degli insegnanti su questi temi non divenne mai generalizzata, nonostante l’introduzione di moduli in alcuni istituti di formazione per insegnanti e lo sviluppo di una serie di corsi da parte dell’Iesr.

La mobilitazione circa l’insegnamento del fatto religioso si è indebolita, lasciando spazio a priorità educative come l'educazione allo sviluppo sostenibile e all'uguaglianza di genere

A poco a poco, la mobilitazione intorno all’insegnamento del fatto religioso si è indebolita, mentre sono apparse altre priorità educative: educazione allo sviluppo sostenibile, pensiero critico e media, uguaglianza tra ragazzi e ragazze ecc. La riorganizzazione dei curricula, considerati troppo pesanti dagli insegnanti, non ha permesso di sviluppare il posto del fatto religioso che, anzi, è diminuito.

Gli attentati commessi in nome dell'islam hanno occasionalmente riattivato, sotto i mandati quinquennali di François Hollande e poi di Emmanuel Macron, il desiderio di attuare una politica ragionata e nazionale di insegnamento del religioso, ma non sono state prese misure concrete, in un contesto in cui si è data priorità all’educazione alla laicità e ai valori della Repubblica, considerata più rilevante dello studio comparato delle credenze per porre rimedio al jihadismo e al separatismo.

Lo stesso ministero dell’Istruzione ha talvolta scoraggiato le buone intenzioni del corpo docente, per esempio accusando un insegnante nel 2017 di aver «violato il suo dovere alla neutralità e alla laicità» dopo aver fatto lavorare i suoi alunni sulla Bibbia. Il tribunale amministrativo ha infine revocato le sanzioni, ritenendo che l’insegnante non avesse mai manifestato il suo credo religioso (era peraltro un non credente), ma il caso ha contribuito a inibire ulteriormente gli insegnanti, che temono complicazioni se affrontano temi molto accesi come questi, mentre spesso si appassionano quando viene loro offerta una formazione in materia.

 

[Traduzione dal francese di Antonio Ballarò]