In molte realtà italiane, soprattutto nelle aree interne, montane e insulari, la pastorizia svolge un ruolo di vero e proprio presidio territoriale e contrasta, con la sua presenza radicata e diffusa, i crescenti fenomeni di abbandono. Offrendo una forma sostenibile e autonoma di lavoro e reddito, la pastorizia contribuisce a tenere vivi e produttivi questi territori. Il settore presenta ampi margini di sviluppo e diffusione, una buona resilienza e la capacità di innestare percorsi innovativi sulla tradizione.

La pastorizia di montagna – allevamento estensivo a pascolo di diverse specie – è un’attività che associa tradizionalmente forme di produzioni di qualità con servizi socio-ambientali, come il mantenimento della biodiversità, del paesaggio e le diminuzioni dei rischi ideo-geologici. «Il pastore è il guardiano del paesaggio»: un paesaggio intercalato da mandrie e pascoli, cascine e campi coltivati, malghe e boschi è un valore aggiunto prodotto dall’attività antropica di questi allevatori. Sono poi note le proprietà nutraceutiche, anche a valenza antitumorale, del latte d’alpeggio, così come la funzione eco-sistemica e di valenza culturale svolta dalla «transumanza» (non a caso inserita dal 2019 nel patrimonio Unesco), nonché il valore economico aggiunto che la produzione lattiero-casearia ha sul prodotto e, quindi, sulla sostenibilità economica delle produzioni di montagna. Per un Paese come il nostro, che ha fatto della filiera latte-formaggio uno dei suoi «brand», sarebbe del tutto atteso il dotarsi di un percorso formativo e qualificante per il «mestiere del pastore». Invece così non è. O, meglio, non era. Perché è nata la Scuola nazionale per la pastorizia (Snap). Diretta da Daniela Storti, esperta ricercatrice del Crea che da anni lavora a questo tema, diretta dall’associazione Riabitare l’Italia, titolare dei fondi e finanziata dalla fondazione Cariplo e dal Crea/Rete rurale nazionale, la Scuola prende le mosse da una semplice constatazione: nonostante il sempre maggiore apprezzamento per questa pratica a tutti i livelli, la pastorizia soffre di un importante problema di ricambio generazionale con conseguenze negative sulle aziende pastorali, sul mondo del lavoro, sulle filiere connesse e sul paesaggio. Per affrontare le tante sfide che provengono dai cambiamenti in corso, sono necessarie azioni che facilitino l’adozione da parte degli operatori del settore delle necessarie innovazioni tecnologiche, organizzative e sociali per coniugare obiettivi di reddito, buona gestione degli ecosistemi e salvaguardia dell’identità culturale.

Sino a oggi le scarse proposte formative erano distribuite a macchia di leopardo, legate all’attivazione contingente di corsi specifici da parte di attori del territorio

La Scuola ha una storia significativa e in qualche modo esemplare dell’innovazione istituzionale che può scaturire, se ben interpretata, dall’azione di «terza missione» dell’Università. L’idea iniziale nasce anche all’interno della Strategia nazionale per le aree interne, come ci ha raccontato Sabrina Lucatelli, «in un incontro con i baschi». In Spagna esistono infatti «scuole regionali» dedicate al pastoralismo, mentre in Francia esiste un percorso nazionale di formazione, selettivo e strutturato. In Italia non vi sono scuole dedicate a tali professionalità. Le scarse proposte formative sono distribuite a macchia di leopardo e appaiono legate all’attivazione contingente di corsi specifici da parte di attori del territorio, specialmente realtà associative, in funzione del reperimento di un qualche finanziamento. La Strategia aree interne registra il bisogno di un’iniziativa strutturata e avvia un’interlocuzione con il ministero competente, tuttavia senza esito.

La stessa necessità viene rilevata anche dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’economia agraria (Crea) e dalla Reterurale, così come da studiosi e operatori del settore. Ma non se ne fa nulla. I pastori non hanno «voce», sono attori assai marginali che non influenzano il disegno delle politiche pubbliche. Questa è una specificità soprattutto italiana, mentre in altri Paesi i pastori hanno una maggiore capacità di azione collettiva. Anche da questa considerazione nel 2017 nasce Appia, la Rete italiana della pastorizia, che sarà un partner importante della Snap. Il punto di svolta si ha nel 2019, a margine di un incontro promosso da Filippo Barbera presso il Collegio Carlo Alberto di Torino e nell’ambito di un finanziamento della Compagnia di San Paolo del programma «Torino e le Alpi». Qui si forma un primo nucleo operativo, con studiosi e operatori della filiera, da Michele Nori (Rete Appia), a Daniela Storti (Crea), a Guido Tallone (Agenform), ad Andrea Membretti (Riabitare l’Italia), a Luca Battaglini (Università di Torino). L’attività prosegue – anche grazie a un successivo finanziamento sempre targato Compagnia di San Paolo-Università di Torino (responsabile scientifico Filippo Barbera) – per i successivi 2/3 anni, con incontri focalizzati e allargamento progressivo del gruppo di lavoro che arriva a includere operatori regionali, dal Trentino alla Sardegna, dalla Basilicata alla Toscana. Il lavoro viene operativamente coordinato da Francesco Di Meglio, della cooperativa Nemo (Nuova economia di montagna).

Si tratta, quindi, di un caso da manuale di «innovazione istituzionale», dove alla rigidità e lentezza delle istituzioni centrali fa da contraltare il dinamismo di una coalizione plurale e l’azione di un «imprenditore di policy» che eredita un’idea-forza generale e la attua «scommettendo» risorse pubbliche sul tema. Nel 2021-22 il progetto viene presentato dall’associazione Riabitare l’Italia – in partenariato con il Crea e la Rete rurale nazionale - all’attenzione della fondazione Cariplo, che ne finanzia una prima parziale sperimentazione. Il tutto è accompagnato da un comitato scientifico di cui fanno parte gli attori che hanno contribuito all’ideazione, per mantenere la maggiore continuità possibile tra ideazione e attuazione. In parallelo, Antonello Franca, un altro dei componenti del nucleo operativo, incontra l’interesse del Gal Anglona Romangia della regione Sardegna, che mette a disposizione un finanziamento per un’edizione isolana. Al gruppo partecipa, oltre all’Università di Torino, anche l’Università del Molise, con l’antropologa Letizia Bindi. Il progetto passa oggi alla fase attuativa, a geometria variabile e si adatta alle esigenze territoriali e dei finanziatori in modo calibrato, senza imporre un unico modello, ma mantenendo sia la progettualità di fondo sia la continuità con il gruppo fondatore.

L’obiettivo dell’iniziativa è di formare figure specializzate nell’ambito dell’allevamento estensivo di montagna. Ciò potrebbe costituire l’innesco di un processo di valorizzazione della pastorizia

Come anticipato, l’obiettivo generale dell’iniziativa è di formare figure specializzate nell’ambito dell’allevamento estensivo di montagna. Ciò potrebbe costituire l’innesco di un processo di valorizzazione dello specifico settore della pastorizia, con il superamento degli attuali nodi critici e l’introduzione di elementi innovativi che ne supportino l’innovazione. La bassa redditività del settore, combinata con le problematiche di accesso alla terra e al credito, frena il mantenimento di produzioni a carattere familiare come anche l’avvio di progetti di auto-imprenditorialità da parte delle giovani generazioni.

Di conseguenza il mestiere è svolto sempre più da stranieri, spesso coinvolti in attività di base low-skilled, precarie e malpagate. L’attivazione di percorsi di formazione sul modello delle scuole francesi e spagnole potrebbe incentivare scelte imprenditoriali verso forme di allevamento autonome o quantomeno elevare le condizioni di lavoro e retributive di un segmento professionale oggi fortemente svalorizzato. La sperimentazione guidata da Riabitare l’Italia e da Crea-Rete rurale nazionale rappresenta quindi un primo risultato del lungo lavoro di innovazione istituzionale.

La Scuola si pone come supporto prioritario attraverso il quale favorire la diffusione e lo sviluppo dell’allevamento estensivo degli animali in produzione zootecnica, all’interno di una logica di multifunzionalità e di generazione di servizi ecosistemici; attrarre risorse umane nel settore agro-pastorale e riqualificare quelle esistenti attraverso adeguati strumenti formativi; diffondere nella società la cultura legata al pastoralismo, salvaguardandone l’identità ed evidenziandone la modalità di gestione rispettosa dell’ambiente e degli equilibri ecologici. La Scuola aspira a fornire elementi di formazione, informazione, innovazione e dialogo e si propone come modulare, itinerante e interattiva. Il progetto è modulare: il sistema proposto si forma di moduli tematici settoriali, con metodi e contenuti di orientamento nazionale/europeo, organizzati funzionalmente al profilo dei destinatari dei corsi, al territorio di formazione e all’interesse degli attori locali. I moduli formativi sono concepiti come workshop residenziali articolati in sessioni stagionali e comprendono momenti teorici, pratici, di stage in azienda. È poi di tipo itinerante per adattarla alle specificità dei territori locali attraverso moduli da organizzare nei diversi territori, usufruendo delle strutture ospitanti disponibili, e per immergersi nella cultura dei luoghi con esperienze formative complementari all’offerta didattica.

Questa modalità permette inoltre un più diffuso coinvolgimento di allevatori e pastori, uomini e donne, e un coinvolgimento diretto delle aziende locali. È fortemente interattiva: fondata sull’informazione condivisa e sul dialogo attraverso il coinvolgimento dei diversi attori del territorio nei percorsi formativi, per facilitare il confronto tra la categoria e gli altri soggetti con i quali, nell’esperienza professionale, potranno interagire. Lo sviluppo di una pastorizia sostenibile necessita infatti di un cambio di paradigma per i tanti altri interessi ed attori che la circondano – dai parchi e dalle aree protette, ai veterinari, al turismo, ai consumatori, alle amministrazioni pubbliche - che vanno dunque coinvolti in questo processo di innovazione, soluzioni condivise e crescita partecipata. Si rivolge a donne e uomini interessati a intraprendere questa attività, che possono essere lavoratori in altri settori, disoccupati o studenti. Si prevedono servizi complementari, servizi di assistenza e sostegno più ampi per la costituzione di un’azienda nel settore.

L’ambito preferenziale per attuare il progetto è quello territoriale, delle aree interne montane ed insulari. Dal punto di vista dell’allevamento, si concentra in particolare sulla pastorizia preferenzialmente con ovini e caprini, in quanto specie più idonee di quella bovina, data la fragilità degli ambienti dal punto di vista dell’impatto ambientale. Nel progetto possono comunque rientrare anche i bovini purché vengano scelte razze idonee e adottate modalità di gestione delle risorse pastorali equilibrate e virtuose. La Scuola non esaurisce le sue attività in ambito formativo ma vuole essere anche un luogo di innovazione e un cantiere dove scambiare informazioni, organizzare eventi, strutturare servizi di assistenza, promuovere iniziative di animazione territoriale e di confronto e dialogo tra i diversi attori. La Scuola diventa quindi anche un’opportunità per valorizzare i territori e per veicolare conoscenza, consapevolezza e valore riguardo a questo tipo di professione e servizio e, quindi, per rafforzare diritti e risorse per chi la pratica.