A 44 anni, alla fine del giugno scorso, è morto di leucemia Don Lorenzo Milani. Era nato il 1923 a Firenze ma aveva passato tutta la sua infanzia e adolescenza a Milano. La sua famiglia era di radicate tradizioni intellettuali. Il nonno un notissimo archeologo (a Firenze c’è anche un monumento in suo nome), la madre una raffinata signora israelita, il padre un professore universitario. Una famiglia quindi in cui la cultura più sofisticata era di casa, ma in cui non vi era alcun accenno di problematica religiosa. Fece il liceo a Milano e si iscrisse ad architettura andando anche un anno in Francia per studiare con Le Corbusier. Tutto lasciava prevedere, dato il tipo di famiglia e la brillante riuscita negli studi, una rapida quanto fortunata carriera da intellettuale universitario.

Invece, improvvisamente, con la violenza di una conversione totale, Lorenzo Milani decide di diventare Don Lorenzo. Fu una rottura totale e definitiva con il mondo passato. Egli decise di vivere da povero a favore dei poveri («chi non decide di prender partito dopo quindici giorni dalla parte dei ricchi») e, dopo aver rinunciato al fascino di una vita cosmopolita, alle raffinatezze delle discussioni salottiere, ai piaceri della ricerca scientifica, abbandonando, nel momento della sua entrata in seminario, anche l’ultimo aspetto vistoso che può avere un figlio di intellettuali: il tipo di linguaggio. Don Milani prese cosi, come suo, il linguaggio dei poveri montanini chiusi nella loro solitudine, dei contadini smaniosi di venire in città, degli operai sfruttati e oppressi dai vari padroni. Con questo linguaggio duro, scomodo, impastato di realtà, si avvicinò ai poveri per far di loro prima di tutto degli uomini vivi e responsabili e poi dei cristiani veri.

Tutti i poveri che lo conobbero lo compresero e lo amarono in pieno mentre, tra i non poveri, molti (troppi) lo travisarono quando non lo avversarono

Fu così che durante la sua vita solo tutti i poveri che lo conobbero lo compresero e lo amarono in pieno mentre, tra i non poveri, molti (troppi) lo travisarono quando non lo avversarono.

Nel 1947 fu ordinato sacerdote e nominato vicario cooperatore nella parrocchia di S. Donato («la mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c’era solo una scuola elementare. Cinque classi in un’aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa») ed iniziò subito una scuola per questi poveri montanini e campagnoli.

Le esperienze di questa scuola, unitamente ad una descrizione della sua parrocchia (una descrizione curata fin nei minimi particolari piena di un amore totale per i poveri ma nello stesso tempo impietosa perché «chi non sa amare il povero nei suoi errori non lo ama») sono descritte nel suo libro Esperienze pastorali uscito nei 1958. Questo libro permetteva di identificare immediatamente i due tipi di sacerdoti (e laici) cattolici per i quali Don Milani non poteva che essere uno «scandalo».

C’è infatti un tipo di sacerdote cattolico che per non avere scelto con decisione i poveri ha scelto i ricchi e si contentato di un ruolo ritualistico burocratico all’interno della Chiesa: « amministrare » i sacramenti, inaugurare fabbriche con relative banchetto insieme all’industriale di turno («caro padre assaggi questo vinello...»), sentire la missione apostolica come l’organizzazione di una serie di uffici che producono riviste in serie, uomini in serie, propaganda nei momenti elettorali ecc., sacerdoti lontani, lontanissimi dai poveri e dalle dure parole del Vangelo.

Ma c’è anche un altro tipo di sacerdote (e anche di laico naturalmente) a cui Don Milani non ha certo risparmiato le sue critiche. Si tratta del sacerdote che giudica di destra il prete amministrativo di cui sopra e si proclama pertanto di sinistra, il più a sinistra possibile. Legge “l’Espresso”, fa conferenze sulla Chiesa dei poveri e sull’importanza del laicato, conosce tutti i libri di avanguardia e li sa citare (sono libri progressisti pieni di citazioni che rinviano ad altri libri ancor più pieni di citazioni e così via), sembrerebbe insomma quanto di meglio si possa avere ma anche lui nelle sue azioni, d lontano, lontanissimo dai poveri e dalle dure parole del Vangelo.

Si spiegano così le incomprensioni che Don Milani ricevette nella diocesi fiorentina. Probabilmente per Mons. Florit (attuale arcivescovo di Firenze) che fece ritirare il libro Esperienze pastorali nonostante- fosse uscito con l’imprimatur, Don Milani era un tipo originale che faceva un doposcuola, un giovane di buona famiglia che usava un linguaggio volgare e poi, quei cattolici progressisti, quelli del tipo «a sinistra», non lo dipingevano come un amico del marxismo... uno forse vicino all’eresia?

Don Milani era conficcato nella Chiesa di Cristo. Ma uno che segue alla lettera il Vangelo e le leggi della Chiesa fa sentire a disagio

Vicino all’eresia... Don Milani era conficcato nella Chiesa di Cristo. Ma uno che segue alla lettera il Vangelo e le leggi della Chiesa fa paura, fa sentire a disagio, fa avvertire l’anticipazione di un giudizio dato con amore ma giusto, impietosamente giusto.

E allora, se uno è un prete amministrativo, meglio pensare questo Don Milani come un tipo strano, da allontanare e delimitare; oppure, se uno un prete o un laico di quelli sempre più a sinistra, meglio pensarlo come uno che è «fine» andare a trovare come «un caso» per poi citarlo in qualche raffinata conferenza.

[Queste sono le prime tre pagine dell'articolo è uscito sul 8/1967 della rivista, pp. 658-682. L'articolo completo può essere letto qui.]