Alla fine anche i più distratti si sono accorti che il voto di domenica e lunedì era un voto molto importante. In un Paese come il nostro, dove sembra spesso che le azioni non abbiano conseguenze, si assiste ora, invece, a indicazioni molto precise. Conseguenze evidenti della politica, e soprattutto di quella cattiva e anzi pessima, degli ultimi tempi. Per anni tutte le forze politiche, a turno, hanno cercato di dare un peso e un’interpretazione nazionale ai voti amministrativi. Gli esiti delle consultazioni elettorali per comuni, province e regioni hanno spesso avuto riflessi, anche pesanti, sugli equilibri politici nazionali. Oggi, almeno nel breve periodo, c’è da augurarsi che ciò non accada, e che la legislatura possa arrivare fino in fondo. Difficile dire però se ciò accadrà o meno.
Nel frattempo, il sistema partitico italiano saprà darsi una regolata? C’è da dubitarne, anche vista l’impossibilità sino ad ora di trovare un accordo sulle due grandi questioni che i partiti possono e devono gestire senza intermediari tecnici o presunti tali: le loro forme di finanziamento pubblico, più o meno occulte; la revisione della legge elettorale, alias Porcellum. L’esito del voto dovrebbe rappresentare una spinta propulsiva non indifferente. Tuttavia, una classe politica in larga parte ripiegata su se stessa e assai poco proiettata verso una stagione rinnovata di lavoro istituzionale e costituzionale per il bene comune non sembra in grado di cogliere i segnali evidenti che arrivano dalle urne. Vediamoli, possiamo sintetizzarli in quattro punti, e cerchiamo subito di andare con la memoria ai fatti recenti della cronaca politica, e giudiziaria, che li hanno originati.
L’astensione, innanzitutto. È il primo indicatore per cogliere la stanchezza dell’elettorato e il calo di partecipazione alla vita pubblica. Da Como a Palermo la tendenza è netta, con un calo medio calcolato sui comuni capoluogo di 6,8 punti percentuali e picchi al Nord, che arrivano al -13,9% di Monza o al -13,3 di Alessandria. Auguriamoci di non dovere udire nessuno che tenta di consolarci, e soprattutto di consolarsi, comparando questi dati alla partecipazione al voto negli altri Paesi.
Viene poi il crollo del centrodestra, sia nella sua versione istituzionale, sia in quella condita in salsa populista-padana. Il Pdl cede ovunque, tanto da perdere spesso anche la seconda piazza nelle classifiche finali, comune per comune. A Verona il suo candidato sindaco racimola un misero 8,8%, rispetto ai 15 e ai 25% delle comunali precedenti e delle ultime politiche. A Palermo Costa, sostenuto anche dall’Udc, si ferma al 12,8%, quando nel 2007 la sola Forza Italia raccolse il 19% e, alle politiche dell’anno dopo, Pdl, Udc, Mpa e Destra passarono comodamente il 60% dei consensi. Proprio il voto di Palermo, la città del segretario Pdl Alfano, avrà probabilmente conseguenze significative sugli assetti nazionali del partito, con rischi di vere e proprie implosioni (ma anche la pesante sconfitta del Pd a opera del redivivo Orlando, che sfiora l’affermazione al primo turno, sostenuto da Di Pietro e Sinistra ecologista, va considerata attentamente).
Terzo indicatore: la Lega. Il partito del dio Po lascia per strada uno dopo l’altro il paese di Bossi (Cassano), quello di Calderoli (Mozzo) e pure Sarego, che come molti non ricorderanno venne eletto a sede del parlamentino padano. Ma è soprattutto nei grandi centri del Nord che si assiste alla débâcle: Como -25, Piacenza -12, Crema -15, Monza -9%.
E il Pd? Come sempre dipende dai punti di vista, benché i numeri siano numeri. Palermo a parte, Bersani festeggia, e fa bene. Perché il suo si conferma il primo partito tra quelli presenti in Parlamento, quanto a voti e comuni conquistati. Ovviamente in attesa dei tanti, e importanti, ballottaggi. Eppure il partitone non potrà più guardare con distacco – irritazione o simpatia, a seconda dei casi – al movimento di Grillo. Ed ecco il quarto punto. L’affermazione nettissima dei grillini. Ad esempio a Parma (sfiorano il 20% e vanno al ballottaggio) o in un comune importante alle porte di Bologna (Budrio, 20,4%, dove portano al ballottaggio un giovane candidato Pd molto stimato dalla base), due dati sufficienti per fare del Movimento 5 stelle il secondo partito della regione un tempo rossa (per non dire di Comacchio: 22,3%).
Per questo, e non solo per questo, il partito di Bersani dovrà interrogarsi a fondo sul ruolo da giocare nelle diverse amministrazioni. Pena l’erosione progressiva del suo peso politico e del suo potere locale a favore di movimenti la cui capacità di creare consenso non può più essere messa in dubbio ma la cui capacità di fare politica e costruire futuro deve ancora in gran parte essere verificata alla prova dei fatti.
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