Per decifrare ciò che succede a Palermo in vista delle imminenti elezioni comunali è necessario andare, apparentemente, fuori tema e accennare al quadro politico regionale.

L’attuale Governo della Regione, presieduto da Raffaele Lombardo, ex democristiano e leader del Movimento Politico per l’Autonomia, eletto nel 2008 con una netta maggioranza di centrodestra, si è progressivamente trasformato, attraverso quattro rimpasti e alcune scissioni localistiche del Pdl e dell’Udc, in una sorta di governo di tecnici, sostenuto da una maggioranza anomala tra Pd, Mpa e ciò che resta del “terzo polo” dopo la recente fuoriuscita dell’Udc. Il dibattito su differenze e similitudini, nelle modalità di gestione del potere e di acquisizione del consenso, tra il “cuffarismo” (dal nome del precedente presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, che sta scontando in carcere la condanna per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio) e il “lombardismo” (Lombardo è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio con l’aggravante mafiosa)  ha spaccato l’opinione pubblica e la sinistra. Lo stesso Partito democratico è diviso al proprio interno sulla scelta di tenere in vita, come avviene già da due anni, questo Governo (problema che sembrerebbe superato dalle preannunziate dimissioni del presidente) e sulle alleanze future.

In questo quadro la campagna per le elezioni amministrative e, in particolare, la battaglia per la conquista del comune capoluogo sembrano diventate più un terreno di manovra politica, in vista delle (probabilmente anticipate) elezioni regionali, che non l’occasione di confronto per risolvere la grave situazione di un’amministrazione sull’orlo del dissesto finanziario, con una macchina burocratico-organizzativa assolutamente inefficiente, con i servizi essenziali allo sfascio e migliaia di precari, a rischio di licenziamento, che minacciano (come hanno, più volte, già fatto) di mettere a soqquadro la città. Un compito molto arduo, che ha consigliato al centrodestra - il cui sindaco uscente, che si è dimesso anticipatamente, non è stato difeso da nessuno - di tenere un profilo basso. Così il Pdl non ha candidato un uomo di partito, poi con un’abile mossa - che qualcuno ha definito da “calcio-mercato” -  si è detto disponibile a convergere sul candidato del “terzo polo”, Massimo Costa, giovane presidente regionale del Coni, che, nel frattempo, aveva già ricevuto l’investitura ufficiale da Casini, Fini e Lombardo, nonché l’appoggio del movimento (Grande Sud) di Gianfranco Miccichè. Ciò ha provocato una spaccatura nell’area centrista: Mpa e Fli, intenzionati a distinguersi dal Pdl, hanno preso le distanze da Costa e hanno scelto come nuovo candidato un deputato regionale di Fli, Alessandro Aricò, ex assessore comunale della giunta Cammarata.

C’è poi una terza candidata dell’area moderata, Marianna Caronia, anch’essa deputato regionale ed ex vicesindaco di Cammarata, appoggiata dal Pid di Saverio Romano (movimento nato da una scissione dall’Udc di Casini), che però ha già concordato con il Pdl un’alleanza per il secondo turno. In conclusione, emerge un centrodestra frammentato, con candidati considerati deboli dagli stessi partiti che li sostengono. Ma resi ancora più deboli dalla nuova legge elettorale regionale, che, nel confermare la possibilità del “voto disgiunto”, ha però abolito l’automatica attribuzione al candidato sindaco del voto dato alla lista collegata. Ciò impedisce che le liste svolgano la tradizionale funzione trainante che in passato ha sempre favorito il candidato del centrodestra (che ha sempre preso meno voti delle liste collegate, all’inverso di quanto è avvenuto per il centrosinistra).

Ma si presenta altrettanto frammentato, e anzi lacerato, il centrosinistra, dopo il fallimento delle primarie, il cui esito (confermato da un controverso parere del comitato dei garanti, nonostante numerose irregolarità e indagini della magistratura in corso) non è stato accettato da Italia dei valori, Federazione della sinistra e Verdi. Così, il formale vincitore, Fabrizio Ferrandelli, giovane capogruppo dell’Idv nel consiglio comunale uscente, candidatosi in aperta ribellione al leader del suo partito, Leoluca Orlando, appoggiato, oltre che da alcuni movimenti civici e associazioni di volontariato, dall’ala filo-lombardiana del Pd, è riuscito a prevalere per pochi voti su Rita Borsellino. La deputata europea, simbolo dell’antimafia, apertamente sostenuta dalla segreteria nazionale e da quella regionale del Pd, e da tutti i partiti della sinistra, è stata imprevedibilmente sconfitta, oltre che per le divisioni interne al Pd, anche perché indebolita dalla candidatura del consigliere comunale del suo stesso movimento. Tutto ciò ha provocato la controversa “discesa in campo” di Leoluca Orlando, ex sindaco delle giunte della “primavera palermitana” degli anni Novanta, appoggiato, oltre che dai suddetti partiti, da significativi ambiti di “società civile”, che non hanno riconosciuto l’esito delle primarie e che paventano la possibilità di un accordo Pd-Lombardo.

Alla vigilia delle elezioni, dal clima che si respira in città, e da alcuni sondaggi (sulla cui attendibilità è sempre bene essere prudenti), sembra che i candidati in gioco siano soltanto tre: Orlando, Ferrandelli e Costa. La polverizzazione dello scenario politico - 11 candidati a Sindaco, 26 liste e 1319 candidati al Consiglio – sembra escludere la possibilità che la partita si chiuda al primo turno. Se così fosse potrebbero aprirsi tre scenari diversi: nel primo, nel caso di un confronto tra Orlando e Costa, la prospettiva di un accordo Pd-Lombardo subirebbe, quantomeno, una battuta di arresto; nel secondo, nel caso di un confronto tra Ferrandelli e Costa, tale strategia si rafforzerebbe; nel terzo, quello apparentemente più paradossale, il ballottaggio tra Orlando e Ferrandelli si trasformerebbe in una sorta di referendum tra le due prospettive. Agli elettori l’ardua sentenza.