La restaurazione dell’Ayatollah. Il 4 maggio, gli iraniani tornano al voto per il secondo turno delle elezioni legislative. Legislative che, nonostante il boicottaggio dell'opposizione riformista, non mancano affatto di importanza. Innanzitutto perché il primo turno delle elezioni ha permesso di capire che, in un contesto di forti pressioni internazionali, il potere di mobilitazione da parte dello Stato è oggi ben superiore a quello dell'opposizione anti-regime. Infatti, benché quest'ultima contesti l'affluenza ufficiale del primo turno (64,2%), il suo appello a scendere in piazza il 1° marzo, alla vigilia delle elezioni, si è rivelato un fallimento quasi annunciato. Con l'opposizione riformista fuori dai giochi, sono soprattutto i sostenitori del presidente Ahmadinejad da una parte, e quelli del dirigente supremo Khamene'i dall'altra, che si contendono il controllo del Parlamento.
Apparentemente inseparabili nel 2009, tutto sembra oggi dividere i due. Per Khamene'i, Ahmadinejad sarebbe troppo liberale socialmente, troppo avventuroso economicamente e troppo disposto al compromesso sul nucleare. Ahmadinejad invece vorrebbe fortemente indebolire il potere clericale assoluto di Khamene'i. Circa il 20% dei seggi, gran parte dei quali nelle circoscrizioni delle grandi città, rimangono ancora da assegnare, ma il primo turno sembra aver dato un vantaggio decisivo ai sostenitori di Khamene'i. Quest'ultimo si è mosso rapidamente per delineare le conseguenze politiche ed economiche di una sua vittoria. Meno di una settimana dopo il primo turno, il dirigente religioso si è intrattenuto con l'Assemblea degli Esperti, esprimendo tutta la sua soddisfazione per l'elezione di un Parlamento “responsabile”. Anche perché, ha aggiunto, una delle missioni del Parlamento è quella di costituire il governo. Pare inconcepibile che il dirigente si sia temporaneamente dimenticato che la scelta dei ministri rimane (per ora?) una responsabilità del presidente. Più probabile invece un messaggio sul futuro del sistema politico: da abolire la figura del presidente eletto, in favore di un governo scelto dal Parlamento. È la risposta inequivocabile di Khamene'i ai seguaci di Ahmadinejad che lo vorrebbero sovrano con funzione essenzialmente simbolica.
Ma la vittoria di Khamene'i potrebbe avere conseguenze anche sul piano economico. L'amministrazione Ahmadinejad passerà alla storia per avere realizzato l'abolizione dei sussidi generalizzati. Una riforma che, sebbene applaudita da Fmi e Banca mondiale, ha contribuito ad alimentare una pesante inflazione. Il governo ha provato a limitarne i danni, tramite la distribuzione di contanti, le “azioni di giustizia” (justice shares), e il controllo dei prezzi. Nel 2011 sarebbe addirittura calata la disuguaglianza nella distribuzione del reddito ma, con un possibile aumento del 50 o 60% del costo della vita, questo potrebbe non bastare a proteggere i ceti medio-bassi. Anche gran parte dell'industria nazionale è profondamente scontenta e le critiche al presidente non sono mancate neanche su questo terreno. L'abolizione dei sussidi avrebbe aumentato i costi della produzione, mentre il controllo dei prezzi limitava le entrate. Il governo avrebbe favorito la svalutazione della moneta nazionale imponendo tassi d'interesse bancari bassi, incoraggiando gli iraniani a investire in valuta estera. La debolezza relativa del rial, sebbene nociva per le imprese che acquistano materie prime in dollari, aiuta tuttavia il governo a colmare deficit di bilancio, dal momento che i proventi della vendita di petrolio sono pagati in dollari.
Ma è da Khamene'i che è arrivato il verdetto finale sull'incapacità del governo nel gestire l'economia. Pochi giorni prima dell'anno nuovo iraniano, ha avvertito il governo che spendere i profitti derivanti dal petrolio per “affari correnti” era insensato e “veramente dannoso”. In poche parole: più che spendere gli introiti per la distribuzione di contanti, li si dovrebbe investire nello sviluppo dell'economia e della produzione nazionale. Lanciando in seguito “produzione nazionale, sostegno al capitale e al lavoro iraniani” quale slogan per quest'anno, Khamene'i ha dato una netta direzione economica all'operato del governo. Se il secondo turno confermerà un Parlamento dominato da Khamene'i, i margini di manovra per Ahmadinejad saranno dunque sempre più ridotti.
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