Perché è importante analizzare i primi dati, ancora parziali, del settimo Censimento dell’agricoltura del 2020? Perché la conoscenza e la valutazione delle profonde trasformazioni strutturali, che si sono susseguite nel corso del tempo, non possono essere limitate soltanto a un gruppo di esperti (economisti agrari) e addetti ai lavori. L’agricoltura non solo occupa oltre la metà della superficie territoriale italiana, ma soprattutto esplica importanti funzioni per l’intera società; di conseguenza le dinamiche economiche, sociali e ambientali al suo interno sono rilevanti per il presente e per il futuro del Paese, inserendosi pienamente nel dibattito sulle crescenti ed evidenti disparità territoriali (L’Italia dei divari, “il Mulino”, n. 4/2022).
Innanzitutto, l’agricoltura gioca un ruolo fondamentale nella filiera alimentare, essendone la prima fase produttiva, a cui si affianca, con lo stesso valore aggiunto, l’industria alimentare. L’intero complesso agroalimentare, dall’agricoltura alla ristorazione, ha prodotto circa 550 miliardi di euro di fatturato, circa il 15% dell’intera economia (Crea Pb, L’agricoltura italiana conta 2022, 2022) e i consumi alimentari e di bevande hanno superato i 205 miliardi, con una spesa di 470 euro mensili per famiglia.
La sicurezza alimentare, che sembrava ormai scontata in termini di disponibilità di cibo, ora non lo è più, e anzi sta diventando sempre più cruciale in larghe parti del mondo, sia per le conseguenze della pandemia sia per la guerra che rischia di diventare anche guerra del cibo, con forte impatto sui prezzi dei mezzi di produzione (fertilizzanti e concimi) e dei beni alimentari. A ciò si aggiunge il cambiamento profondo dei modelli di consumo alimentare e il loro aumento (ne è esempio la Cina), con una popolazione mondiale che viaggia verso i 9 miliardi, sempre più urbanizzata, ma con ancora grandi fasce di popolazione che soffrono la fame (circa un miliardo di persone) e una ancora più vasta realtà di malnutrizione.
In un Paese importatore e trasformatore di commodity agricole (e non solo energetiche), per poi esportare prodotti alimentari per quasi 50 miliardi di euro nella Ue e nel resto del mondo, senza dimenticare le esportazioni di macchine agricole e di impianti di trasformazione alimentare, vi è dunque l’interesse a valutare le dinamiche in atto nelle strutture agricole chiamate a preservare e aumentare la rilevanza e la resilienza del sistema agroalimentare italiano all’interno della Ue, che esercita ancora una forte leadership a livello mondiale.
Inoltre, vi è il ruolo fondamentale, ma troppo spesso trascurato, del settore primario nella gestione del territorio, che include non solo la difesa idrogeologica e la tutela ambientale, ma anche la valorizzazione dei paesaggi e del “mosaico” delle realtà territoriali del Paese, anche sotto un profilo culturale. In molte realtà emergono sempre di più evidenti problematiche legate all’uso plurimo delle risorse naturali (terra e acqua in particolare), sia a fini produttivi (agricoltura, industria, servizi) sia per la crescente utilizzazione per usi civili, infrastrutturali e ora per la produzione di energia rinnovabile. In questo quadro vi è la necessità di ricomporre le relazioni fra la superficie coltivabile e lo sviluppo dell’irrigazione, e più in generale nella gestione delle acque, necessità resa più attuale dall’aumento delle temperature, dalla siccità e dai cambiamenti climatici che richiedono, già da tempo, l’adozione di interventi di contrasto poco sperimentati e utilizzati in precedenza.
Approfondire queste interrelazioni risulta oggi tanto più necessario quanto più ampi stanno diventando i processi di separazione e disgregazione fra aree urbane, peri-urbane e rurali, che evidenziano una “fragilità multidimensionale e crescente” che, sebbene in modo differenziato, riguarda l’intero Paese. La necessità di superare queste fragilità richiede l’adozione di politiche specifiche per uno sviluppo territoriale e ambientale più equilibrato e di interventi strutturali di medio-lungo periodo, senza aspettare che siano le emergenze a riportare alla ribalta queste tematiche (cfr. R. Fanfani, Agricoltura, territorio, salute e cibo, “il Mulino”, n. 3/2020).
La Superficie agricola totale ha subito una forte riduzione nel corso del tempo, scendendo da 22,3 milioni di ettari nel 1982 a poco più di 16,5 milioni nel 2020
I primi dati del Censimento consentono di delineare un quadro dei numerosi cambiamenti strutturali avvenuti nel nuovo millennio, ma anche la permanenza di nodi non ancora superati, che impediscono e rallentano le capacità del settore di rispondere pienamente alle sue molteplici funzioni. Le differenziazioni rimangono rilevanti e per certi aspetti si approfondiscono non solo fra Nord, Centro e Sud del Paese, ma anche fra pianura, collina e montagna, senza dimenticare il più complesso rapporto tra urbano e rurale.
La Superficie agricola totale (Sat), che comprende, oltre alla Superficie agricola utilizzata (Sau) per coltivazioni e allevamenti, anche i pascoli e i boschi delle aziende, ha subito una forte riduzione nel corso del tempo, scendendo da 22,3 milioni di ettari nel 1982 a poco più di 16,5 milioni nel 2020, con una perdita di quasi 6 milioni di ettari, una superficie che si avvicina sempre più a quella dell’intero Nord Est. Il calo più rilevante si è registrato nel secolo scorso, in particolare negli anni Novanta, ma è proseguito, in misura più contenuta, anche nel nuovo millennio. Di questi quasi 6 milioni di ettari, solo una parte è andata a incrementare la superficie forestale, che oggi supera oltre 11 milioni di ettari, quasi raggiungendo quella agricola utilizzata. L’auspicabile riforestazione e ampliamento dei boschi per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici dovrebbe riguardare non solo le aree urbane e peri-urbane, ma vi è soprattutto la necessità di una gestione più efficiente delle risorse forestali già esistenti, per contrastare i disastri idrogeologici e le devastazioni provocate annualmente dagli incendi dolosi e no. Ciò consentirebbe anche di aumentare l’attuale scarso contributo produttivo e occupazionale fornito dai boschi e foreste.
Nello stesso periodo la Sau complessiva è scesa da 15,8 milioni di ettari nel 1982 a poco più di 12,5 milioni nel 2020 (-20%), il che ha comportato una riduzione sostanziale della base produttiva agricola, ma dal 2000 questa perdita si è parzialmente arrestata (-5%). Purtroppo, non sono ancora disponibili i dati a livello territoriale, ma già nel Censimento del 2010 emergeva che questa contrazione era stata molto rilevante in montagna e in collina e più limitata in pianura, e tutto fa presumere che questa tendenza sia continuata fino ad oggi.
Il profondo cambiamento strutturale delle aziende agricole, non lineare nel tempo e nei territori, ha rappresentato poi uno degli elementi caratteristici dell’evoluzione dell’agricoltura italiana dal Secondo dopoguerra a oggi, man mano venivano al pettine i numerosi nodi strutturali di un settore non ancora moderno, con redditi che, pur crescendo, rimanevano minori rispetto all’industria prima e ai servizi successivamente.
Nel nuovo millennio si sono manifestati alcuni importanti segnali di rottura con il passato: da un lato l’affermazione di imprese in grado di affrontare le grandi trasformazioni del sistema agroalimentare nazionale e mondiale, dall’altro la continuazione e per alcuni aspetti l’aggravamento delle disparità territoriali e aziendali.
Se la persistenza di piccole e “micro-aziende” (sotto i 10 ettari) ha da sempre caratterizzato la realtà italiana, nel nuovo millennio la loro scomparsa ha avuto una forte accelerazione
Nel 2020 le aziende agricole (individuali, società di persone, di capitali e cooperative) sono scese drasticamente per fermarsi a poco più di 1,1 milioni, un terzo dei 3,1 milioni del 1982 e oltre la metà rispetto al 2000. Al loro interno operano più di 2,7 milioni di persone: conduttori, familiari, salariati con impiego continuativo e/o saltuario, con larga presenza di stranieri. I lavoratori autonomi (conduttori e componenti della famiglia agricola) sono circa 1,5 milioni, in netto calo rispetto all’inizio del secolo, ma consolidano il loro apporto alle attività aziendali, in termini di giornate pro-capite. Forte è l’incremento dei lavoratori dipendenti, circa 1,3 milioni, che invece presentano crescente precarietà, sottoccupazione e forte presenza di lavoratori stranieri.
Il crollo delle aziende e la contemporanea sostanziale tenuta della Sau hanno comportato un vero e proprio salto nelle dimensioni medie aziendali, ferme a poco più di 5 ettari di Sau nel 2000, per raddoppiare a 11 ettari nel 2020. Restano e si approfondiscono le disparità territoriali: nelle regioni settentrionali le ampiezze medie si stanno allineando a quelle delle altre agricolture europee (circa 20 ettari), mentre nel Sud si aggirano ancora intorno ad 8 ettari.
I cambiamenti strutturali sono stati però ancora più profondi. Se la persistenza di piccole e “micro-aziende” (sotto i 10 ettari) ha da sempre caratterizzato la realtà italiana, nel nuovo millennio la loro scomparsa ha avuto una forte accelerazione; pur rimanendo ancora prevalenti numericamente (oltre 80%), la loro superficie è scesa a meno del 20% della Sau totale (era il 38% nel 1982). Le aziende di medie dimensioni (fra 30 e 50 ettari) sono aumentate in misura limitata, ma l’incremento più consistente si è registrato in quelle superiori ai 50 ettari di Sau (soltanto 51 mila aziende), che nel 2020 gestiscono quasi la metà della superficie agricola italiana.
All’aumento delle dimensioni medie aziendali hanno concorso due importanti mutamenti nella gestione della terra. Da un lato vi è stato il crescente ricorso all’affitto, sia per la minore importanza attribuita alla proprietà della terra, sia per le difficoltà di accesso a un mercato fondiario caratterizzato da quotazioni ancora elevate. Nel 2020, anche se la proprietà è prevalente (oltre 50% della Sau), l’affitto ne occupa il 40% e anche l’uso gratuito aumenta (10%). Sono soprattutto le imprese agricole “miste” (proprietà con affitto e/o uso gratuito) a raggiungere dimensioni più grandi e più efficienti.
Un processo analogo, anche se meno marcato, si è verificato nella forma giuridica. Gli imprenditori, di aziende singole o familiari, restano nettamente preponderanti, anche se registrano ancora un lieve calo nella superficie condotta (73% della Sau totale), mentre si stanno diffondendo, soprattutto al Nord, le società di persone (18% della Sau), che contrastano la frammentazione aziendale e aumentano le dimensioni per affrontare le nuove sfide del mercato.
Si stanno diffondendo, soprattutto al Nord, le società di persone che contrastano la frammentazione aziendale e aumentano le dimensioni per affrontare le nuove sfide del mercato
Questa polarizzazione ha contribuito alla tenuta e al consolidamento della superficie e della produzione agricola in pianura, in particolare nel Nord del Paese, con forti processi di specializzazione e intensificazione, spesso in contrasto con il consumo di suolo derivante dallo sviluppo urbano, dalle attività produttive e dalle infrastrutture. In collina e in montagna si è verificato invece un progressivo ridimensionamento dell’attività agricola, con i conseguenti processi di marginalizzazione e in molti casi di vero e proprio abbandono, non solo agricolo, già a partire dagli anni Novanta.
In conclusione, riprendendo le definizioni di Manlio Rossi Doria, solo l’integrazione dei dati disaggregati del settore primario a livello comunale, non ancora disponibili, con altre informazioni (demografiche, delle altre attività produttive e servizi...) consentirà di comprendere cosa sta avvenendo nella “polpa” del Paese (pianura settentrionale ed altre aree minori) e nell’“osso” (aree montane, interne e del Mezzogiorno), per meglio calibrare e coordinare gli interventi pubblici statali e regionali, non solo agricoli. La condivisione delle diverse esperienze di sviluppo locale e regionale è un passo necessario per cercare di superare quella “fragilità multidimensionale” che caratterizza molte realtà territoriali del Paese.
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