È di qualche giorno fa la notizia dell’approvazione, dopo un iter di circa tre anni, della legge sulle misure di protezione che devono essere adottate a tutela dei minori stranieri non accompagnati, ossia dei minori che migrano da soli. Recependo molte delle istanze, richieste e raccomandazioni che per anni, letteralmente, le organizzazioni e gli operatori di settore hanno continuato a porre, invocare e formulare, la legge (cd. legge Zampa) rappresenta un innegabile passo in avanti nella comprensione del fenomeno migratorio ancor prima che nella sua «gestione», come si usa dire in gergo tecnico.

I principali obiettivi della legge possono essere richiamati ricorrendo ad alcune parole chiave: organicità, uniformità e innovazione. Un primo obiettivo trasversale è infatti quello dell’organicità della definizione, delle norme e quindi del trattamento di questi minori, che non si deve basare sulla previsione di un diritto speciale, di una deroga alla disciplina generale, ma deve mirare piuttosto a rendere più certa l’applicabilità della disciplina generale anche rispetto alle specifiche esigenze dei minori stranieri e soli. Un secondo riguarda la promozione dell’uniformità delle procedure (di primo contatto e prima accoglienza, segnalazione, identificazione, indagine familiare, accertamento dell’età e rilascio del permesso di soggiorno) e della loro applicazione a livello nazionale.

Infine, ultimo ma non ultimo, un ulteriore obiettivo concerne l’innovazione che si consegue, da un lato, colmando alcune gravi lacune o anomalie attraverso, ad esempio, l’introduzione del divieto di respingimento dei minori alla frontiera, l’attribuzione della competenza in materia di rimpatrio assistito al Tribunale per i minorenni (e non più a un organo amministrativo) e la previsione dell’iscrizione al Servizio sanitario nazionale anche per i minori privi di permesso di soggiorno. Dall’altro, l’innovazione è attesa dall’introduzione di alcune misure inedite e dal rafforzamento e dalla diffusione a livello nazionale di altre misure già sperimentate e applicate a livello locale, che nel corso degli anni si sono dimostrate le più adeguate per consentire l’efficace protezione e l’attiva partecipazione dei minori. Si tratta dell’affidamento familiare, della cartella sociale, della tutela volontaria, del rafforzamento del sistema nazionale di protezione e del sistema di raccolta dei dati, dell’accompagnamento verso la maggiore età, della garanzia del diritto all’ascolto in tutti i processi decisionali, del diritto all’assistenza legale e al gratuito patrocinio, delle misure specifiche di protezione per minori particolarmente vulnerabili, dell’intervento in giudizio delle associazioni di tutela.

L’approvazione definitiva della legge alla Camera il 29 marzo scorso è un’ottima notizia che deriva dalla conoscenza e dalla valorizzazione del prezioso patrimonio di prassi, esperienze e progettualità realizzate a livello locale e consente di evidenziare, se ancora ce ne fosse bisogno, come la migrazione sia una questione non meramente tecnica ma eminentemente politica.

Non vi è alcun elemento di necessità, neutralità o naturalità nel modo in cui la migrazione è costruita, narrata e governata. Non esiste una sola risposta possibile alla migrazione, anche in contesti di ristrettezze economiche. Il modo in cui pensiamo e normiamo (normalizziamo) la migrazione è frutto di una scelta, di una determinata politica del diritto. Gli ambiti in cui decidiamo di investire le nostre risorse (limitate o ampie che siano) sono sempre frutto di una scelta, dell’attribuzione di un determinato ordine di priorità. Come ci ha insegnato Abdelmalek  Sayad, le scelte che compiamo in merito alla migrazione ci raccontano, illustrano e riflettono, chi siamo, qual è la nostra visione della politica e, se ne abbiamo una, del futuro. Dalla definizione che utilizziamo, al modo nel quale la misuriamo e regolamentiamo, ogni singolo aspetto del governo della migrazione è frutto di un determinato modo di pensare e ordinare i fatti, di una determinata elaborazione teorica e di una correlata visione politica.

Per quanto lodevole – tanto per il suo realismo (inteso come capacità di partire dalla comprensione della realtà) quanto per il suo idealismo (inteso come capacità di non rassegnarsi, di non limitarsi a riflettere la realtà) – la Legge Zampa rappresenta un’eccezione in un contesto nel quale, negli stessi giorni, il governo ha posto, e ottenuto, la fiducia al Senato sul molto discusso, e molto discutibile, decreto legge Minniti-Orlando e nel quale centrali continuano a rimanere, nonostante la loro inefficacia e gli abusi e le violazioni che implicano, l’esternalizzazione dei confini e la politica degli accordi di cooperazione e riammissione. Rappresenta un’eccezione che ci ricorda che se il diritto, in quanto ordinamento, ha il compito primigenio di ordinare, di dare forma alla convivenza, esso è anche come mostra questa legge, uno strumento di trasformazione, di modificazione delle regole del gioco, delle mentalità, dei costumi e delle istituzioni, di innovazione e creatività. Non è solo lo strumento con il quale si resiste al cambiamento, ma è anche lo strumento con il quale lo si accoglie e, auspicabilmente, lo si favorisce.

Non rassegnarsi alla visione securitizzata, criminalizzante ed emergenziale della migrazione che continua a prevalere a livello europeo e nei singoli Stati europei, non ultimo il nostro, richiede una profonda e radicata conoscenza, una visione di lungo periodo, la volontà di innovare e il coraggio di provare a farlo.

Non deve forse sorprendere che si riesca a trovare questo coraggio solo, almeno allo stato attuale e in controtendenza anche rispetto agli orientamenti europei che attribuiscono priorità alle politiche di rimpatrio e riammissione, in relazione ai minori che migrano da soli.

Resta da auspicare che, mentre minori e adulti continuano a morire alle nostre porte, questo passo avanti non rimanga la pietosa eccezione che drammaticamente conferma la regola.