La forza tranquilla. Fino alla scorsa estate, François Hollande sembrava il più improbabile tra i possibili candidati socialisti all'Eliseo. I sondaggi tra i militanti e tra i francesi lo eclissavano, non solo in favore di Dominique Strauss-Kahn ma anche di Martine Aubry, considerandolo privo di carisma, grigio e in buona sostanza mediocre. Poi gli eventi, a cominciare da primarie vere e piuttosto impegnative (a differenza di quelle italiane), hanno portato l’ex segretario del Ps non solo a battere Aubry, ma a collocarsi costantemente in vetta nelle intenzioni di voto. Molti, infatti, lo hanno sottovalutato e tuttora lo sottovalutano, ritenendolo solo un “uomo di apparato”, dal momento che è stato segretario del partito per più di un decennio. Ma dimenticano che gli ultimi presidenti della Repubblica sono stati tutti, e a lungo, a capo di partiti, in un paio di casi (Mitterrand e Chirac) da loro stessi fondati; e che persino Sarkozy si è fatto eleggere, nel 2004, presidente dell’Ump. Inoltre Hollande ha guidato il Ps in frangenti assai difficili, tenendolo unito anche quando era a un passo dalla scissione (dopo il referendum sull’Europa del 2005) e soprattutto portandolo, negli anni di Sarkozy all’Eliseo, a vincere in tutte le elezioni municipali e dipartimentali e persino a conquistare la maggioranza al Senato (che la gauche non aveva mai detenuto, neppure nella III e nella IV Repubblica).
Certo, un conto è dirigere il primo partito del Paese (nei sondaggi) altro è candidarsi alla presidenza. Tanto che i predecessori di Hollande, e Mitterrand in particolare, al momento della campagna presidenziale si sono sempre smarcati dal proprio partito. Ma Hollande no, memore dell’esempio di Jospin che, nel 2002, da candidato, non evocò che di rado la parola “socialismo” e di Ségolène Royal, che nel 2007 condusse una campagna presidenziale con una grossa parte del Ps a lei ostile (compreso Hollande). Al contrario, dopo le primarie, Hollande ha accreditato di un incarico tutti i suoi avversarsi interni, ha organizzato un’équipe di campagna legata al partito, mentre nei suoi viaggi elettorali cerca sempre il sostegno degli eletti locali, che in buona parte del Paese guidano i municipi e l’equivalente dei nostri Consigli regionali.
Questo elemento apparentemente arcaico va tenuto presente anche nel ritmo della campagna del candidato socialista. Un ritmo tranquillo e non da competitor, e non solo perché memore del celebre slogan mitterrandiano del 1981. Con toni molto misurati, con il rifiuto, almeno fino a pochi giorni fa, di attaccare direttamente Sarkozy, per non trasformare l'elezione in un referendum contro il presidente (che potrebbe generare l’effetto inverso). Rispetto al Sarkozy del 2007, che ogni giorno proponeva un progetto nuovo (non realizzandole neppure uno da presidente), Hollande si attiene al programma; l’unica fiammata non concordata con lo staff è stata la proposta di tassare al 75% i redditi al di sopra di un milione di euro. Persino di fronte alla cattura del terrorista omicida della scuola ebraica di Tolosa (una gestione con molte falle, soprattutto nei servizi segreti), Hollande ha deciso di non infierire troppo su Sarkozy, che comunque ha recuperato alcuni punti proprio dopo quella vicenda. Di fronte a un presidente che gioca una campagna tipicamente populista, tutta fondata sulla denuncia delle “élite” e dei “corpi intermedi” che non farebbero “decidere” lui, “uomo del popolo”, e incentrata su temi identitari connotati a destra, Hollande sta tenendo invece una postura più presidenziale del presidente uscente, lasciando al candidato del Front de gauche, Jean-Luc Mélenchon di agitare i temi “populisti di sinistra”, sempre molto presenti in Francia (tanto da far crescere nel corso dei giorni la candidatura del Front de gauche).
E’ una campagna, quella di Hollande, accreditata dai sondaggi, divisi sulla sua collocazione al primo turno ma tutti concordi nel decretarlo largamente vincitore al secondo. Confortato da questi risultati, oltre che dal polso con il “territorio” favorito dal contatto con il partito in periferia, Hollande non sembra per il momento voler cambiare; forse farà uscire al secondo turno la verve, il sarcasmo, l’aggressività, declinate anche in chiave telegenica (diversamente da Mitterrand, Hollande è cresciuto con il mezzo televisivo e sa controllarlo perfettamente). C’è però un rischio, di cui si sta rendendo conto anche il candidato socialista: che la sua “force tranquille” non mobiliti a sufficienza. La sindrome del 2002 è ancora forte; e, con un’astensione possibile attorno al 30% e l’alta percentuale di indecisi, i sondaggi diventano oracoli poco attendibili.
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