Un gruppo di Zelig si aggira per l’Italia. Per wikipedia, un paziente con la sindrome di Zelig «modifica di continuo il proprio passato e la propria identità, adeguandolo alle persone e agli oggetti con cui di volta in volta entra in relazione, come una sorta di “camaleonte”». Da noi, disponibilità di bilancio già esistenti assumono di volta in volta nuove vesti e nuovi colori per sostenere le iniziative del momento.
Di che parliamo? Nelle ultime settimane l’attività di governo si è caratterizzata per l’annuncio, accompagnato da una intensa comunicazione, di nuove iniziative: per la ricerca (piano nazionale della ricerca – Pnr) e la cultura, entrambe simbolicamente varate il primo maggio; e per il Mezzogiorno, con la firma di alcuni dei «Patti per il Sud» previsti dal cosiddetto «Masterplan». Molto bene. I tre ambiti sono fra i più importanti su cui investire per il rilancio del Paese.
Ci sono però alcuni dettagli non irrilevanti, che rischiano di spegnere un po’ gli entusiasmi.
In primo luogo, sia il Pnr che i Patti arrivano con circa due anni di ritardo. Del primo, era stata predisposta una bozza (molto simile al testo poi varato) già dal governo Letta; i secondi avrebbero dovuto accompagnare la programmazione delle politiche di coesione già da inizio 2014 – quando il governo Renzi si è insediato –, riferendosi al periodo 2014-2020.
Meglio tardi che mai? Certo. Tuttavia, molti elementi lasciano addirittura pensare che entrambi questi programmi di intervento siano di dimensione significativamente inferiore rispetto a quelli che li hanno preceduti. E, soprattutto, entrambi i documenti sono principalmente basati su risorse già stanziate; qui entrano in campo i primi fondi Zelig: che mutano aspetto, ma rimangono sempre quelli che erano.
Infine, un punto interessante: e qui entra in campo un super-Zelig. Le tre iniziative comportano anche lo stanziamento di risorse prima «non disponibili»: tutto il miliardo per la cultura; 500 milioni per la ricerca; una cifra che dovrebbe aggirarsi intorno ai 13 miliardi per il Mezzogiorno. Bene: tutte queste risorse provengono dal Fondo sviluppo e coesione (Fsc). Di che si tratta? Il Fsc 2014-2020 dispone di una dotazione di 54,8 miliardi di euro stabilita dall’art. 1 comma 6 della Legge di stabilità per il 2014: quindi, più che di risorse nuove si tratta di stanziamenti a valere su un fondo già esistente; nel 2016 non dovrebbe sorprendere più di tanto che si usino. Ma che cos’è e a che serve il Fsc? È – citiamo il sito della presidenza del Consiglio – «lo strumento finanziario principale con cui vengono attuate le politiche per lo sviluppo della coesione economica, sociale e territoriale (…) in attuazione dell’articolo 119.5 della Costituzione e dell’art. 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea». Questa finalità comporta un aspetto fondamentale: l’80% di queste risorse, per legge (190/2014), deve essere destinato al Mezzogiorno, per promuoverne lo sviluppo.
È quello che sta avvenendo? Per cultura e ricerca, pare proprio di no: nel primo caso, l’elenco degli interventi mostra che al Sud sono destinate il 27% delle risorse; nel secondo, la tabella che incrocia fonti finanziarie e programmi segna zero euro provenienti dal Fsc destinati agli interventi al Sud nel Pnr. E per i Patti? Qui le risorse sono destinate solo al Mezzogiorno. Bene anche in questo caso: ma si tratta – come detto – di circa 13 miliardi: assai meno dei 43,8 che rappresenterebbero l’80% del totale citato prima.
Che fine abbiano fatto gli altri richiederebbe un racconto – per quanto molto interessante – che va ben al di là dello spazio qui disponibile.
In sostanza, una eccellente comunicazione vela un po’ la circostanza che in gran parte ci sono tanti Zelig in azione: programmi e risorse già previste; e nasconde agli italiani l’encomiabile ruolo di Zelig-Fsc: che, come già avvenuto ai tempi di Tremonti, è sempre pronto ad assumere nuove forme e nuove destinazioni per soddisfare le priorità politiche del momento.
Riproduzione riservata