Secondo le ultime previsioni della popolazione pubblicate da Istat lo scorso 24 luglio, nel 2050 le persone di 65 anni e più rappresenteranno oltre un terzo della popolazione, il valore più alto mai raggiunto nella storia demografica italiana.

Il marcato invecchiamento della popolazione desta preoccupazione. In particolare, per ragioni legate alla sostenibilità del sistema di Welfare e alla riduzione della forza lavoro, preoccupa l’aumento dell’indice di dipendenza degli anziani, ovvero il rapporto tra individui di 65 anni o più e individui in età 15-64 anni. Tale rapporto, pari al 38% nel 2023, verosimilmente raggiungerà il 50% nel 2035 e salirà ancora al 60% nel 2043. In altre parole, se oggi per ogni persona ultra-sessantacinquenne ci sono tre persone in età lavorativa, tra soli undici anni, per ogni ultra-sessantacinquenne ci saranno solo due persone in età lavorativa. L’età ovviamente non è un perfetto predittore dell’appartenenza alla forza lavoro: da un lato sono pochi i teenager e, come vedremo, anche i ventenni, occupati, dall’altro la quota di ultra-sessantacinquenni occupati è in aumento. Tuttavia, il rapporto tra i due gruppi di età fornisce una chiara indicazione: la popolazione anziana sta crescendo marcatamente in rapporto alla forza lavoro.

Nei prossimi anni, l’indice di dipendenza degli anziani subirà un’accelerazione dovuta all’invecchiamento dei figli del baby boom, le generazioni nate negli anni Sessanta e nella prima metà degli anni Settanta del XX secolo. Se il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia resterà aver compiuto 67 anni di età, il 2031 segnerà il pensionamento di gran parte della coorte di lavoratori e lavoratrici nati nel 1964, l’anno di picco del baby boom, che fece registrare il massimo storico di oltre un milione di nascite. Ci aspetta una massiccia uscita dal mercato del lavoro, che sarà solo in parte rimpiazzata dalle generazioni successive, numericamente molto più piccole. Si prevede dunque una carenza di manodopera sia nelle professioni altamente qualificate sia in quelle meno qualificate. Al tempo stesso, si prevede una crescente domanda di forza lavoro nei settori legati alla silver economy e, in età più avanzata, nell’ambito dell’assistenza sanitaria e della cura alla persona.

L’invecchiamento della popolazione, inoltre, non avverrà con la stessa velocità in tutte le aree del Paese e in buona parte dipenderà dalla natalità dei decenni precedenti. Aree che negli ultimi quaranta anni sono state caratterizzate da tassi di natalità più alti della media nazionale, come la Campania e la Provincia autonoma di Bolzano, presentano oggi un tasso di dipendenza degli anziani pari al 34% – un ultra-sessantacinquenne per ogni tre persone in età 15-64 anni –, considerevolmente più basso rispetto ad aree che invece sono state a lungo caratterizzate da bassissimi livelli di fecondità, come la Liguria, dove il rapporto equivale al 51% – uno a due. Nei prossimi anni il Mezzogiorno subirà un processo di invecchiamento più rapido rispetto al resto del Paese, a causa della natalità più contenuta rispetto al Nord del Paese e a causa della più vigorosa emigrazione di giovani al Nord e verso l’estero.

In riferimento alla futura carenza di mano d’opera nel mercato del lavoro, il 31 maggio 2024, nelle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta suggerisce che «decisi aumenti dei tassi di occupazione – fino ai livelli medi dell’area dell’euro – potrebbero arrivare a controbilanciare gli effetti del calo demografico e mantenere invariato il numero degli occupati».

Come fare, dunque, per aumentare i tassi di occupazione e prevenire la carenza di manodopera?

Il ruolo della forza lavoro straniera sarà cruciale per compensare la domanda di lavoro non soddisfatta, in particolare – ma non solo – relativamente alle professioni legate all’assistenza degli anziani

È innegabile che il ruolo della forza lavoro straniera sarà cruciale per compensare la domanda di lavoro non soddisfatta, in particolare – ma non solo – relativamente alle professioni legate all’assistenza degli anziani. Creare un ambiente inclusivo per le forze lavoro straniere e le loro famiglie sarà un imperativo per la politica.

Un altro strumento sarà quello di chiedere a un numero maggiore di persone di rimanere nel mercato del lavoro più a lungo. Richiesta, questa, che necessita di politiche pubbliche e di Welfare aziendale che promuovano un invecchiamento attivo e mirate ad aggiornare le competenze e ad adattare il work-life balance alle esigenze di lavoratori e lavoratrici ultra-sessantacinquenni.

Ci sono poi altre due possibili leve su cui fare forza. La prima è la popolazione giovanile. Secondo i più recenti dati Eurostat relativi all’anno 2023, il 18,4% dei ragazzi e il 41,5% delle ragazze in età 18-29 è Neet, ovvero non lavora, non studia né è in formazione – percentuali, queste, tra le più alte d’Europa. Anche la disoccupazione giovanile è tra le più alte d’Europa: nel secondo trimestre del 2024, circa un/a giovane tra i 20 e i 24 anni su cinque è in cerca di lavoro (17,4% tra i ragazzi e 20% tra le ragazze). Sebbene le percentuali diminuiscano con l’età, rimangono comunque alte, soprattutto per le donne. Infatti, tra i 25 e i 29 anni il tasso di disoccupazione è pari al 9,5% tra i ragazzi e al 12,4% tra le ragazze. Tra i 30 e i 34 anni – la fascia in cui ricade l’età media materna al primo figlio, pari a 31,6 anni –, circa una donna su dieci è disoccupata (9,1%), come pure il 6,9% degli uomini. Le percentuali si riducono, ma non di molto, tra i 35 e i 39 anni (rispettivamente, a 7,4% e 5,8%). La disoccupazione giovanile probabilmente raggiungerebbe livelli ancora più elevati se gli oltre cinquecento mila ragazzi e ragazze che hanno lasciato l’Italia per l’estero tra il 2008 e il 2022 – di cui solo un terzo ha poi fatto ritorno in Italia – non fossero mai emigrati.

Questi dati portano alla luce un potenziale inutilizzato. La ricerca socio-demografica dimostra in modo convincente che la dipendenza economica dalla famiglia di origine, l’incertezza economica e l’instabilità lavorativa rappresentano pesanti barriere alla formazione di un’unione e alla transizione alla genitorialità, oltre che una fonte di malessere psicologico. Sostenere le giovani generazioni mettendole in condizione di rendersi autonome economicamente entrando nel mercato del lavoro con condizioni contrattuali tali da garantire stabilità e sufficienti guadagni, avrebbe importanti effetti sul piano individuale, dal miglioramento del benessere soggettivo alla realizzazione personale. Non solo. A livello macro, sostenere le giovani generazioni e metterle in condizione di prosperare farebbe aumentare i tassi di occupazione, riducendo il rapporto di dipendenza dagli anziani, farebbe aumentare il gettito fiscale, il potere di acquisto e i consumi. Probabilmente, farebbe aumentare anche fecondità e natalità, contrastando alla base l’invecchiamento della popolazione.

Infine, l’altra leva è l’occupazione femminile. I dati Eurostat più recenti relativi al secondo trimestre del 2024 indicano che l’Italia detiene il record europeo per la più bassa occupazione femminile, con solo il 57,6% delle donne in età 20-64 anni occupate, contro una media Europea del 71% e valori che superano l’80% in Islanda, Estonia e Svezia. La già bassa occupazione femminile si riduce ulteriormente tra le mamme in modo direttamente proporzionale al numero di figli: una donna su cinque esce dal mercato del lavoro dopo essere diventata madre (cfr. Save the Children, Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2024, 2024). Tra le cause, spiccano la scarsa offerta di servizi di cura per l’infanzia e l’impossibilità di conciliare il lavoro con la vita familiare, unite alla centralità del ruolo materno nella cura dei figli e al fatto che le carriere delle mamme sono frequentemente più instabili e peggio retribuite rispetto a quelle dei mariti o dei compagni, e quindi sono più sacrificabili di quelle dei papà.

Per favorire l’occupazione femminile, politiche finalizzate a rendere l'assistenza all’infanzia disponibile a prezzi accessibili e di alta qualità, unita a congedi paritari tra madri e padri e politiche aziendali a favore della flessibilità lavorativa, consentirebbero alle mamme e ai papà di conciliare più agilmente vita familiare e vita professionale. Il potenziamento dei servizi all’infanzia dovrà necessariamente riguardare varie età dei bambini, non solo il nido – che auspicabilmente dovrebbe essere disponibile a basso costo per tutte le famiglie su tutto il territorio nazionale – ma anche il tempo pieno nelle scuole, il doposcuola e – anche se sembra fantascienza – proposte di servizi per chi lavora di notte e nel weekend.

Essere occupati e guadagnare almeno una parte consistente del reddito familiare definisce un buon padre, mentre l’ideale di una buona madre è quello di una maternità intensiva

Tali politiche contribuirebbero anche a scardinare gli stereotipi legati ai distinti ruoli che donne e uomini dovrebbero avere all’interno della coppia, soprattutto in seguito alla transizione alla genitorialità. Essere occupati e guadagnare almeno una parte consistente del reddito familiare definisce un buon padre, mentre l’ideale di una buona madre è quello di una maternità intensiva. Per le madri il ruolo economico rimane secondario, mentre per i padri è secondario il ruolo nella cura, soprattutto quella routinaria, dei figli.

Più in generale, l’occupazione è più bassa tra le donne che hanno carichi di cura verso familiari dipendenti, non solo minori. Il veloce ritmo dell’invecchiamento potrebbe, in assenza di interventi, pesare in modo spropositato su figlie, nuore, sorelle e nipoti, chiamate, più dei parenti uomini, a prendersi cura degli anziani in famiglia laddove i costi della cura formale risultino troppo alti o non vi siano alternative alla cura informale. Anche in questo senso, politiche volte a favorire la conciliazione famiglia-lavoro per chi si prende cura di parenti anziani saranno cruciali.

Oggi, sono molte le donne anziane o che si avvicinano alla pensione avendo avuto carriere lavorative discontinue. Non sorprende, quindi, che le donne abbiano un numero di anni contributivi e un reddito pensionistico mediamente inferiori rispetto agli uomini e siano più esposte al rischio di povertà in età anziana. Pensando a domani, e nell’ottica di una futura minore sostenibilità del sistema di Welfare, promuovere l’occupazione femminile, continuativa lungo il corso di vita e full-time, sarà sempre più importante per consentire alle donne un sostegno economico adeguato in età anziana.

Come ricorda spesso Dubravka Šuica, vicepresidente per la democrazia e la demografia alla Commissione europea dal 2019 al 2024, l’invecchiamento della popolazione non è solo una sfida ma rappresenta anche un’opportunità da cogliere. Per non soccombere, ma cavalcare il cambiamento demografico in atto, non è di aiuto limitarsi solo all’analisi dei problemi ma occorre pensare anche a soluzioni pratiche e politiche per sfruttare al meglio il cambiamento (specificamente applicato al caso italiano, si veda in proposito F. C. Billari, Domani è oggi. Costruire il futuro con le lenti della demografia, Egea, 2023).

Seguendo questo approccio, la futura carenza di manodopera nel mercato del lavoro legata all’invecchiamento della popolazione italiana rappresenta un’occasione da non perdere per azzerare la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, promuovere l’occupazione femminile e l’inclusione sociale degli stranieri e delle loro famiglie, a vantaggio di tutta la popolazione.