Paolo Pombeni è intervenuto sul «Mattino», il 26 luglio scorso, a proposito dell’«azione in fuorigioco» che la Commissione europea avrebbe portato a termine nei confronti dell’Italia con la pubblicazione, il 24 luglio, della propria «Relazione sullo Stato di diritto 2024. La situazione dello Stato di diritto nell’Unione europea».
Pombeni, nella parte della relazione concernente il nostro Paese, coglie «una certa malizia astiosa» che a suo giudizio porrebbe «il problema della legittimazione presente in un organo burocratico come di fatto è la Commissione». Specifica quindi che «se è nelle competenze della Commissione europea vigilare sulla applicazione e tenuta del quadro normativo europeo, la scelta dei modi per arrivare a queste finalità compete per forza di cose, alla discrezionalità dei sistemi politici nazionali». Cosicché «non è compito di un organo di controllo burocratico lanciare allarmi, ma solo segnalare deviazioni se incontrovertibilmente accertate e in atto. Il che non può essere per esempio nel caso di leggi in gestazione (tale è il premierato) o presentando la supposizione che secondo qualche interprete una certa norma [come quella sull’abuso d’ufficio] non potrà funzionare bene (con un criterio del genere nessuna norma si salverebbe)». Del resto, tanto riguardo al cosiddetto premierato quanto in merito alla soppressione del reato di abuso d’ufficio il documento della Commissione solleva perplessità, avviando un dialogo, un’interlocuzione, ma senza indirizzare all’Italia specifiche raccomandazioni in materia, come invece fa in altri campi (si veda più avanti). «Interventi di un certo tipo», chiosa, «non giovano ad incrementare la credibilità del sistema dell’Unione europea».
Ora, anzitutto la legittimazione della Commissione è quella disposta nei Trattati istitutivi (particolarmente il Trattato sull’Unione europea (Tue) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), su cui non vogliamo annoiare i lettori. Ma giova almeno rammentare che nell’articolazione dei poteri propria di un’Organizzazione internazionale dai caratteri assai peculiari qual è l’Unione europea (Organizzazione sovranazionale limitatrice della sovranità nazionale ai sensi dell’art. 11 della Costituzione italiana) la rappresentanza dei singoli governi degli Stati membri (rappresentanza degli Stati uti singuli) è affidata al Consiglio europeo e al Consiglio (dei Ministri); la rappresentanza dei cittadini è assegnata al Parlamento europeo; la rappresentanza dell’interesse all’applicazione del diritto è demandata alla Corte di giustizia del Lussemburgo; la rappresentanza degli interessi collettivi, societari, degli Stati membri uti universi è consegnata appunto alla Commissione europea, la quale «promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine» (art. 17.1 Tue). Così, particolarmente in tema di salvaguardia nell’Unione dei valori dello Stato di diritto va rammentato l’art. 2 Tue, secondo il quale «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».
Proprio a vigilare sui valori in questione il Parlamento europeo ha sollecitato nel 2015 (8 settembre) e nel 2016 (25 ottobre) la Commissione, che è quindi intervenuta con due comunicazioni nel 2019 (aprile e luglio) ed ha infine posto mano alla prima relazione sul tema (nel 2020; oggi siamo alla quinta prova). La Commissione europea stessa ha fondato la propria azione in materia sugli artt. 2, 3.1, 7 e 17 del Tue, cui rinviamo per un esercizio di acribia. Non rinunciamo però a evidenziare almeno l’ossimorica valutazione di chi ritenga la Commissione, da un lato, organo burocratico, e da un altro lato significativamente meritevole di grande attenzione da parte del Governo (italiano) al fine di ottenere la nomina di un commissario (italiano) con competenze di altissimo profilo (pur dovendosi perfezionare la conoscenza – e credibilità – del sistema dell’Unione tramite la disposizione in cui si evidenzia che la Commissione europea «esercita le sue responsabilità in piena indipendenza» e «i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun Governo, istituzione, organo o organismo», dopo esser stati scelti fra «personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza»: art. 17.3 Tue).
Se uno Stato ha deciso di riconoscere i Trattati europei ora ogni suo Governo deve accettare le critiche che tramite le istituzioni sovranazionali riconosciute da quei Trattati gli vengono rivolte. Più che mai sui diritti fondamentali
È quindi evidente che le competenze particolarmente di vigilanza della Commissione europea non sono quelle della Corte di giustizia del Lussemburgo, che «assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati» (art. 19.1 Tue).
Infine, la stessa presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni, in una lettera del 28 luglio indirizzata alla «Cara Ursula», presidente neoconfermata della Commissione europea, si adonta della sola posizione, e relativo versante raccomandatorio, assunta dalla Commissione circa la libertà dei mezzi di comunicazione in Italia. La questione tocca evidentemente un nervo scoperto del Governo in carica, date le polemiche di queste ultime settimane, di questi ultimi giorni, su vicende dell’attività Rai, su giornalisti picchiati da appartenenti a circoli estremisti di destra, su inchieste giornalistiche sotto copertura svolte in ambienti politici di destra, solo per fare due esempi.
Giova pure almeno richiamare nella complessa situazione ora toccata il nuovo regolamento dell’Unione europea (n. 1083 del 2024) «che istituisce un quadro comune per i servizi di media nell’ambito del mercato interno e che modifica la direttiva 2010/13/Ue (regolamento europeo sulla libertà dei media)». E come dimenticare (non lo dimentica G. Camera, Da magistratura e giornalismo occorre maggiore senso di responsabilità, 30.7.2024), dopo la sentenza di Corte costituzionale 150 del 2021, che il Parlamento è omissivo nell’adozione di una normativa di tutela del giornalista fra garanzie reputazionali e presunzione di innocenza e, nel contempo, di contrasto agli abusi? Omissioni pure concernenti problematiche quali sollevate con la sentenza, della Corte europea dei diritti dell’uomo, di Strasburgo, nel caso Associazione politica nazionale Lista Pannella vs. Italia (ricorso 66984/14) del 31/8/21nonché con la sentenza, della stessa Corte, nel caso Associazione politica nazionale Lista Pannella e Radicali Italiani vs. Italia (ricorso 20002/13) dello stesso giorno. C’è poi ampia giurisprudenza di tale Corte sull’art. 10 (libertà di espressione) della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Il fatto che nel campo in considerazione «il legno [sia] storto da tempo» (così Pombeni) non è giustificazione per assestarsi su distorsioni, carenze, prepotenze e intenzionali dimenticanze su cui «non si è sin qui mai voluto» intervenire (sempre Pombeni) per raddrizzare il legno. Il perpetuarsi dei difetti li fa accettare? Come – solo per fare un esempio – l’incostituzionalità sistematica delle leggi elettorali dovrebbe assestare la Corte costituzionale ad accettarle?
La reazione del capo del Governo Meloni non è forse essa stessa il segno dell’importanza che la stessa premier attribuisce alla Relazione? Diversamente non l’avrebbe forse liquidata rapidamente?
La reazione di Meloni dà del resto conto dell’importanza che lei stessa attribuisce alla Relazione. Diversamente non l’avrebbe forse liquidata rapidamente, non con l’attenzione presente nella lunga lettera e con la chiamata in causa negativa di Governi precedenti, come quelli Renzi e Draghi?
Quanto al metodo: la relazione comporta «raccomandazioni», atti che com’è noto hanno effetto non vincolante/prescrittivo ma di indirizzo, con conseguente effetto di liceità, da parte dell’istituzione di governo dell’Unione in rappresentanza degli Stati membri uti universi. Sminuirne o denigrare le competenze definendolo «organo burocratico [...] di fatto» (così Pombeni nel passo già citato) significa mascherarsi dietro un’etichetta politica pregiudiziale. Ci pare allora che giovi riprodurre qui, sempre a fini di miglior conoscenza, le raccomandazioni riguardanti il nostro Paese. Così «si raccomanda all’Italia di:
• proseguire gli sforzi volti a migliorare ulteriormente il livello di digitalizzazione nelle sedi penali e nelle procure;
• adottare le proposte legislative in sospeso sui conflitti di interessi e adottare normecomplessive sul lobbying per l’istituzione di un registro operativo delle attività dei rappresentanti di interessi, compresa un’impronta legislativa;
• affrontare efficacemente e rapidamente la pratica di incanalare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche e introdurre un registro elettronico unico per le informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne;
• portare avanti il processo legislativo del progetto di riforma sulla diffamazione e sulla protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, evitando ogni rischio di incidenza negativa sulla libertà di stampa e tenendo conto delle norme europee in materia di protezione dei giornalisti;
• provvedere affinché siano in vigore disposizioni o meccanismi che assicurino un finanziamento dei media del servizio pubblico adeguato per l’adempimento della loro missione di servizio pubblico e per garantirne l’indipendenza;
• intensificare gli sforzi per costituire un’istituzione nazionale per i diritti umani tenendo conto dei principi di Parigi delle Nazioni Unite».
Ci auguriamo di avere d’aver avviato un dialogo proficuo, per un confronto che potrebbe svolgersi utilmente proprio sulle pagine di questa rivista, che così gentilmente ci ha ospitati.
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