Alain Duhamel, storico commentatore di questioni politiche della V Repubblica, domenica 30 giugno ad urne appena chiuse, ha ricordato una importante massima legata alle elezioni legislative a doppio turno della V Repubblica: al primo turno si stabiliscono i rapporti di forza, al secondo si verifica se e come tali rapporti di forza si tramutano in una dinamica politica.

Parlare di vincitori e vinti è azzardato, ma è indubbio che qualche significativa indicazione sia giunta da un primo turno che prima di tutto ha riportato la partecipazione a livelli che non si raggiungevano da quasi un trentennio. A tal proposito le prime analisi empiriche hanno sottolineato quanto sia stata decisiva la partecipazione dei giovani e allo stesso modo di quelle fasce di popolazione che solitamente si mobilitano solo per il voto presidenziale e che ad esempio avevano, come d’abitudine oramai, mancato l’appuntamento con il voto alle europee.

Tornando alle indicazioni giunte dal primo turno, la prima di queste riguarda il Rassemblement national (Rn). Con i suoi 9,4 milioni di voti, che diventano 10,6 se vi si aggiungono quelli degli alleati guidati da Eric Ciotti fuori da Les Républicains, si è di fronte alla miglior performance in un’elezione legislativa per l’estrema destra francese. Il precedente record alle legislative era quello del 2022 e ci si fermava a 4,2 milioni di voti. Siamo sui livelli dello score ottenuto da Marine Le Pen al ballottaggio presidenziale del 2017. Ma attenzione, dato poco sottolineato, distante dagli oltre 13 milioni di voti raccolti dalla stessa Le Pen al ballottaggio presidenziale del 2022. Ad impressionare è la distribuzione di questi voti su tutto il territorio nazionale. In 443 circoscrizioni su 577 il Rn è al secondo turno e in oltre 220 di queste con un candidato in testa (nel 2022 solo in 65 casi si era verificata questa performance). Peraltro, circa 180 di questi candidati Rn hanno ottenuto più del 40% e sono dunque in buona posizione per essere eletti. Ancora più rilevante è la distribuzione geografica del voto Rn. Confermato nell’arco mediterraneo, in quello del Nord Est e nei territori che hanno subito la deindustrializzazione, ora il Rn si espande praticamente ovunque se si eccettuano le grandi aree urbane parigina e marsigliese e alcune altre città medio-grandi (ad esempio a Parigi un solo candidato Rn è al secondo turno, con pochissime chance di elezione). Il partito di Marine Le Pen ha ad esempio sfondato nelle terre di sinistra del Sud Ovest e in molte aree al centro della Francia (di tradizione radicale e di sinistra). Solo una parte del cosiddetto Grand Ouest, terre di tradizione di destra gollista o cristiano democratica, ha retto all’onda d’urto del Rn. Ma in ogni caso in quasi tutte le circoscrizioni di questi dipartimenti è comunque presente un candidato Rn al secondo turno, evento inimmaginabile due anni fa. L’impressione, confermata da numerosi osservatori, è che in termini di percezione presso una parte consistente dell’elettorato francese il Rn, dopo essere passato da partito di contestazione a soggetto di opposizione, sia considerato oramai un potenziale partito di governo. E il voto Rn si tramuta così in voto di adesione, con la necessità di sfumare notevolmente la sua immagine di voto di protesta.

Decisiva la partecipazione dei giovani e di quelle fasce di popolazione che solitamente si mobilitano solo per il voto presidenziale

L’altra indicazione inequivocabile riguarda il campo presidenziale nel suo complesso e l’inquilino dell’Eliseo nello specifico. In termini percentuali, su scala nazionale, il 20% raccolto dalle forze della maggioranza, pur essendo al di sopra del dato preventivato (e in crescita in termini di voti rispetto alla pessima performance delle europee), certifica un vertiginoso calo elettorale, dopo quello già registrato due anni fa rispetto alle legislative del 2017. I candidati della maggioranza si qualificano solo in poco più di 300 circoscrizioni, mentre nel 2022 la cifra era di 419 e addirittura nel 2017 i candidati macronistri al secondo turno erano più di 500. Peraltro, spesso questo passaggio al secondo turno è fatto in situazione di debolezza, dal momento che soltanto in 68 circoscrizioni il candidato macronista parte dal primo posto dopo il primo turno (nel 2017 erano 449, scese a 200 circa nel 2022). Se si eccettuano alcuni dipartimenti della regione parigina, la scarsa rilevanza della maggioranza presidenziale è oramai un elemento costante. Ma è la dimensione politica che, se possibile, rivela l’essenza della sconfitta macroniana. Eletto nel 2017 come colui che destruttura definitivamente il bipolarismo francese con l’obiettivo di guidare il Paese dal “centro”, l’istantanea odierna è quella di un potenziale nuovo bipolarismo, accompagnato da non poche incognite e soprattutto dalla marginalizzazione dello stesso Macron. Da un lato un Rn, sulla cui idoneità al governo del Paese è legittimo dubitare. Dall’altra parte un “fronte popolare” che è coalizione elettorale più che alleanza di governo. In generale, ben lungi dall’aver depotenziato le cosiddette “estreme”, Macron sembra avere aperto alle stesse le porte per giungere alla guida del Paese o per creare comunque lo stallo politico. Altra istantanea emblematica della difficoltà politica del presidente è racchiusa nel malessere dei cosiddetti “tenori della macronie”, cioè i pesi massimi del suo governo i quali, nemmeno consultati in occasione dello scioglimento, si trovano ora a riversare il loro malcontento anticipando di molto l’avvio per la campagna presidenziale del 2027. In fondo personaggi quali il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, quello degli Interni Gérarld Darmanin, ma anche il primo ministro Gabriel Attal o l’ex primo ministro Edouard Philippe, non hanno nemmeno atteso l’esito del secondo turno per iniziare la loro corsa verso la candidatura al prossimo appuntamento presidenziale.

Se Les Républicains escono da questo primo turno come un partito politico residuale, che potrebbe però tornare a svolgere un ruolo nelle dinamiche parlamentari qualora si arrivasse a una situazione di stallo politico-istituzionale, interessante, ma da non sovrastimare, è il risultato della coalizione Nouveau front populaire (Nfp). Si può affermare che la gauche nel suo complesso abbia ottenuto un’ottima seconda posizione, aumentando di oltre un milione di voti il suo score rispetto alle europee e soprattutto ottenendo 3,2 milioni di voti in più rispetto alle legislative del 2022. Fondamentale è stata la mobilitazione giovanile, così come quella dei quartieri popolari delle grandi metropoli, prima fra tutte Parigi. Un voto giovane, urbano e diplomato, dicono gli analisti di flussi elettorali. Ma anche un voto che ha visto una parte di simpatizzanti di sinistra, che si erano mobilitati per sostenere la candidatura di Raphael Glucksmann, spostarsi sui candidati della maggioranza presidenziale. Su questo punto è evidente la difficoltà intrinseca a un cartello elettorale piuttosto disomogeneo come quello del Nfp, all’interno del quale si passa da posizioni riformiste a indubbi estremismi legati in particolari a molti settori della France insoumise.

Su queste indicazioni uscite dal primo turno si è innestato il grande dibattito relativo alle cosiddette desistenze, con l’obiettivo di creare un “fronte repubblicano” per limitare le possibilità di maggioranza assoluta per il Rn. Il punto è delicato e occorre essere molto schematici, per cercare di fare un minimo di chiarezza.

Una volta completato lo spoglio del primo turno accanto all’ottantina di parlamentari già eletti, si prospettavano 306 triangolari, 5 quadrangolari e 190 scontri tra due candidati (questo in base ai candidati che avevano superato la soglia di sbarramento del 12,5% sugli iscritti). Nelle circa 48 ore successive, prima del deposito delle candidature per il secondo turno, sono giunte le prese di posizione dei vertici dei vari partiti. Il Nfp è stato netto nell’annunciare il ritiro dei propri candidati giunti al terzo posto. La maggioranza presidenziale, con interventi da Matignon e dall’Eliseo, ha invitato a non favorire l’elezione di candidati Rn, facendo però nemmeno troppi velati riferimenti al desiderio di impedire qualsiasi elezione di candidature “estreme”, dando l’impressione di porre su uno stesso piano candidati Rn e candidati Insoumis. Equazione fatta propria da Les Républicains, i quali hanno parlato di libertà di voto per il proprio elettorato, e sostanzialmente anche per i centristi, i quali hanno insistito sulla necessità di non trattare tutti i candidati del Nfp allo stesso modo. Il risultato di tutto ciò è stato in termini numerici la riduzione a 95 del numero dei triangolari, frutto di 129 desistenze (o ritiri di candidature) da parte del Nfp e 81 desistenze da parte della coalizione presidenziale. Fino a qui i numeri, ai quali occorre accostare qualche considerazione politica.

Senza dubbio nelle condizioni date, con un livello di polarizzazione molto elevato e dopo due anni di profondo scontro politico in particolare tra le forze della gauche e la maggioranza presidenziale (si pensi alle proteste legate alla riforma delle pensioni), questa versione del cosiddetto “fronte popolare” anti-Rn presenta numeri superiori alle aspettative e alle attese iniziali.

È necessario però calare questi numeri all’interno di ogni singola dinamica locale, tenendo presente la stretta connessione tra le candidature e le caratteristiche di ciascuna circoscrizione. E in questo senso notare ad esempio che, nei due terzi dei triangolari rimasti, sono presenti un candidato Nfp, un candidato Ensemble e un candidato Rn e non si è optato per alcuna logica di fronte repubblicano. Vi sono poi una quindicina di circoscrizioni nelle quali il candidato di Ensemble, pur essendo terzo e con scarse possibilità di essere eletto, non si è comunque ritirato (per il Nfp questo accade solo in cinque occasioni). E ancora delle 81 desistenze dei candidati macroniani, solo in una ventina di situazioni si tratta di un ritiro a favore di un candidato de Lfi, mentre in tutti gli altri casi si tratta di favorire un candidato socialista o ecologista. Interessante è anche notare il vero e proprio “corteggiamento” operato nei confronti dei pochi, ma in prospettiva potenzialmente importanti, eletti Les Républicains. In una ventina di circoscrizioni essi possono godere della desistenza del candidato del Nfp o di quello di Ensemble, pur non essendoci sostanziale reciprocità, dato che in sole due circostanze vi è una desistenza Les Républicains in funzione anti-Rn.

La logica del “fronte repubblicano” nasce con l’obiettivo di impedire al Rn di raggiungere la maggioranza assoluta, mentre né il Nfp, né tanto meno l’uscente maggioranza presidenziale possono puntare a questo obiettivo

Occorre infine aggiungere una terza considerazione. La logica del “fronte repubblicano” nasce con l’obiettivo di impedire al Rn di raggiungere la maggioranza assoluta, mentre né il Nfp, né tanto meno l’uscente maggioranza presidenziale possono puntare a questo obiettivo. Come verrà percepito e giudicato da parte dell’elettorato francese questo barrage, costruito a tavolino e in funzione soltanto contenitiva? In fondo la coppia Bardella-Le Pen dalle 20 di domenica scorsa chiede di “completare l’opera” per andare al governo del Paese, sollecitando un “effetto traino” che presenta un orizzonte ben definito. Dall’altro lato si cerca un voto per garantire, nella migliore delle ipotesi, un inedito blocage politico, potenzialmente anche istituzionale. Quale sarà la risposta dell’elettorato?

L’orizzonte in vista del 7 luglio è carico di incertezze. Alla luce della vasta applicazione delle desistenze, l’ipotesi di una maggioranza assoluta per il Rn appare complicata. Gli stessi vertici del partito, fino a pochi giorni fa categorici sulla rinuncia alla formazione del governo in caso di maggioranza solo relativa, sembrano tornati sui propri passi. Marine Le Pen ha ribadito che anche una maggioranza relativa potrebbe essere accettata, per poi completarla con il sostegno di alcuni eletti (magari tra le fila de Les Républicains). Una soluzione di questo genere sarebbe però praticabile solo nel caso in cui mancassero una ventina o poco più di seggi alla fatidica quota di 289.

E l’ipotesi fino ad oggi solo “di scuola” di un governo di coalizione anti-Rn? Da un punto di vista politico appare difficilmente realizzabile, in particolare se Lfi dovesse eleggere un numero consistente di deputati e ad ogni modo presupporrebbe l’immediato scioglimento del cartello elettorale del Nfp. Eppure, importanti ambienti politici e giornalistici hanno cominciato a non escluderlo a priori. Le formule hanno iniziato a comparire. C’è chi parla di un governo di “riparazione” e chi, come l’ex ministro e giurista Jean-Jacques Urvoas, di un governo a “cinque zampe”, intendendolo si presume sostenuto da socialisti, ecologisti, macroniani, centristi e Lr con l’obiettivo fondamentale di evitare il blocco politico-istituzionale, fornendo una sorta di “governo minimo”, perlomeno per l’anno a venire. È evidente che una soluzione di questo genere potrebbe nascere soltanto con un inquilino dell’Eliseo destinato a fare un passo indietro e a subire un’iniziativa politica che promani dall’Assemblea nazionale. Si tratterebbe di una sorta di “coabitazione soft” e di parlamentarizzazione del sistema. I sostenitori affermano che sarebbe il miglior viatico per fornire un’alternativa concreta a coloro che sono chiamati al voto per rifiutare la coabitazione con Bardella a Palazzo Matignon. Gli scettici replicano che la logica della coalizione è stata espunta dall’orizzonte della V Repubblica, prima di tutto perché ricorda la tormentata e breve vita della IV Repubblica. Se vi è una certezza, in questa marea di incognite, è che dopo l’esaurimento della V Repubblica delle origini, sta giungendo al capolinea anche quella modificata a seguito della riforma del quinquennato. Che volto avrà la terza “nuova vita” della già “monarchia repubblicana”?