L’economia italiana soffre da molti anni di un problema d’insufficiente crescita della produttività,
in tutti i settori. La dinamica della produttività dipende da molteplici fattori di tipo macro: la dotazione infrastrutturale, il grado di concorrenza nei mercati, le inefficienze della pubblica amministrazione, gli enormi ritardi della giustizia civile e l’elevato livello della pressione fiscale. Ma anche da fattori micro, legati ai modelli organizzativi e alle scelte tecnologiche delle imprese, alle modalità di impiego dei lavoratori, al grado di formazione e al capitale umano dei dipendenti stessi. Una questione interessante che forse non è sufficientemente discussa dagli attori sociali e dai policy makers è quella del coinvolgimento dei dipendenti nel governo delle imprese.

L’idea da cui partire è che una maggiore partecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali, o in generale un loro più articolato coinvolgimento nell’impresa, al di là del solo contratto di lavoro dipendente, potrebbe accrescere il livello di identificazione dei lavoratori nell’impresa, e quindi incentivare un maggior impegno e consentire soluzioni produttivi più efficienti, facendo crescere la produttività effettiva. Va aggiunto che la lunga e drammatica crisi economica apertasi nel 2007 ha ridotto fortemente il grado di legittimazione del sistema capitalistico tra ampie fasce della popolazione. Forme di democrazia economica o comunque di partecipazione dei dipendenti all’impresa potrebbero anche far crescere la legittimazione del sistema di mercato.

Se si analizza il panorama internazionale si può osservare che le relazioni tra i lavoratori e le imprese possono essere caratterizzate da «legami» con gradi diversi di vicinanza e di impegno reciproco. Le grandi imprese giapponesi, ad esempio, costruivano legami di lungo termine con i propri dipendenti (la situazione durante il «decennio perduto» è un po’ mutata) fondati su elevata flessibilità all’interno della fabbrica, con ripetuti spostamenti di mansione e di reparto (job-rotation), notevole partecipazione attiva dei dipendenti alle scelte produttive, con forme esplicite di suggerimento e di controllo della qualità dei prodotti, con consultazioni periodiche e notevole investimento nella formazione continua da parte dell’impresa, associati a contratti di «impiego a vita».

 

Riproduciamo qui l'incipit dell'articolo di Sandro Trento e Alberto Mattei, Uscire dalla crisi: la partecipazione del lavoro all'impresa, pubblicato sul “Mulino” n. 6/14, pp. 923-931.