Il 4 marzo la Svizzera andrà a votare per decidere se abolire il servizio pubblico radiotelevisivo, la Ssr. Si tratta di un’iniziativa popolare di modifica costituzionale promossa dall’Udc, un partito conservatore con orientamento nazionalista iperliberista.

Il testo sottoposto al voto popolare intende modificare la natura dell’inserimento dell’articolo 93 nella Costituzione, che delinea il tipo di radiotelevisione e il suo mandato nel Paese.

Quello che i promotori vogliono eliminare dalla Costituzione è il secondo comma che recita: “La radio e la televisione contribuiscono all'istruzione e allo sviluppo culturale, alla libera formazione delle opinioni e all'intrattenimento. Considerano le particolarità del Paese e i bisogni dei Cantoni. Presentano gli avvenimenti in modo corretto e riflettono adeguatamente la pluralità delle opinioni.”

Il testo dell’iniziativa propone inoltre di inserire nella Costituzione i seguenti comma:                         

- la Confederazione mette periodicamente all’asta concessioni per la radio e la televisione;             

- in tempo di pace la Confederazione non gestisce emittenti radiofoniche e televisive proprie;                              

- la Confederazione non sovvenziona alcuna emittente radiofonica e televisiva. Può remunerare la diffusione di comunicazioni ufficiali urgenti;                                                                                                   

- la Confederazione o terzi da essa incaricati non possono riscuotere canoni.

Questo l’oggetto della votazione. L’iniziativa è stata chiamata "No Billag", in riferimento alla società privata incaricata della riscossione del canone, società che dal 2019 cesserà di svolgere questo mandato. Con questo titolo l’iniziativa, in modo fuorviante, si definisce come un’operazione di alleggerimento del carico fiscale che grava sui cittadini. In Svizzera la legge prevede l’obbligo di pagare i canoni per la ricezione dei programmi radiofonici e televisivi. Chi possiede un apparecchio funzionante per ascoltare la radio o guardare la televisione ha l’obbligo di pagare i canoni di ricezione. Ad oggi e fino al 31 dicembre 2018 il canone annuale è di 451 franchi per radio e Tv (può venir scorporato in funzione del tipo di ricezione: solo Tv o solo radio). Dal 2019 scenderà a 365 franchi l’anno; una decisione del governo come risposta all’iniziativa. Il numero di componenti di una famiglia non è rilevante. Lo stesso vale anche per il tipo di apparecchio e il canale di diffusione (rete via cavo, rete telefonica, satellite) utilizzati per la fruizione.

Il canone costituisce la base finanziaria della radio e della televisione. Grazie al contributo è possibile realizzare un'offerta quotidiana di programmi radiotelevisivi prodotti in Svizzera in tutte le regioni linguistiche del Paese. Il servizio pubblico radiotelevisivo, la Ssr, si articola in 3 unità aziendali: svizzero-tedesca, francese e italiana, producendo contenuti in 3 lingue più una, il romancio, con programmi speciali, a garanzia del plurilinguismo e multiculturalismo che sono le caratteristiche del Paese.

Il canone consente anche a numerose emittenti radiofoniche e televisive locali di offrire un programma autonomo. È la Confederazione a stabilire l’ammontare delle quote destinate alle varie emittenti. La Ssr gestisce 7 dei 20 canali televisivi svizzeri che ricevono dalla Confederazione una parte del canone. Inoltre può contare su 17 stazioni radio, un po’ meno della metà di tutte le stazioni (40) che ricevono soldi pubblici.

Il servizio pubblico in Svizzera è - come in altri Paesi europei - un tassello importante del processo di costruzione delle identità culturali. In particolare nella Confederazione elvetica la forte diversità linguistica e culturale - germanofoni, francofoni, italofoni e romanci - richiede al servizio pubblico un grande sforzo di coesione. Il principio di solidarietà sulla quale si basa la democrazia svizzera si alimenta anche con la reciprocità, alla base dell’idea di servizio pubblico. Ne è un esempio la cosiddetta chiave di riparto per cui la Svizzera italiana, e dunque la sua unità aziendale Rsi, riceve un contributo dal canone quattro volte superiore a quanto versa in tassa per radio e Tv, in base al principio di equa suddivisione delle risorse e tutela delle minoranze linguistiche. In questo modo anche gli italofoni possono godere di contenuti prodotti in lingua italiana su tre reti radiofoniche, due canali televisivi e diverse piattaforme online, tutte riconducibili alla Rsi. È questa dimensione del servizio pubblico che viene difesa dai sostenitori del no all’iniziativa in votazione il 4 marzo.

Il voto, come poche volte nella storia recente svizzera, ha diviso il Paese. Per capacità di polarizzazione può esser paragonato al voto del 9 febbraio del 2015 “Contro l’immigrazione di massa”, anche in quel caso voluto dall’Udc.

I promotori dell’iniziativa per l’abolizione del canone sostengono che la sua cancellazione non debba necessariamente contemplare la fine di radio e TV pubbliche. Di fatto la perdita di due terzi di base finanziaria e la necessità di ricorrere ad un’asta per poter accedere alle frequenze pongono le basi per lo spostamento definitivo del sistema radiotelevisivo svizzero da misto a totalmente commerciale, con la chiusura di tutte le emittenti della Ssr. In questo caso verranno meno le garanzie, contenute nella Costituzione, per la promozione e la tutela delle minoranze, per un’informazione corretta e per lo sviluppo culturale del Paese. La Ssr infatti è ad oggi l’unico soggetto impegnato nella produzione e distribuzione di contenuti svincolati dalle logiche commerciali: informazione regionale, nazionale e internazionale, documentari, reportage, musica classica e di tradizione, teatro, produzione musicale e cinematografica indipendente. Se l’iniziativa dovesse passare, l’insieme di questi contenuti verrebbe improvvisamente meno, privando il Paese di un complesso sistema di produzione attento all’equilibrio linguistico e culturale.

Da parte dei promotori si sostengono gli argomenti del libero mercato e libera concorrenza, che viene meno con la presenza di un soggetto pubblico finanziato con soldi provenienti dal canone o dallo Stato. Sullo sfondo l’idea secondo la quale si paga solo per ciò che si consuma.

Si tratta di critiche ricorrenti nel panorama europeo di complessiva messa in discussione del servizio pubblico radiotelevisivo. Le critiche ruotano attorno ad alcuni punti specifici:

1- la Tv pubblica quando è al centro del sistema mediatico nazionale assorbe grandi risorse economiche a discapito delle imprese private che, nell’opinione di molti, sono molto più efficienti e indipendenti da influenze politiche;

2- usufruendo di risorse e sussidi statali (oltre che, spesso, di risorse derivate dalla pubblicità, che in Svizzera arrivano a raggiungere un terzo delle necessità finanziarie), le televisioni pubbliche godrebbero di un ingiusto vantaggio competitivo, producendo un effetto di distorsione sul mercato radiotelevisivo;

3- i contenuti e i programmi delle Tv pubbliche sono accusati di “omologarsi” a quelli del settore privato e quindi di sottostare anch’essi a una logica essenzialmente commerciale; anche se , per quanto riguarda la Svizzera, il già citato art. 93 al comma secondo recita “La radio e la televisione contribuiscono all'istruzione e allo sviluppo culturale, alla libera formazione delle opinioni e all’intrattenimento.”, con un chiaro riferimento all’esigenza di produrre contenuti di intrattenimento di qualità.

La grande maggioranza dei partiti che siede in Parlamento si è espressa contro l’iniziativa. Ragioni economiche e sociali dovrebbero far propendere l’elettorato per una bocciatura dell’iniziativa, ma lo spostamento politico registrato nel corso di questi ultimi anni rischia di far entrare la Svizzera nello ristrettissimo club delle nazioni senza servizio pubblico radio Tv.

 

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