Arrigo Levi entrava come socio nell’Associazione «il Mulino» nel 1968, a 42 anni. Ma alle spalle aveva già una carriera di tutto rispetto nel giornalismo, non solo in Italia.
Alla sua morte, il 24 agosto scorso, oltre ai suoi tanti meriti professionali ne è stata giustamente ricordata la vita movimentata, a tratti avventurosa. Quella vita messa in un libro del 2009, Un paese non basta, che aveva dato al Mulino così come il suo primo titolo, Il potere in Russia. Da Stalin a Breznev, del 1965.
In realtà dei venti e più volumi che Levi ha pubblicato una buona quota è targata Mulino. Ma la sua ricca autobiografia ha avuto, e ha, un senso particolare. Perché in quelle pagine Levi non solo fa i conti con se stesso, e con le proprie origini, ma anche con il proprio secolo, nel raccontare un’esistenza spesa tra l’Argentina (dove la famiglia era emigrata da Modena nel 1942) e Israele, Londra, la Russia, l’Italia tanto amata. Al tempo stesso la sua vita – come il suo editor al Mulino ha ricordato – fu «sentimentalmente incardinata sull’orizzonte domestico di Modena, in luoghi impregnati ormai di un profumo di famiglia».
Se è vero che Levi cominciò a scrivere per un giornale in Argentina, per poi continuare a farlo, oltre che nella sua Modena, in Israele, a Londra (dove lavorò tra l’altro per la Bbc), a Mosca (dove fu tra il 1960 e il 1962, imparando l’ennesima lingua straniera), è a Torino che ebbe la direzione di un grande giornale, «La Stampa». Quel periodo a metà degli anni Settanta ha lasciato il segno nei collaboratori di allora, che alla sua morte hanno fatto a gara per scriverne bei ricordi. Tuttavia, Levi non fu solo un grande giornalista della carta stampata – giornalista che, tra l’altro, sapeva scrivere bene e molto in fretta, complice un diploma in stenodattilografia preso in gioventù – ma anche un protagonista della televisione generalista degli anni Ottanta, che ancora garantiva qualità nella scelta dei conduttori da mandare in video. Quell’esperienza ne fece uno dei volti più noti, primo giornalista a condurre il telegiornale delle 20, che fino ad allora era stato presentato e letto da uno speaker.
Alla fine di quel decennio si inventò Tivù Tivù, un programma che andava in onda per Mediaset sulla falsariga di altri analoghi della tv americana, con brevi servizi di attualità aperti e chiusi da un intervento dello stesso Levi. Anni dopo tornò alla Rai, dove tra le sue trasmissioni va ricordata almeno Gli archivi del Cremlino, nel ’97, della quale fu anche autore.
Il suo fu un impegno civile prima ancora che professionale. Un impegno che, da ultimo, lo portò come consigliere al Quirinale a lavorare per la Repubblica con due presidenti, prima Ciampi – a lui il Mulino deve Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano, l’intervista a Carlo Azeglio Ciampi pubblicata nel 2010 – poi Napolitano, entrambi ospiti nella sede del Mulino in occasione delle loro visite bolognesi. Dei suoi due settennati come consigliere del presidente della Repubblica, va ricordato almeno il lunghissimo viaggio attraverso tutte le province italiane con il presidente Ciampi.
Si definiva «cittadino del mondo» e «laico miscredente». Ma – come ha scritto Paolo Garimberti in un sentito ricordo apparso su «Robinson» – «in ospedale, prima di morire ha cantato l’inno di Israele e una filastrocca modenese, la sua settima lingua».
A chi ha avuto la fortuna di incontrare il suo sorriso nelle stanze del Mulino resta l’immagine di un uomo dalla grande forza intellettuale, straordinariamente generoso di idee e proposte anche per il lavoro delle istituzioni che fanno capo all’Associazione «il Mulino».
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