Paralizzato da veti incrociati, il Parlamento non é ancora riuscito a trovare l’accordo politico per introdurre nel codice penale il reato di tortura, come dispone la Convenzione delle Nazioni unite ratificata dall’Italia oltre vent'anni fa. Inadempiente sul fronte normativo della repressione della tortura, il legislatore è però intervenuto sul fronte della prevenzione.
Stretto tra due emergenze: quella di contenere il sovraffollamento nelle carceri (119 su 193, secondo il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria) e, dunque, di possibili nuove condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione degli spazi minimi vitali; e quella di monitorare le operazioni di allontanamento e rimpatrio forzato degli immigrati irregolari disposte in sede Frontex (Direttiva 2008/115/Ce). Il governo ha ritenuto di uscirne con un decreto legge (146/2013) che istituisce presso il ministero della Giustizia il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (art.7). Una soluzione che risponde anche a una terza emergenza: quella degli obblighi discendenti dalla ratifica del protocollo opzionale della Convenzione Onu contro la tortura (Opcat) che prevede la creazione di «Meccanismi nazionali indipendenti di prevenzione della tortura».
Un’innovazione rispetto ai garanti regionali e comunali, non sempre attivi, eletti con modalità e compiti diversificati in relazione alla normativa degli enti di appartenenza. Il nuovo organismo, nominato con decreto del capo dello Stato e su parere delle commissioni parlamentari, si distingue per l’uniformità della tutela dei diritti dei detenuti, valida sull’intero territorio nazionale, per il più ampio spettro protettivo esteso a tutti i soggetti privati della libertà personale e il ruolo di coordinamento dei garanti locali. Sul piano istituzionale però, il legislatore ha disegnato una figura anomala, un incrocio tra autorità indipendente e ufficio ministeriale dotato di autonomia, che ha richiesto oltre due anni per divenire operante. Così solo lo scorso mese di marzo si è arrivati alla nomina del presidente del garante, Mauro Palma, illustre matematico, già presidente del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa (Ctp) a Strasburgo e della Ong Antigone, e degli altri due membri: Emilia Rossi e Daniela De Robert, da tempo impegnati nella difesa dei diritti umani.
Chiamato dalla legge a fornire supporto logistico, risorse umane e finanziarie senza aggravi per la finanza pubblica, il ministro della Giustizia ha provveduto in modo spartano e al tempo stesso assorbente. Ha assegnato progressivamente fino a 25 unità del proprio organico, ha aperto un apposito capitolo di bilancio (n.1753) con 200.000 euro e ha approvato un regolamento che definisce struttura e composizione dell’Ufficio rinviando i dettagli a un Codice di autoregolamentazione. La tempestiva adozione del Codice, tuttavia, ha consentito al Garante di recuperare spazi operativi sul piano organizzativo e funzionale attenuando l’approccio ancillare del Governo. Sintomatici la facoltà di ottenere, all’occorrenza, personale anche da altre amministrazioni statali e di utilizzare fondi Ue per i monitoraggi dei rimpatri forzati degli immigranti e la fissazione di rigorosi principi guida alla sua condotta e a quella di coloro che collaborano a qualsiasi titolo con il Garante assicurando l’immunità agli informatori. L’intento è quello di dimostrare che, nelle condizioni date, il mandato ricevuto sarà assolto in assoluta indipendenza, neutralizzando così ogni riserva da parte dei rappresentati dell’Onu tenuti ad accertare autonomia e terzietà nei «Meccanismi nazionali di prevenzione».
Sarà comunque determinante la sistematicità dei controlli sulle modalità di esecuzione della custodia, tanto dei soggetti detenuti, tanto di quelli internati o sottoposti a misura cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà, per verificare il rispetto dei diritti e della dignità della persona. E, al riguardo, strumenti chiave sono le visite e i monitoraggi senza necessità di alcuna autorizzazione, preavviso e restrizione (31 interventi al 22 luglio 2016). E non solo ai penitenziari ma anche alle residenze per le misure di sicurezza psichiatriche e alle altre strutture destinate ad accogliere detenuti, alle comunità terapeutiche o comunque alle strutture, anche mobili, ove si trovino persone sottoposte a misure alternative al carcere. E nel caso di flagrante violazione dell’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo («Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti»), il Garante deve informare l’autorità competente perché provveda immediatamente a fermare la violazione in atto, dandone comunicazione all’autorità giudiziaria e al ministro di rifermento.
Nonostante sia priva di poteri diretti d’intervento e armata di meri rilievi e raccomandazioni, la nuova istituzione merita particolare attenzione e sostegno, poiché la sua autorevolezza e imparzialità potrebbero avere effetti dirompenti sul clima opaco di omertà, prevaricazioni, violenze fisiche e psichiche che, nei luoghi di detenzione, è alimentato da chi profitta dello stato di soggezione e vulnerabilità delle persone private della libertà.
Trascurato dai media, il Garante finora (9 settembre 2016) risulta essere intervenuto già 34 volte, eseguendo 8 tra visite a strutture per immigrati irregolari e monitoraggi dei rimpatri forzati e 26 visite e monitoraggi a strutture penali e di polizia.
Il passaggio da punto di riferimento nazionale contro ogni forma di abuso sui detenuti e per la denuncia delle relative responsabilità, a vero e proprio deterrente a torture, trattamenti inumani, crudeli e degradanti, richiederà regolarità, incisività e trasparenza dell’operato del Garante cui dare ampia diffusione con funzioni dissuasive di potenziali violenze. E al riguardo il Codice di autoregolamentazione, opportunamente, prevede la pubblicazione sul sito Internet dell’esito di visite e monitoraggi e del Rapporto annuale sui risultati dell’azione svolta e sulle eventuali proposte di miglioramento della legislazione di tutela, da trasmettere innanzitutto al presidente della Repubblica e al Parlamento.
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