La rivoluzione velata. Il 14 gennaio 2011 la Tunisia riusciva a mettere in fuga il dittatore Ben Ali, dopo circa un mese di manifestazioni in cui milioni di persone esprimevano il proprio dissenso nei confronti del regime attraverso slogan come “pane e dignità!”. La gioia e l’esultanza di quei giorni sembrano oggi molto lontani. Subito dopo la caduta del regime erano stati principalmente due gli elementi che destavano preoccupazione in vista della costruzione di una Tunisia democratica: da un lato il vuoto politico paventato dagli osservatori internazionali, dall’altro lo spettro di un ritorno dell’ex regime che allarmava i cittadini tunisini. In poco più di un anno lo scenario appare completamente modificato. Con le elezioni dello scorso 23 ottobre per l’Assemblea Costituente, si è affacciato sulla scena politica Ennadha, un partito islamico fortemente organizzato che non risulta compromesso in alcun modo con l’ex regime e anche per questo motivo ha conquistato quasi il 40% dei voti. La sua vittoria ha prodotto una scossa profonda in un Paese che sin dalla conquista della propria indipendenza dalla Francia nel 1956 con Habib Bourguiba, primo presidente della Repubblica tunisina, aveva provato a coniugare laicità e fede islamica. A distanza di poco più di 50 anni, Ennadha pare muoversi in una diversa direzione. Sostiene infatti che non è più la laicità a contraddistinguere la Tunisia, bensì è l’islam a costituirne il punto di riferimento fondamentale. Rispondendo alla richiesta della società di riappropriarsi di un’identità che gli sarebbe stata tolta, il nuovo Partito islamico afferma il nesso necessario tra religione e identità. Un’identità dunque da elaborare attraverso la tradizione religiosa che oggi assume, parafrasando Bernard Lewis, sempre più un ruolo centrale come fattore della vita dei popoli musulmani. Anche in Tunisia, pertanto, l’islam si avvia a diventare l’elemento aggregante alla base del patrimonio dei valori collettivi della società.
Da dove nasce il risveglio islamico? Le sue origini risalgono agli anni del regime di Ben Ali quando, con la giustificazione di arginare il “pericolo islamista”, è stata impressa una svolta oppressiva, caratterizzata da provvedimenti molto duri contro gli oppositori, dall’imposizione del divieto della libertà di stampa e della libertà di professare la propria religione, compresa la proibizione dell’uso del velo per le donne nei luoghi pubblici. Tutto questo aveva condotto larghi strati della società a reagire al regime riscoprendo l’elemento religioso come strumento di opposizione. Tuttavia, se si attinge all’archivio della memoria storica tunisina, scopriamo che la religione non ha rappresentato l’unico fattore di identità. La Tunisia è contraddistinta infatti da una transculturalità che ha origini secolari. Il suo territorio è stato abitato nel corso dei secoli da "genti mediterranee" – fenici, berberi, arabi, italiani, maltesi, francesi – che hanno lasciato un’eredità importante, costituita da vivacità culturale, convivenza religiosa e abitudine al confronto. Anche la laicità del Paese, considerata oggi negazione dell’identità del popolo tunisino privato delle proprie radici arabo-islamiche, è piuttosto frutto di un lungo processo storico dal quale non si può prescindere.
La Tunisia è certamente un Paese musulmano, ma è anche figlia della decisione storica presa dall’ex presidente Bourguiba nel 1956 di abolire la poligamia, evento che ha promosso l’avvio di un processo di emancipazione femminile che non ha eguali in altri Paesi di tradizione musulmana. Indubbiamente, oggi, una rivisitazione in senso islamico dell’apparato normativo che disciplina il ruolo della donna, come vorrebbe l’attuale élite politica, susciterebbe la reazione di molte donne tunisine. Ed è senza dubbio nell’ambito dei diritti che si giocherà il futuro della Tunisia. Credo che la domanda di dignità che ha animato la rivolta della società tunisina contro Ben Ali non possa essere soddisfatta tout court attraverso la sola dimensione religiosa. Il risveglio della spiritualità è un fattore importante, ma dovrà essere coniugato a una politica capace di rispettare la democrazia e i diritti umani.
Riproduzione riservata