Eleggendo un governo di centrosinistra il 4 luglio, il Regno Unito dà un profondo segnale di cambiamento rispetto allo scenario europeo, in cui la destra radicale continua a prendere piede. Ma la vittoria decisiva di Starmer non manca di sfide all’orizzonte.
L’analisi del voto riporta infatti l’immagine di un elettorato non solo altamente volatile e frammentato, ma anche profondamente disilluso nei confronti della politica. L’affluenza – al 59,9%, il risultato più basso dal picco minimo del 59,1% del 2001 – è la prima cartina tornasole di questa tendenza. La seconda la troviamo esaminando la performance dei partiti.
Dopo 14 anni al governo, i Conservatori emergono dalle elezioni praticamente in rovina, ottenendo solo 121 seggi: il peggior risultato nella storia del partito. La sentenza più dura arriva dal cuore dell’elettorato conservatore: il partito perde 9 punti nei seggi in cui aveva sostegno più debole (sotto il 25%), ma nei suoi bastioni, in cui partiva con un supporto del 55%, il declino dei Tory raggiunge una media di ben 27 punti. Nelle proprie roccaforti, soprattutto nel Sud, il partito ha registrato forti emorragie di voti in tutte le direzioni, portando a una sostanziale riconfigurazione della geografia elettorale del Paese. A questo si aggiunge un risultato disastroso nel Nord dell’Inghilterra dove, dopo il successo del 2019, i Tory mantengono un solo seggio nel Nord Est e uno nel Nord Ovest. Mentre restano a mani vuote nella zona centrale di Londra e in Galles. A sigillare questo rigetto, inoltre, 4 dei seggi degli ultimi 5 primi ministri conservatori (Witney, Cameron; Maidenhead, May; Uxbridge, Johnson; e South West Suffolk, Truss) sono passati a Laburisti e LibDem.
Questo collasso può essere letto come un chiaro segno di rifiuto degli elettori nei confronti del governo uscente, punito per la sua incapacità di mantenere le promesse fatte (come quella di riequilibrare i divari socio-economici che affliggono il Paese, su cui Johnson aveva impostato la campagna del 2019; o di rimettere in piedi il servizio sanitario nazionale, ormai al tracollo), e per la sua incompetenza e disonestà nella gestione del pubblico ufficio. Non c’è via di uscita semplice per i Tory da questa disfatta: il partito dovrà affrontare una profonda guerra interna per la sua anima, che verrà combattuta principalmente tra le frange di destra più estreme e la corrente moderata one nation. Un processo lungo e tortuoso, dall’esito tutt’altro che scontato. Nel frattempo, il partito è relegato ad avere un ruolo marginale nel nuovo Parlamento.
Il collasso dei Conservatori può essere letto come un chiaro segno di rifiuto degli elettori nei confronti del governo uscente, punito per la sua incapacità di mantenere le promesse fatte
Molti altri attori politici hanno tratto vantaggio da questo crollo, grazie anche al sistema elettorale. Il First Past the Post (Fptp) è un sistema uninominale a maggioranza semplice: assegna il seggio in ogni collegio al candidato che ottiene il numero di voti più alto, a prescindere dalla percentuale ottenuta. In questo modo, privilegia le forze politiche più grandi e a base geografica concentrata, a discapito dei partiti minori o che hanno supporto territoriale disperso – ed è infatti tarato per funzionare in un sistema bipartitico. Per sua natura, dunque, il Fptp genera risultati sproporzionati e maggioranze artificiali, favorendo la formazione di governi stabili alla rappresentanza. Ma il sistema politico britannico è cambiato negli ultimi anni, diventando, di fatto, sempre più multi-partitico. Il 4 luglio, gli elettori si sono trovati ad avere una scelta più ampia alle urne rispetto alla tradizionale competizione tra Conservatori e Laburisti – con 3 o 4 forze realmente in gara, a seconda della zona territoriale di riferimento. Un fattore importante, che ha dilatato la frammentazione di un voto già molto volatile.
Il risultato ottenuto da Reform è strettamente collegato a queste dinamiche. Farage entra finalmente in Parlamento, seguito da altri quattro deputati. Il partito non è lontano dai risultati del suo predecessore Ukip. Reform incassa poco più di 4 milioni di voti con il 14% e ottiene 5 seggi, arrivando secondo in 98 circoscrizioni. Nel 2015 Ukip (guidato dallo stesso leader, con una piattaforma simile, anti-sistema e anti-immigrazione) prese poco meno di 4 milioni di voti alle elezioni generali, con il 13%, ottenendo però solo un seggio, e arrivando secondo in 120 circoscrizioni. Ciò che ha fatto la differenza in quest’ultima tornata è stata l’impostazione di una campagna volta a cannibalizzare il collasso dei Tory «spaccando» il voto di destra.
Questa spaccatura è stata particolarmente profonda nelle aree in cui ha recato maggior danno ai Conservatori – come nel Nord e nel Sud Est dell’Inghilterra, che avevano votato fortemente a favore dell’uscita dall’Ue e su cui Johnson aveva costruito la sua maggioranza nel 2019 – in cui Reform cattura un ampio numero di consensi. Ma il Fptp ha contenuto il successo del partito di Farage: in assenza di concentrazione geografica del supporto, i voti non si sono trasformati in seggi. Ciononostante, da un punto di vista territoriale, Reform ha ottenuto risultati considerevoli, spesso in coda ai Laburisti, in molti left behind places – le aree marginali con alti livelli di deprivazione del Nord dell’Inghilterra e delle Midlands che avevano portato Johnson alla vittoria nel 2019, con la caduta del «muro rosso». Questo è un chiaro avvertimento per il nuovo governo: «la vendetta dei luoghi che non contano» (cfr. A. Rodriguez-Pose, The Revenge of the Places That Don’t Matter, “Cambridge Journal of Regions, Economy and Society”, vol. 11, n. 1/2018) non si è ancora conclusa. Per risolverla, sarà necessario indirizzare – nei fatti, e non solo a slogan come in passato – le persistenti diseguaglianze regionali che attraversano il Paese, e il risentimento nei confronti della politica che le accompagna.
Tra i partiti «minori», i Liberal Democratici hanno tratto il maggior vantaggio dal tracollo dei Tory, registrando la loro miglior performance storica (72 seggi). Dopo un decennio nell’ombra, riemergono dalle ceneri della débâcle inflitta al partito da Nick Clegg: vincono dozzine di nuovi seggi in tutto il Paese, tornano a primeggiare nelle loro roccaforti tradizionali del Sud Ovest, e conquistano la fortezza conservatrice dell’Oxfordshire. Tutto questo ottenendo mezzo milione di voti in meno di Reform. Al contrario di quest’ultimo, infatti, i LibDem fanno incetta di seggi, grazie a una strategia elettorale concentrata sul “voto mirato”. In sostanza, evitando di mettersi i bastoni tra le ruote a vicenda, i LibDem e i Laburisti hanno largamente beneficiato della spaccatura a destra tra Conservatori e Reform – riuscendo a mettere le mani su seggi che, in altre circostanze, sarebbero stati per loro irraggiungibili.
I vincitori della posta più alta restano però i Laburisti. Indubbiamente, il partito di Keir Starmer è riuscito in quello che dopo il disastro del 2019 sembrava solo un miraggio: riportando i Labour al timone del Paese con 412 dei 650 seggi della Camera dei Comuni e ottenendo una maggioranza complessiva di 174 seggi – incassando così il miglior risultato dal record di Tony Blair nel 1997 (418 seggi e maggioranza di 179). Sotto la guida di Starmer, il partito (ri)prende seggi in tutto il Paese, e ritorna a essere la prima forza politica non solo nella capitale, ma anche in Scozia, spazzando via lo Scottish National Party che perde 39 dei precedenti 42 seggi.
Eppure, da subito, molte critiche sono emerse tra i commentatori sulla vittoria laburista, che è stata definita come una loveless landslide (vittoria schiacciante, ma «senza amore»). I labouristi, infatti, hanno ottenuto il 64% dei seggi con una percentuale di voti limitata (34%) e un numero di consensi inferiore a quello raggiunto da Corbyn nel 2019 (9.725.117 voti contro 10.269.051). Certamente quest’elezione ha prodotto uno dei risultati più distorti dal Dopoguerra, con disparità record tra voti e seggi. Ma, ancora una volta, questo va imputato al sistema elettorale, piuttosto che a un palese fallimento di Starmer.
Inoltre, se è vero che una vittoria con il 34% dei voti potrebbe essere definita precaria in un sistema bipartitico, il peso di questa percentuale va ricalibrato in uno scenario, come quello attuale, in cui, come sottolineato in precedenza, i partiti in competizione sono spesso quasi il doppio. Certo: in queste elezioni i Laburisti hanno ricevuto un assist fenomenale dal Fptp. Ma, che piacciano o no, le regole del gioco non sono nuove – e i partiti entrano in competizione conoscendole bene. I Laburisti di Starmer hanno vinto perché, al contrario di quanto avvenuto sotto la leadership di Corbyn, si sono concentrati su una strategia mirata, volta a ottimizzare il voto efficiente seguendo i principi del Fptp, giocando anche la carta del “voto tattico” con Liberal Democratici e Verdi per strappare ai Tory i seggi più marginali. Questo approccio ha funzionato, permettendo al partito di guadagnare due terzi dei seggi disponibili e riportando i Laburisti al potere.
I Laburisti di Starmer hanno vinto perché si sono concentrati su una strategia mirata, giocando anche la carta del “voto tattico” con Liberal Democratici e Verdi per strappare ai Tory i seggi più marginali
Ciò non significa però che la strada sia ora tutta in discesa. Il risultato ottenuto è sì fragile – non per il numero complessivo di voti su cui si basa, ma perché fa perno su una variegata schiera di seggi marginali con alti livelli di volatilità. Tenere assieme questa massa instabile ed eterogenea – che include seggi strappati ai conservatori, aree urbane progressiste e aree periferiche dalle ideologie contrastanti – non sarà affatto facile.
Starmer ne è pienamente consapevole. Non a caso, il veloce insediamento del nuovo governo è avvenuto al ritmo dello slogan «il lavoro duro inizia da oggi». Rimettere in piedi un Paese in cui gli enti e i servizi pubblici – dall’Nhs ai governi locali – sono sull’orlo del baratro a dispetto degli alti livelli di tassazione, con le prigioni traboccano, e in cui il peso della crisi del costo della vita è ancora fortissimo, mentre i divari economici continuano a crescere a pari passo col disincanto popolare nei confronti della politica, non è un’impresa da poco. Per dimostrare che i tempi stanno veramente cambiando, e per restare al timone del Paese, i Laburisti dovranno provare di essere all’altezza di questa sfida: mettendo in atto un processo di cambiamento tangibile da tutti gli elettori che li hanno sostenuti, e producendo risultati concreti già nel breve periodo. Sarà questo il test più arduo del governo Starmer.
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