Accordo sì o accordo no? Certo, sarebbe stato strano che in una società come quella iraniana l'accordo provvisorio sul nucleare del 2 aprile ricevesse consensi unanimi. Hossein Shariatmadari, direttore del giornale conservatore Keyhan, afferma“abbiamo dato un cavallo sellato, e abbiamo ricevuto redini rotte in cambio”. Il padre di Mostafa Ahmadi-Roshan, uno degli scienziati iraniani assassinati secondo tanti da o con il sostegno del servizio segreto israeliano, sottolinea che l'accettazione del Protocollo aggiuntivo del Trattato di Non-Proliferazione, permettendo ispezioni molto invadenti, “unisce l'Iran alla polvere del suolo”.
In linea di massima, stampa, politici e social media sui sono però mostrati largamente favorevoli all'accordo. Le celebrazioni nelle strade di Teheran non hanno sorpreso. Anche in altre città come Kerman, Rasht, Yazd e Mashad si è assistito a simili celebrazioni. Ma i festeggiamenti in piazza non hanno riguardato, in primis, il testo dell'accordo. Il motivo principale è stata la speranza di un miglioramento della condizione economica. In Iran la situazione economica e sociale è peggiorata parecchio a causa delle sanzioni internazionali ma, soprattutto, unilaterali americane ed europee. Il regime sanzionatorio aveva affondato il valore della moneta iraniana. Nel 2012 ha, inoltre, portato l'inflazione al 50%, quintuplicando il prezzo del pane, triplicando quello del formaggio e duplicando quello della carne. Fra il 2007 e il 2013, le sanzioni hanno moltiplicato di 7,2 volte il prezzo di un chilo di riso.
Se il portiere d'albergo Ali Reza Chesmi ha ragione di pensare che il suo stipendio non cambierebbe sostanzialmente dopo gli accordi di Losanna, altri sperano di poter di nuovo studiare quello che vogliono all'estero, di effettuare pagamenti internazionali, o di poter comprare medicine per un parente malato. Perché, benché il nucleare sia stato il motivo ufficiale per imporre le sanzioni, buona parte di queste ha poco o nulla a che fare con il programma nucleare in questione, prendendo invece direttamente di mira la popolazione. Non aveva del tutto torto il presidente Obama quando descrisse le sanzioni contro l'Iran come le più severe della storia.
L'eliminazione delle sanzioni non poteva quindi, per l'Iran, che essere uno dei punti principali dell'accordo. L'ha chiarito anche il presidente iraniano Hassan Ruhani affermando subito dopo l'accordo che “da oggi gireranno tanto le centrifughe quanto l'economia.” Per i negoziatori iraniani la cosa sembra chiara: non appena concluso l'accordo definitivo, le sanzioni anti-iraniane dovranno sparire subito. Una posizione che perfettamente in sintonia con l'opinione pubblica locale.
A lasciare apparentemente perplessi anche i più strenui difensori dell'accordo a Teheran è invece l'interpretazione data da parte americana. Washington infatti difende l'eliminazione progressiva e non immediata delle sanzioni. Un'interpretazione che l'Ayatollah Ali Khamenei, la Guida suprema, ha condannato in un tweet: “Ore dopo i negoziati, gli americani hanno offerto un fact-sheet, che è, per la maggior parte, contrario a quanto precedentemente concordato. Ingannano sempre e violano le promesse.”
L'accordo del 2 aprile sembra, dunque, poter spostare il dibattito dal programma nucleare verso le sanzioni. Un dibattito nel quale il presidente iraniano e la Guida suprema si trovano, molto opportunamente, sulla stessa linea di buona parte della popolazione iraniana. Mentre il presidente americano potrebbe trovarsi in palese difficoltà. Difficile, in effetti, come Paese civile, difendere una politica estera che ha messo annualmente in pericolo la chemio e la radioterapia di 85.000 iraniani malati di cancro o la terapia antiretrovirale di altre 23.000 persone.
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