In Italia, come in molti Paesi Ocse, la spesa pubblica per le assenze di malattia è significativa. Nel 2021, secondo i dati Istat, le amministrazioni pubbliche e i datori di lavoro hanno destinato circa il 23% della spesa complessiva per la protezione sociale alla copertura del reddito dei lavoratori in caso di malattia o infortunio. Questo sostegno rappresenta una garanzia fondamentale del diritto alla salute per i lavoratori, sancito dall’articolo 38 della Costituzione, che include la malattia tra le condizioni sociali bisognose di tutela.
Il quadro normativo vigente nel nostro Paese è complesso a causa della presenza di tutele settoriali, ma si basa su un principio comune che garantisce al lavoratore sia la conservazione del posto di lavoro sia un’indennità (variabile ma generosa) per compensare la perdita di reddito dovuta alla malattia. Questo sistema fa sì che gran parte del costo delle assenze per malattia ricada sulle imprese e sul sistema previdenziale e, data la difficoltà di verifica puntuale delle condizioni di salute, può dar luogo a comportamenti opportunistici. È pertanto importante monitorare l’andamento delle assenze per malattia sia per avere indicazioni sullo stato di salute della forza lavoro sia per individuare segnali di eventuali abusi o cambiamenti nei comportamenti che possono influire sulla sostenibilità del sistema.
Il grafico, costruito utilizzando i dati Inps sulle certificazioni di malattia, offre una panoramica del fenomeno per il settore pubblico e privato dal 2017 al 2023. Nel settore privato, fino alla crisi pandemica, la percentuale di lavoratori con almeno un giorno di malattia si attestava tra il 35 e il 37%, con un aumento di un punto percentuale all’anno, mentre nel settore pubblico questa percentuale si manteneva stabile attorno al 49%. Durante il 2020, cioè in pieno Covid-19, la percentuale di lavoratori con almeno un giorno di assenza per malattia cresce al 38% nel settore privato, mentre per il settore pubblico si osserva addirittura una riduzione al 44%. La circostanza che durante il primo anno di pandemia le assenze per malattia crescono in maniera contenuta nel settore privato e addirittura si riducono in quello pubblico, è dovuta a due concause: da un lato, il lungo lockdown ha ridotto drasticamente il verificarsi di alcune forme di malattia, dall’altro il lavoro da remoto ha indotto i lavoratori in malattia a ricorrere meno alla certificazione, potendo gestire la situazione da casa.
Sul fenomeno si ricavano dati rilevanti se si analizzano il periodo pandemico e quello immediatamente successivo
Nel 2021, con il rientro progressivo dei lavoratori in presenza, l’incidenza delle assenze per malattia è aumentata nel settore privato, raggiungendo circa il 38%, ed è cresciuta di ben 4 punti percentuali in quello pubblico. Tuttavia, il vero picco si è registrato nel 2022: complice un nuovo aumento dei contagi Covid-19 e la revoca delle misure che consentivano l’assenza automatica per positività o quarantena, la quota di lavoratori con almeno un giorno di malattia è salita al 53% nel settore privato e al 63% nel settore pubblico. Il dato più sorprendente è però quello relativo al 2023, quando ormai la crisi pandemica è del tutto rientrata: rispetto al 2019, si rileva un incremento di 5 punti percentuali, con il settore privato che passa dal 37% al 42% e quello pubblico dal 49% al 54%. La durata media media degli eventi di malattia, inoltre, si accorcia passando da 7,5 a 6,7 giorni nel settore privato e da 5,8 a 5,2 giorni nel settore pubblico. Analogamente il numero medio di giorni di malattia per lavoratore si riduce in entrambe i settori.
Per meglio comprendere i cambiamenti in corso e come mai nell’anno post-pandemico non si sia ritornati sui valori dell’anno pre-pandemico, abbiamo esaminato il fenomeno distinguendo per classi di età, per genere e per area geografica. L’incremento maggiore (Tabella 2) della quota di lavoratori con almeno un giorno di malattia si registra nella fascia di età più giovane (soprattutto sotto i 30 anni, in parte anche nella fascia 30-39): nel settore privato (pubblico) per coloro che hanno meno di 30 anni l’incidenza passa dal 29% (29%) nel 2019 al 37% (41%) nel 2023 con un incremento di ben 8 (12) punti percentuali. Incrementi analoghi, anche se leggermente più contenuti, si notano anche per i lavoratori nella fascia di età che va dai 30 a 39 anni. Questo incremento potrebbe riflettere diverse dinamiche: da un lato, i giovani lavoratori potrebbero essere stati particolarmente influenzati dalla pandemia, non tanto in termini di disturbi fisici, quanto di benessere psicologico e di abitudini. Ciò potrebbe aver aumentato la loro propensione ad assentarsi anche per sintomi lievi, in linea con una maggiore attenzione alla salute. Inoltre, è possibile che i giovani abbiano sviluppato una preferenza per il lavoro da remoto, trovando più difficile il ritorno in presenza, soprattutto dopo che molte aziende hanno incominciato a richiamare in sede i propri lavoratori. La transizione verso il lavoro in sede, quindi, potrebbe aver portato i giovani a richiedere più giorni di malattia come risposta a uno scenario lavorativo percepito come meno flessibile o sostenibile rispetto al periodo pandemico.
Meno chiare sono le indicazioni che provengono dalle differenze di genere. Nel settore privato, l’incidenza della malattia tra le donne ha registrato un incremento di 6 punti percentuali, superiore di un punto percentuale rispetto agli uomini (+5 punti percentuali), mentre nel settore pubblico l’incidenza aumenta di più per gli uomini (+5 punti percentuali rispetti a +4).
Secondo la teoria dei salari di efficienza, in presenza di elevata disoccupazione, la minaccia di perdere il lavoro agisce come deterrente per l’assenteismo
Per quanto riguarda le differenze territoriali, si nota che, nel settore privato, l'incremento maggiore dal 2019 al 2023 si registra al Sud (+7 punti percentuali), seguito dal Centro (+6 punti) e dal Nord (+5 punti). È interessante però osservare che, nonostante questa crescita, l’incidenza delle assenze al Sud resta comunque più bassa rispetto alle altre aree del Paese. Il maggior incremento in quest’area potrebbe essere legato al miglioramento nel tasso di occupazione: diversi studi (si veda qui) mostrano, infatti, come, nelle aree caratterizzate da elevati tassi di disoccupazione, la propensione a richiedere giorni di malattia sia tendenzialmente inferiore. Secondo la teoria dei salari di efficienza ciò potrebbe dipendere dal fatto che in presenza di elevata disoccupazione, la minaccia di perdere il lavoro agisce come deterrente per l’assenteismo.
L’azione deterrente della minaccia di licenziamento sembra trovare conferma anche quando si analizzano i dati relativi al settore pubblico, dove infatti l’incidenza delle assenze per malattia risulta generalmente più alta in tutte le aree del Paese. In questo settore, l’incremento dal 2019 al 2023 è simile al Sud (+7 punti percentuali) e al Nord (+6 punti percentuali), mentre è più contenuto al Centro (+3 punti percentuali), probabilmente a causa della presenza in quest’area, di molte amministrazioni centrali, che hanno continuato a fare ampio uso del lavoro da remoto.
In conclusione, la nostra analisi rivela dei cambiamenti significativi nell’uso delle assenze per malattia nel primo anno post-Covid19 che potrebbero riflettere sia nuove condizioni di salute sia mutate abitudini lavorative. Resta da capire se questi cambiamenti saranno transitori o duraturi, ma appare chiaro che il fenomeno richiede un monitoraggio attento e continuo.
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