La rielezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti pone una sfida senza precedenti per la sicurezza dell’Europa, proprio nel momento in cui la guerra è tornata a minacciare il vecchio continente per la prima volta dalla fine del Secondo conflitto mondiale. L’aggressione russa contro l’Ucraina – ormai in corso da più di 1.000 giorni – costituisce una scossa tellurica nella storia europea e ha costretto l’Unione europea ad affrontare la realtà della guerra.
L’Ue ha risposto alla guerra in modo deciso, mostrando un notevole unità d’intenti nel sostenere l’Ucraina contro l’ingiustificabile e illegale aggressione della Russia. Dal febbraio 2022, ha adottato 14 rounds di sanzioni contro il sistema politico ed economico russo e ha messo in campo nuovi meccanismi di finanziamento per sostenere finanziariamente il governo ucraino e le sue forze armate. Ha inoltre adottato misure per ridurre la sua dipendenza energetica ed aumentare la sua sicurezza economica e, infine, ha investito parte del bilancio comunitario per accelerare la produzione e l’acquisto congiunto di armamenti. Un recente rapporto scritto da Mario Draghi ha poi avanzato una serie di ulteriori proposte per rafforzare l’industria europea della difesa.
Tuttavia, la risposta dell’Unione alla guerra in Ucraina si è rivelata lacunosa. Fallito l’obiettivo di consegnare almeno 1 milione di munizioni da 150mm all’esercito ucraino entro un anno, non è stato dato seguito al piano, previsto nella Bussola strategica del marzo 2022, di costituire una forza di reazione rapida di (soli!) 5.000 soldati entro il 2025. Infine, nonostante nel giugno scorso l’Ue abbia concluso con l’Ucraina un accordo di sicurezza reciproca, non ha sviluppato alcun deterrente militare credibile nei confronti della Russia. Infatti, come messo in luce dalla scelta di Finlandia e Svezia di abbandonare la loro neutralità, è la Nato, sotto la guida degli Stati Uniti, che è percepita come il vero scudo protettivo dell’Europa.
L’Unione europea non è mai stata concepita come un’organizzazione per tempi di guerra: la responsabilità di assicurare la sicurezza dell’Europa è stata affidata sin dalla metà degli anni Cinquanta alla Nato e agli Stati Uniti
Le difficoltà dell’Ue nell’affrontare le sfide geopolitiche della guerra e nell’integrarsi nel campo della difesa non sono in realtà sorprendenti. Detto brutalmente, l’Unione non è mai stata concepita come un’organizzazione per tempi di guerra. Nonostante la creazione a partire dal Trattato di Maastricht del 1992 di una Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), la responsabilità di assicurare la sicurezza dell’Europa è stata affidata sin dalla metà degli anni Cinquanta alla Nato e agli Stati Uniti. In effetti, sebbene l’Articolo 42(2) del Trattato sull’Ue nella versione attualmente vigente immagini un futuro in cui l’Unione potrà avere una difesa comune, i procedimenti istituzionali per raggiungere questo risultato – inclusa la necessità di una decisione unanime tra tutti i 27 Stati membri (4 dei quali sono oggi Paesi neutrali) nel Consiglio europeo – rendono l’obiettivo finale sostanzialmente inarrivabile.
In conseguenza di ciò, l’azione dell’Ue nel campo della Pesc nel corso degli ultimi trent’anni sì è rivelata per lo più una tigre di carta. E sebbene la guerra in Ucraina abbia indotto l’Ue a rafforzare la cooperazione nel campo militare, la realtà rimane che l’Ue è tuttora priva di qualsivoglia capacità operativa nel campo della difesa. Da questo punto di vista, è significativo che Zelensky, nel primo viaggio che ha fatto all’estero dall'inizio dell’aggressione russa, si sia recato prima a Washington, dove ha chiesto armi, poi a Londra, dove pure ha chiesto armi, e infine a Bruxelles, dove invece ha chiesto di aderire all’Ue. Questa sembra essere l'unica arma che l'Ue sia in grado di offrire oggi.
Tuttavia, questo stato di fatto non è più sostenibile – soprattutto dopo la rielezione di Donald Trump. Durante la sua prima presidenza, dal 2017 al 2021, Trump aveva già messo in discussione l’utilità della Nato, lamentando il fatto che l’Alleanza atlantica era mantenuta finanziariamente dagli Stati Uniti. Nel corso della campagna elettorale per le elezioni del 2024, ha quindi nuovamente manifestato la sua ostilità, mentre il suo vice, Vance, ha apertamente sostenuto che gli Stai Uniti devono sospendere gli aiuti militari e finanziari all’Ucraina. Con la vittoria di Trump – e con il Partito repubblicano che controlla le due camere del Congresso, oltreché la Corte Suprema – è dunque ampiamente plausibile aspettarsi, se non tout court l’uscita degli Stati Uniti dalla Nato, almeno un netto ridimensionamento della pax americana in Europa.
Con la vittoria di Trump è ampiamente plausibile aspettarsi, se non tout court l’uscita degli Stati Uniti dalla Nato, almeno un netto ridimensionamento della pax americana in Europa
Cosa può dunque fare l’Europa per difendersi dopo la rielezione di Trump? Una soluzione è quella di ridare vita alla Comunità europea della difesa (Ced). Com’è noto, nei primi anni Cinquanta, agli albori della Guerra fredda, i 6 Paesi fondatori dell’Ue – Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo – avevano concordato di creare un esercito comune, finanziato da un bilancio comune e governato da istituzioni sovranazionali. La Ced prevedeva precisi piani operativi per trasferire il comando delle forze armate dagli Stati membri alla Comunità; istituiva un potere esecutivo di 9 persone, sottoposto al controllo di un potere legislativo bicamerale composto dal un Consiglio rappresentativo degli Stati, e da un’Assemblea parlamentare; attribuiva alle istituzioni sovranazionali il potere di imporre alle industrie della difesa di produrre il materiale bellico necessario ed era aperta all’adesione di qualsiasi altro Stato europeo che volesse unirsi. Infine, era strettamente coordinata alla Nato: infatti, le forze armate della Comunità erano gerarchicamente sottoposte agli ordini del Comandante supremo della Nato, e accordi paralleli assicuravano patti di mutua difesa tra la Ced e la Nato e tra la Ced e il Regno Unito.
Sebbene fosse un progetto ambizioso di statisti quali il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e più di tutti l’italiano Alcide De Gasperi, la Ced non era fantascienza. Il 27 maggio 1952 il Trattato istitutivo della Ced veniva firmato dai 6 fondatori e in un paio d’anni veniva rapidamente ratificato da ben 4 Stati su 6: Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo. Mentre l’Italia ritardava, il 30 agosto 1954, l’Assemblea della Quarta Repubblica francese votò a maggioranza (319 contro 264) una mozione procedurale che rinviava sine die la ratifica della Ced. Com’è noto, quella decisione spinse il processo d’integrazione europeo su un piano diverso: nel 1955 la Germania Ovest aderì alla Nato, e nel 1956 il Trattato di Roma istituì la Comunità economica europea (Cee).
Tuttavia, la fine della Ced potrebbe essere stata decretata anzitempo. Come ho spiegato più nel dettaglio in un’altra sede, in termini giuridici la Ced non è morta – e potrebbe essere resa operativa oggi semplicemente tramite la ratifica di Francia e Italia. Dal punto di vista del diritto internazionale pubblico, una volta che un trattato è stato firmato e ratificato non è considerato nullo per gli Stati che hanno espresso il loro consenso a essere vincolati da esso, anche se il trattato non è ancora entrato in vigore. Infatti, i trattati multilaterali generalmente richiedono un certo numero di ratifiche per diventare operativi, e pertanto può passare anche un lungo lasso di tempo tra la firma di un trattato e la sua entrata in vigore. Poiché Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo hanno lo ratificato e mai denunciato, il Trattato Ced è ancora valido per loro. In aggiunta, dal punto di vista del diritto costituzionale, non c’è nulla che vieti a Italia e Francia di ratificare il Trattato Ced oggi. Nel caso italiano, il Parlamento non si era mai espresso sul trattato, mentre nel caso francese il voto del 1954 era stato reso dall’Assemblea della Quarta Repubblica: dal 1958, tuttavia, il regime costituzionale della Francia è stato modificato, quindi sarebbe pienamente legittimo per l’Assemblea della Quinta Repubblica francese votare sulla Ced – per la prima volta.
Naturalmente, la fattibilità giuridica di ridare vita alla Ced non equivale alla sua fattibilità politica. In Francia, la frammentazione tra blocchi politici emersa dalle elezioni dell’Assemblea nazionale del giugno-luglio scorsi ha privato il presidente Macron di una maggioranza. La riattivazione del Trattato Ced potrebbe sorprendere i 4 Paesi che lo avevano ratificato settant’anni fa, oltre che in tutti gli altri Stati membri dell'Ue che ne sono fuori, in particolare quelli dell'Est. Inoltre, l'entrata in vigore della Ced aumenterebbe ulteriormente la complessità della governance europea, aggiungendo un’ulteriore organizzazione al sistema di integrazione differenziata. Infine, anche se la Ced dovesse entrare in vigore, gli Stati membri dovrebbero comunque prendere importanti decisioni all’unanimità, e sarebbero necessari aggiornamenti per adattare il contenuto del Trattato alle nuove forme di guerra che includono droni e guerra cybernetica.
Nondimeno, attivare oggi la Ced avrebbe diversi vantaggi, in primis quello di dotare l’Europa di una vera capacità di difesa militare. Ma non solo: la Ced sarebbe sovranazionale, eliminando il rischio di egemonie di specifici Paesi; sarebbe de jure legata alla Nato, permettendo di superare molte delle paure legate a una netta separazione dagli Stati Uniti; sarebbe aperta a tutti gli Stati europei che desiderassero aderire, ma i membri originari avrebbero un veto sull'adesione di Paesi con cui non hanno intenzione di cooperare; permetterebbe di creare automaticamente un ponte con il Regno Unito, rafforzando la cooperazione alla sicurezza europea post-Brexit. Soprattutto, infine, la Ced può entrare in vigore con soli 2 voti di ratifica – un percorso incredibilmente più facile rispetto ai 27 voti necessari a modificare i trattati dell’Ue o a rendere operativi i suoi timidi articoli sulla difesa. Da questo punto di vista, quindi, la rivitalizzazione del Trattato Ced potrebbe rivelarsi una soluzione giuridica creativa per creare rapidamente l’Europa della difesa dopo la rielezione di Trump.
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