Perché non utilizzare l’Intelligenza artificiale (IA) per proteggere i lavoratori dai rischi che questa stessa tecnologia può provocare? E se fossero proprio i sindacati – e più in generale le forme organizzate della rappresentanza – a sviluppare progetti di IA per esercitare meglio le proprie funzioni di tutela dei diritti?

Nella discussione sull’impatto che l’IA andrà progressivamente generando sulle nostre vite, un focus rilevante è occupato dagli effetti sul mondo del lavoro. Molta parte di queste analisi è volta a indagare i possibili effetti discriminatori di una organizzazione del lavoro basata su algoritmi o IA e, conseguentemente, sulle necessarie misure di mitigazione o azzeramento di quegli effetti sfavorevoli. Si tratta di un tipo di analisi che punta alla prevenzione e alla riduzione del danno e accomuna sia la letteratura, sia la giurisprudenza – si pensi alle decisioni assunte con riferimento ai lavoratori su piattaforma; e, infine, lo stesso legislatore. Quello europeo, nel recente Regolamento sull’IA approvato lo scorso 21 maggio dal Consiglio dell’Unione, definisce un principio generale basato sull'analisi del rischio, sul divieto di utilizzo di questa tecnologia per determinate finalità, sui sistemi dinamici di trasparenza ex ante e controllo ex post degli effetti su cittadini e lavoratori.

Un’impostazione logica e coerente con la tradizione del diritto del lavoro europeo che, partendo dal presupposto dell’asimmetria di potere tra lavoratore e datore di lavoro, qualifica le due parti e la loro relazione per impedire che lo squilibrio determini discriminazione o compressione dei diritti. Ma è una impostazione sufficiente a reggere l’urto di una trasformazione imponente come quella impressa dall’IA? Molti sottolineano come, su questo terreno, la regolazione insegua l’innovazione tecnologica con una velocità che difficilmente consente di anticiparne gli effetti. Ciò non significa che si debba abbandonare l’ambizione di un buon quadro regolatorio, ma che accanto a questo sforzo occorre lavorare a risposte che agiscano con la stessa tempestività dell’avanzamento tecnologico stesso. Come? Utilizzando quest’ultimo non solo per le lecite finalità di crescita economica delle aziende, ma anche per qualificare tecnologicamente la capacità delle organizzazioni di tutela nel riconoscere i bisogni, classificarli, anticiparli e trattarli con efficacia “aumentata”. Che detto in altra maniera potrebbe dirsi con: svolgere l’attività tipica del sindacato con le metodologie tipiche dell’IA.

Utilizziamo degli esempi per cercare di valutare che cosa potrà accadere a un sindacato che non utilizza l’IA e, all’opposto, quali opportunità possono aprirsi con il suo impiego.

La prima delle due ipotesi, in realtà, incappa in un paradosso. Un sindacato che rinunciasse a utilizzare l’IA si troverebbe comunque a operare in un ambiente aziendale sempre più organizzato con piattaforme di IA. In un recente articolo del “New York Times” intitolato If A.I. can do your job, maybe it can also replace your C.E.O. si citano gli esiti di una intervista a numerosi manager realizzata nel 2023 dalla piattaforma educational fondata dall’Università di Harvard e dal Mit di Boston (la piattaforma è edX.org). Secondo i dirigenti e i Ceo intervistati, i sistemi di automazione andranno a sostituire non solo gli addetti alle attività più standardizzate ma – per ben il 47% di loro – anche le più elevate funzioni manageriali di gestione aziendale. La prospettiva di un manager digitale, o più semplicemente di ruoli manageriali svuotati della discrezionalità e fiduciarietà che ne dovrebbero caratterizzare il ruolo, potrebbe essere più vicina di quel che si pensi. E non sarebbe un fenomeno nuovo, ma la versione più potente e diffusa di qualcosa che già conosciamo. Manager meri esecutori di indirizzi e obiettivi stabiliti dall’IA costituirebbero l’evoluzione di direttori del personale o di stabilimento che comunicano la chiusura di un impianto in Italia non per loro decisione, ma perché così è stato deliberato dalla casa madre di una multinazionale che disloca le attività in altri Paesi, magari caratterizzati da sistemi di protezione sociale più gracili e quindi economici.

Manager meri esecutori di obiettivi stabiliti dall’IA costituirebbero l’evoluzione di direttori che comunicano la chiusura di un impianto perché così è stato deliberato dalla casa madre di una multinazionale

È una circostanza con la quale il sindacato si è misurato più volte ma che, nella prospettiva dell’IA, può diventare un fenomeno costante. Perché anche una Pmi in brevissimo tempo potrebbe definire le proprie strategie (localizzazione, organizzazione del lavoro, definizione dei profili professionali, selezione delle risorse umane ecc.) attraverso le piattaforme di IA utilizzate da una consulenza aziendale disponibile sul mercato a prezzi sempre più accessibili. In questo scenario, potrà bastare al sindacato esercitare le proprie tradizionali prerogative di relazioni industriali, negoziazione, esercizio del conflitto, oppure dovrà dotarsi a sua volta di strumenti di IA che “aumentino” le proprie competenze sindacali per consentirgli di stare ancora a un tavolo di confronto con armi non del tutto spuntate?

In questa ottica le attività proprie del sindacato sono un terreno molto interessante per sperimentare modelli d’impiego dell’IA. I grandi sindacati dispongono infatti di una imponente quantità di informazioni sulle condizioni dei lavoratori. Ogni anno sono milioni i momenti di contatto nei quali un lavoratore comunica al sindacato una condizione da dover trattare. In molti casi queste informazioni viaggiano su percorsi “strutturati”, come nel caso dei Caf o dei patronati, e quindi alimentano archivi già standardizzati. In molti altri casi queste informazioni alimentano una gestione più informale e destrutturata, che successivamente può sfociare in una delle forme tipiche della tutela vertenziale operata dal sindacato.

Questo significa che – in linea teorica – il sindacato dispone di una base di informazioni alla quale potrebbero essere applicate soluzioni di IA per indagarne le correlazioni e, ad esempio, estrarre parametri di vulnerabilità dei lavoratori (categoriale, territoriale, anagrafica, curriculare ecc.) che possono consentire al sindacato stesso di migliorare la presa in carico delle persone o anche di stabilire criteri predittivi dei rischi che posso correre i lavoratori in un cluster di imprese caratterizzato da una determinata dimensione, localizzazione, attività merceologica ecc.

Il sindacato dispone di una base di informazioni alla quale potrebbero essere applicate soluzioni di IA per indagarne le correlazioni e, ad esempio, estrarre parametri di vulnerabilità dei lavoratori

Siamo ancora a una descrizione molto teorica di ciò che il sindacato potrebbe ottenere con progetti di IA applicati alla propria operatività. Anche per la natura stessa dei sistemi di IA, che sono in grado di proporre criteri di lettura del fenomeno analizzato originali e ulteriori rispetto al quesito di partenza.

Di certo, il valore che il sindacato potrebbe ottenere da un investimento digitale delle proprie attività consiste nel miglioramento dei propri servizi; nella moltiplicazione degli strumenti di conoscenza (benché i grandi sindacati vantino da sempre una gloriosa tradizione di centri studi); nella progettazione di suite digitali per assistere la funzione del sindacalista sui temi della sicurezza, della contrattazione aziendale ecc. C’è inoltre un importante meta-risultato in un investimento di IA sulle attività sindacali: per farlo occorre formarsi e interagire con i progettisti di tali sistemi, e già questo esercizio consentirebbe ad alcune componenti sindacali di entrare in un processo di apprendimento che ha le stesse caratteristiche di quello svolto dalle imprese che si misurano con analoghe trasformazioni. Non rappresenta già solo questo aspetto un interessante elemento di riequilibrio dei poteri tra impresa e lavoro?

Un’ultima riflessione riguarda il rischio di una resistenza culturale – se non anche emotiva – del sindacato a questo tipo di proposta. Comprensibile perché la tutela dei lavoratori è tra le più nobili funzioni sociali “human driven”. È svolta da persone che si relazionano con altre persone. E la prospettiva di un arretramento di tale preziosa qualità potrebbe spaventare a una prima analisi. Ma si tratta di un timore superficiale. Perché quello di cui stiamo riflettendo non solo è l’utilizzo di soluzioni digitali al servizio di obiettivi di tutela delle persone che lavorano, ma di un approccio che mai potrebbe eliminare il ruolo chiave di quanti fanno sindacato, sia nella progettazione dei modelli di IA, sia nella formulazione di corrette domande e nella valutazione (anche etica) delle indicazioni offerte dai modelli di IA. D’altronde questo approccio che vuole mantenere “la persona al centro delle decisioni”, benché assunte col supporto di piattaforme digitali, è proprio la strategia europea della regolazione sull’IA, ed è la visione umanocentrica che ispira il piano europeo di Industria 5.0.

Dunque, non verrebbe mai meno quel luogo altamente simbolico che è il tavolo della contrattazione, attorno al quale siedono donne e uomini in carne e ossa. Ma che dovrebbero disporre di strumenti di analisi, conoscenza e supporto alla definizione delle rispettive proposte. E con la preparazione necessaria per usare criticamente e consapevolmente queste soluzioni. Da entrambi i lati del tavolo. Non solo dalla parte dell’azienda.