La Francia "si scopre" di destra. L’affermazione del Front National è incontestabile: con il 28% è il primo partito di Francia. Certo, si è votato per elezioni regionali e circa un francese su due si è astenuto, ma la partecipazione è comunque salita rispetto alle regionali del 2010 di circa tre punti.
Le possibilità di vittoria finale di Marine Le Pen nella regione Nord-Pas-de-Calais-Picardie sono più che reali. Con oltre il 40%, stacca di quasi sedici punti il candidato repubblicano (l’ex ministro di Sarkozy Xavier Bertrand) e anche in caso di ritiro della lista socialista, giunta terza con appena il 18%, dovrebbe riuscire nella storica impresa di portare una regione a guida frontista. Situazione simile per la nipote di Marine, Marion Maréchal-Le Pen, nella regione mediterranea Provence-Alpes-Côte d’Azur. Anche in questo caso il Partito socialista ha già annunciato il barrage républicain a favore del repubblicano Estrosi, ma potrebbe non essere sufficiente, visto il 40,55% della candidata frontista (ancora quindici punti avanti rispetto alla destra repubblicana) e il pessimo 16,5% della lista socialista.
Se all’estremo Nord e all’estremo Sud gli ottimi risultati del Fn erano attesi, a stupire di più sono il 35% della lista Fn guidata da Florian Philippot, numero due del partito, nella grande regione dell’Est Alsace-Lorraine-Champagne-Ardenne, storico feudo della destra repubblicana. Qui il candidato del centrodestra arriva staccato di oltre dieci punti da quello frontista e solo il ritiro di quello socialista (annunciato ma non certo) potrebbe evitare la terza regione a guida Fn. Infine, se in Bourgogne-Franche-Comté e Centre-Val de Loire ci si attendavano buoni risultati e le due liste frontiste arrivano al primo posto rispettivamente con 32% e 30,5%, l’ultima sorpresa è il 31% di Louis Alliot, compagno di Marine Le Pen e capolista nella regione Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées, storico feudo della sinistra radicale e socialista. In questo caso determinante sarà la scelta dei repubblicani. Se dovessero optare per ritirare il proprio candidato, fermo al 18%, il candidato Ps (al 25,5%) potrebbe conquistare la regione; altrimenti si prospetta un triangolare che potrebbe essere “letale” per la lista di sinistra.
Non ci sono dunque dubbi sul vincitore di questo primo turno. Il Fn ha saputo mantenere intatto il trend positivo degli ultimi anni, passando indenne le delicate settimane del post-13 novembre: da una parte sfruttando l’attualità delle sue parole d’ordine classiche – sicurezza, lotta all’immigrazione incontrollata, critica all’Ue e alla sua inefficacia, contrasto all’islamismo radicale –, dall’altra amministrando sapientemente lo spirito di Union sacrée che aleggia sul Paese ferito, mantenendosi lontano da reazioni umorali e posizioni bellicose e accentuando così la dédiabolisation del partito e il rafforzamento della sua immagine di soggetto di governo. Accreditare l’opzione Fn solo come voto di protesta e di rigetto è oggi riduttivo: l’elettore del Fn manda un segnale all’establishment ufficiale e ribadisce la sua insurrection, ma vuole anche mandare i candidati frontisti alla guida delle istituzioni. Un monito da non trascurare in vista delle presidenziali del 2017.
Altrettanto certo è lo sconfitto, il Ps: in otto regioni su tredici è arrivato in terza posizione, con pochissime possibilità di vittoria al secondo turno. Del Languedoc-Roussillon si è detto; quasi certamente il Ps manterrà il feudo storico della Bretagna (anche grazie al capolista Jean-Yves Le Drian, stimato ministro della Difesa) e quello dell’Aquitaine-Limousin-Poitou-Charentes, mentre in Ile-de-France Claude Bartolone (attuale presidente dell’Assemblée nationale) se la giocherà con Valérie Pecresse (a lungo ministro durante la presidenza Sarkozy), sperando nei voti dell’elettorato ecologista e dell’estrema sinistra, che hanno totalizzato rispettivamente l’8 e il 6%. Se il Ps dovesse ottenere la guida di quattro regioni, cui potrebbe aggiungersi la Corsica, che resta però un laboratorio politico sui generis, si potrebbe parlare di sconfitta onorevole, anche se nel 2010 (con la vecchia carta regionale) ne controllava 21 su 22 (solo l’Alsazia andò al centrodestra).
All’interno di un trend che dopo l’arrivo di Hollande all’Eliseo ha visto la sconfitta del Ps in tutte le elezioni, in questo caso il cammino verso la sconfitta è partito quando è mancato l’accordo per le varie liste regionali tanto con gli ecologisti (peraltro in netto calo quasi ovunque), quanto con il Front de Gauche. La frammentazione a sinistra è un dato da non trascurare. Al di là delle ultime settimane con Hollande a suo agio nei panni di comandante in capo, il Ps e l’inquilino dell’Eliseo nel corso degli ultimi anni si sono vicendevolmente trascinati verso il baratro, mostrando tra le altre cose una schizofrenia ideologica che li ha condotti, ad esempio sul piano economico, a passare da posizioni stile progetto comune della gauche anni Settanta (la tassazione sui ricchi di inizio mandato), al patto di responsabilità di chiara impronta neoliberale e all’esaltazione nel governo Valls del super-ministro dell’Economia Emmanuel Macron. Nell’immediato il segretario del partito Cambadélis ha dato indicazione per il ritiro delle liste Ps nelle tre regioni di maggior successo del Fn, chiamando dunque l’elettorato socialista al barrage républicain. Una scelta “palliativa”, che lascerà il partito senza consiglieri per cinque anni nelle regioni nella quale sarà applicata e che finirà, per forza di cose, per avallare la lettura frontista dell’alleanza di potere Umps (come richiamato dallo slogan polemico del Fn).
C’è poi un altro sconfitto. Nonostante un discreto 26,8% su scala nazionale (giova ricordare che in tutte le regioni Les républicains – Lr – erano alleati con i centristi), il partito di Nicolas Sarkozy ha senza dubbio tradito le attese. E un giudizio di questo genere trova fondate ragioni sia analizzando il voto da un punto di vista locale, sia passando a considerazione di politica nazionale.
Primo posto solo in quattro regioni, con solo due di queste praticamente già conquistate (si tratta di Pays-de-la Loire e di Auvergne-Rhone-Alpes). Il candidato centrista Hervé Morin in Normandia è giunto primo con un solo un punto di vantaggio da quello frontista e, con il Ps al 23%, lo attende un triangolare complicato. Stessa situazione per Valérie Pécresse in Ile-de-France, dato che il candidato socialista dovrebbe raccogliere una parte consistente del voto ecologista e di estrema sinistra, mentre la riserva di voti della destra repubblicana appare esigua. I pessimi risultati nel Nord e in Provence-Alpes-Côte d’Azur mettono davvero a rischio il secondo turno, ma il vero emblema della sconfitta dell’alleanza tra centro e destra repubblicana si raggiunge nel Grand Est, la regione Alsace-Lorraine-Champagne-Ardenne. Se in questo caso la vittoria finale del Fn non è scontata, gli undici punti di vantaggio della lista frontista in una zona del Paese di forte tradizione gollista e democristiana, sono davvero un campanello d’allarme che l’attuale dirigenza Lr non dovrebbe trascurare. In definitiva se il Front dovesse eleggere due, o addirittura tre presidenti di regione, la sconfitta sarebbe prima di tutto cocente per Les Républicains e avrebbe chiare ricadute a livello nazionale.
Il primo turno è dunque già una evidente bocciatura della strategia di Sarkozy, il quale non si configura come vera e credibile opposizione al governo socialista, tanto da consentire a Marine Le Pen di indicare il suo partito come il primo partito di opposizione. Inoltre, esce sconfitta la condotta tattica di Sarkozy nel post 13 novembre, in bilico tra la critica alle autorità politiche (socialiste) non in grado di garantire la sicurezza dei cittadini, la necessità di non alzare troppo i toni e mantenere saldo il fronte repubblicano contro la minaccia terroristica, salvo poi passare a utilizzare, nell’ultima settimana di campagna, toni duri e parole d’ordine sul modello di quelle già usate nel 2012, nel tentativo di contrastare l’avanzata frontista.
In attesa del ballottaggio, bisogna ricordare che sull’esito finale un certo peso avranno le decisioni delle segreterie del Ps e dei Lr relativamente al ritiro della proprie liste giunte in terza posizione. Se Cambadélis ha già dato alcune indicazioni perlomeno per tre regioni, Sarkozy ha annunciato che il suo partito manterrà sempre i suoi candidati al secondo turno (è la linea del ni fusion, ni retrait). Una linea contestata da personalità di primo piano di centro (i leader dell’Udi Lagarde e del Modem Bayrou), ma anche di destra (come l’ex primo ministro Jean-Pierre Raffarin e l’ex ministro Nathalie Kosciusko-Morizet). Viene ora da chiedersi se a questo punto sia possibile parlare di quadro tripolare nel contesto politico francese. Per dare una risposta definitiva bisognerà naturalmente attendere le presidenziali del 2017 e forse ancora di più le successive legislative. Un voto insomma “nazionale”, di “prim’ordine” e con una partecipazione elettorale più consistente. Tuttavia si tratta di una tendenza in atto, che ha mostrato già segnali evidenti a partire almeno dal voto presidenziale del 2012.
A questo si deve aggiungere l’oramai costante radicamento locale del Fn – che si concretizza nella guida di amministrazioni comunali, dipartimentali e, eventualmente, regionali – contribuendo così a creare una “classe dirigente” frontista e ad accreditare una sua dimensione “governativa”. Parlare di fine della Francia bipolare e bipartitica può essere eccessivo. Ma cominciare a pensare che questo si possa realizzare è ormai più che lecito.
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