Qualcuno sostiene che la situazione al confine greco-turco fosse come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e che l’Unione europea abbia perso l’occasione, durante questi anni anni in cui il controverso accordo con la Turchia sembrava aver creato una vasta zona cuscinetto in cui tenere a distanza dal confine europeo la gran massa di profughi in fuga dal conflitto siriano, per trovare un accordo sulla riforma del sistema d’asilo. In particolare, si sia lasciata sfuggire l’opportunità per trovare un accordo su su uno stabile meccanismo di distribuzione del cosiddetto “onere” dell’accoglienza, che necessariamente passa dalla riforma del regolamento di Dublino, su cui peraltro il Parlamento europeo aveva lavorato. Al contrario, si è puntato tutto sul rafforzamento di Frontex, sulla necessità di ripristinare “l’ordine ai confini”, come ha sottolineato la stessa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel corso della conferenza stampa congiunta di martedì 3 marzo.
Riformata per ben due volte nello spazio di pochi anni, dapprima con l’approvazione del Regolamento 2016/1624 che ne ha esteso il mandato, in seguito con l’entrata in vigore del Regolamento 2019/1896 che ne ha ulteriormente rafforzato le capacità operative, Frontex è stata invariabilmente descritta come lo strumento più idoneo ad impedire che si ripetessero situazioni analoghe a quelle verificatesi nell’autunno 2015, quando oltre 800.000 profughi attraversarono la Grecia cercando di raggiungere i Paesi dell’Europa centro-settentrionale attraverso quella che fu denominata la “rotta balcanica”. Non a caso di fronte all’aumentare delle tensioni al confine greco-turco l’Agenzia ha immediatamente proposto un suo intervento di emergenza, attraverso una delle sue azioni di “intervento rapido alle frontiere”. Azioni che possono essere lanciate quando un Paese membro “si trovi a far fronte a sfide specifiche e sproporzionate, specie in caso di afflusso massiccio in determinati punti delle frontiere esterne di cittadini di Paesi terzi che tentano di entrare nel territorio di tale Stato membro senza autorizzazione” (art. 37(2) Regolamento 2019/1896)
Occorre tuttavia interrogarsi su quale sarà la natura dell’intervento che Frontex proporrà alla Grecia, in un frangente in cui è concreto il rischio di una nuova crisi umanitaria. Tutto lascia pensare che esso non sarà diretto a facilitare l’accoglienza delle decine di migliaia in fuga dal conflitto siriano. Come già lasciano presagire le parole della presidente von der Leyen, a Frontex sarà chiesto di supportare la Grecia nello svolgere la sua funzione di ασπίδα (scudo) d’Europa, con l’obiettivo essenziale di evitare che un nuovo afflusso incontrollato di profughi attraverso la rotta balcanica metta nuovamente in crisi il sistema Schengen, in un frangente per altri versi già estremamente delicato per la mobilità all’interno dello spazio europeo.
Non c’è forse da sorprendersi se anziché mettere in campo l’infrastruttura idonea a gestire una probabile emergenza umanitaria, Frontex si appresti a predisporre un sostanzioso dispositivo di sorveglianza delle frontiere, con imbarcazioni per il pattugliamento, elicotteri, visori termici e altre 100 guardie di frontiera che si aggiungeranno alle 530 già impiegate sul territorio greco. È vero che il regolamento dell’agenzia è infarcito di riferimenti a principi umanitari ma forse, come molti hanno sostenuto, tali riferimenti sono solo una concessione di facciata alle preoccupazioni della società civile, che nella espansione delle prerogative e dei poteri di Frontex hanno sempre visto un pericolo per la tutela dei diritti fondamentali dei migranti. Frontex era e resta una agenzia di sicurezza, su questo non c’è dubbio, tuttavia non è il caso di prendere sottogamba alcuni dei principi inclusi nel regolamento che ne disciplina le attività. A meno di non essere disposti a sostenere che la agenzia delle frontiere europee possa agire al di sopra della legge.
Ad esempio, il comunicato con cui Frontex annuncia che il suo management board ha deciso di lanciare un’azione di intervento rapido alle frontiere greche nulla dice sul piano operativo di tale missione. Quali le regole di ingaggio che lo staff dell’Agenzia sarà tenuto a seguire? Quali gli scopi esatti della missione? Ma soprattutto, come garantire che l’attività operativa proposta sia conforme al diritto dell’Unione europea e al diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda il principio di non respingimento (art. 36(2) Regolamento 2019/1896), in un frangente in cui il governo greco ha già annunciato la decisione di sospendere la ricezione delle domande d’asilo per un mese, suscitando le proteste dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Occorre ricordare, infatti, non solo che il piano operativo di qualsiasi attività di Frontex deve necessariamente dettagliare le “procedure grazie alle quali persone che necessitano di protezione internazionale [...] siano indirizzate alle autorità nazionali competenti per ricevere l'assistenza adeguata” (art. 38(3)(m) Regolamento 2019/1896), ma soprattutto che “il direttore esecutivo decide di non avviare alcuna attività dell'Agenzia per cui sussisterebbero, sin dal suo inizio, gravi motivi per sospenderla o cessarla perché potrebbe dare luogo a violazioni dei diritti fondamentali o degli obblighi in materia di protezione internazionale di natura grave” (art. 46(5)) Regolamento 2019/1896).
Quale ordine Frontex sarà dunque chiamata a ripristinare ai confini? Perché se queste sono le premesse politico-giuridiche del suo intervento alla frontiera greca, il rischio è evidentemente quello di favorire l’instaurarsi di un ordine eversivo dei principi fondamentali del diritto dell’Unione oltre a quelli dello stesso diritto internazionale.
Riproduzione riservata