Alle otto meno dieci c’è ancora gente e in molti seggi si vota ben oltre l’orario di chiusura. Ma chi ha già votato dice di non avere fatto grandi file. Dopo tante parole, e critiche, e rimbrotti, alla fine tutti sono costretti a riconoscerlo: queste primarie ci volevano proprio. Sono state uno straordinario successo: a livello nazionale sono state le prime, vere primarie. Esse danno fiato a chi corre ogni giorno convinto che la strada da percorrere debba essere, più che mai, politica. Gettano un po’ di luce, quanto basta, per rendere visibili nuovi progetti possibili di vita comune e condivisa, in un Paese troppo a lungo vissuto di disprezzo e rancore tra le parti. Smuovono, soprattutto, un bel pezzo di quella politica considerata (spesso non a torto e indipendentemente dall’anagrafe) vecchia e imbalsamata, rimettendola in carreggiata nei confronti di quella che troppo a lungo è stata considerata (quasi sempre sbagliando) anti-politica. Ecco il dato più rilevante. Indipendentemente dai risultati – ce ne occuperemo come di consueto a breve alla voce “Questioni primarie” – gli oltre tre milioni di elettori che, nonostante i temuti piccoli disagi, si sono recati al voto per indicare il loro preferito tra i “fantastici cinque” hanno dato un aiuto grande e concreto per riequilibrare la bilancia a favore della politica.
E per ora limitiamoci a registrare i principali risultati e i meriti. Il partito, almeno un partito, c’è: le primarie non sono state un piccolo sforzo organizzativo e costruire su base volontaria migliaia di seggi elettorali ne è una testimonianza. Il partito che c’è è diviso, come ovunque avviene in Europa per i suoi confratelli, in due principali orientamenti politici tra cui c’è competizione. Le cose sono più complicate di così, ma è indubbio che la linea “socialdemocratica” di Bersani e quella “liberal-democratica” di Renzi sono molto simili a quelle che albergano nei grandi partiti europei di centrosinistra: la loro convivenza non sarà facile, ma neppure impossibile, visto che avviene altrove senza spaccare il partito. I meriti? Oltre al grande merito che abbiamo riconosciuto, alla domanda di politica vera proveniente dalla base, un merito importante va riconosciuto all’offerta. Sia reso onore a Puppato e Tabacci che hanno interpretato in modo perfetto lo spirito delle primarie. Sia reso onore a Vendola, che non appartiene al partito ma potrebbe benissimo appartenervi. Ma l’onore più grande, i principali meriti personali vanno attribuiti a Renzi e a Bersani, gli interpreti delle due linee. A Renzi soprattutto. L’apparizione di un leader, di una persona con una vocazione vera e con capacità adeguate per la politica democratica, va salutata con gioia (persone di questo calibro sono così rare). Ed è a lui, alla sua energia, alla sua spinta polemica, che va il merito maggiore del successo delle primarie: la base ha capito che si trattava di una decisione seria, di un vero confronto tra linee. Ma un grande merito (e un ringraziamento sincero) va riconosciuto anche a Bersani, che si è messo in gioco e ha capito che il gioco valeva la candela.
Dobbiamo però essere consapevoli che queste primarie sono solo una piccola parte della grande opera di ricostruzione che aspetta un Paese fatto a pezzi da tanti anni di cattiva politica: e non solo gli ultimi venti dominati dal grande illusionista. È una parte importante, ma la ricostruzione di un rapporto decente tra società e classe politica non potrà dirsi avviato senza che anche da destra arrivino segnali di ricostruzione. Troppo abituati ai frequenti dietrofront, in pochi scommetterebbero su primarie credibili dall’altra parte. Eppure allo stato attuale occorrerebbe riconoscere che non c’è altra strada percorribile per quel che resta del centrodestra italiano. Fallita l’ipotesi nata dallo strappo di Fini, smontata ogni finta credenza sulla capacità di un centro moderato (un giorno qualcuno comprenderà che non c’è aggettivo più vuoto di significato di questo) e di crescere a sufficienza per catalizzare anche chi moderato non si sente affatto, restano sparsi sul tavolo del Risiko i resti di un Pdl che fu. Un partito ancora troppo e sempre vittima della voce del padrone, e per questo ormai privo di credibilità.
Chi, a sinistra, immagina ancora che questa sia una buona notizia o è stupido o è ingenuo. Nessuna crescita culturale e politica, nessuna ricostruzione del rapporto andato in frantumi tra società e politica potrà mai essere avviato senza una destra credibile e sufficientemente coesa. Che poi, in Italia, una destra siffatta possa nascere attorno a un leader nato come tecnico e sempre più politico, questo è tutt’altro discorso. Un discorso cui non crediamo e che affronteremo nel prossimo numero del "Mulino".
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