Sette anni dopo il primo ballottaggio presidenziale, la politica francese è ancora attraversata dallo scontro “Ma contre Ma”, ovvero “Macron contro Marine (Le Pen)”. È vero che la lista presidenziale per le prossime europee è guidata dalla debole leadership di Valérie Hayer, mentre quella del Rassemblement National da quella giovane e sfrontata (e parecchio superficiale) di Jordan Bardella. Ma in realtà il coinvolgimento diretto del presidente, in campagna elettorale permanente perlomeno dal discorso fiume alla Sorbona del 25 aprile scorso (il cosiddetto Sorbonne II), e quello sapientemente calibrato di Marine Le Pen, disegnano l’ennesimo scontro tra i cosiddetti europeisti e progressisti e i cosiddetti sovranisti o, come amano definirsi, patrioti. Niente di nuovo sotto il sole dunque?
Come prima provvisoria replica non si può che rispondere in maniera affermativa. Aggiungendo poi che i sondaggi sembrano unanimi nel sancire una débâcle per l’Eliseo. La lista Rn è accreditata di uno score superiore al 30% (con picchi del 33,5% per alcuni istituti demoscopici), mentre Renaissance è inchiodata a un misero 15-16%, peraltro incalzata dalla lista della gauche socialista guidata da Raphaël Glucksmann (tra il 14 e il 14,5%). Le pessime previsioni per la destra repubblicana, France Insoumise e Verdi completano il quadro.
Ma approfondendo un minimo l’analisi, si possono individuare almeno tre elementi di un certo interesse, così da aggiungere significato allo schema, comunque valido, della contrapposizione Macron-Marine.
Il primo di questi riguarda proprio la creatura sulla quale da quasi un quindicennio domina incontrastata la figlia del fondatore del Fn. L’attuale Rassemblement National sembra impegnato nella ennesima mutazione. Occorrerà verificare quanto reale al suo interno, di certo concreta quanto a messaggio politico e percezione nell’elettorato. È bene ricordare che alle ultime europee il Rn era già primo partito di Francia. In secondo luogo, Marine Le Pen ha sfondato il tetto dei 13 milioni di voti al ballottaggio presidenziale del 2022 (al ballottaggio di venti anni prima il padre aveva di poco superato i 5 milioni). E infine il Rn ha portato 88 parlamentari all’Assemblea nazionale alle legislative del giugno 2022 e può contare su un numero costantemente crescente di eletti locali. In definitiva, volenti o nolenti, il Rn è un partito “entrato nelle istituzioni”. Vi è poi stata una profonda metamorfosi, o meglio sarebbe dire un consistente “maquillage”, nel discorso europeo del Rn. L’anti-europeismo è stato diluito. Da un Fn che voleva praticamente uscire da qualsiasi organizzazione che comportasse cessione di sovranità (area euro, comando integrato Nato per fare solo due esempi), si è passati a un Rn sempre più attento agli equilibri europei e sempre più impegnato ad assecondare le richieste di un’opinione pubblica che, lo si ricorderà tra poco, pare sempre meno eurofobica (pur restando euroscettica) e sempre più alla ricerca di un’Europa “differente”. Così si può spiegare la manovra di distacco dagli impresentabili tedeschi di AfD, ma anche la freddezza nei confronti dell’alleato Salvini e il contestuale avvicinamento al gruppo dei Conservatori e Riformisti, coinciso con la partecipazione di Marine Le Pen all’assise di Madrid organizzata da Vox e con la riattivazione di un canale di dialogo con Giorgia Meloni.
Vi è stata una profonda metamorfosi nel discorso europeo del Rassemblement National. Da un Front National che voleva uscire da qualsiasi organizzazione che comportasse cessione di sovranità, si è passati a un Rn sempre più attento agli equilibri europei
Ma l’elemento forse ancora più significativo giunge dai più articolati studi di sociologia elettorale che parlano di una oramai sempre più persistente “normalizzazione” del voto al Rassemblement National da parte di quelle fasce di elettorato, soprattutto di centro e di destra repubblicana, che sino ad alcuni anni fa applicavano la logica del cosiddetto “barrage” repubblicano. A tal proposito imprescindibile appare la lettura del recente Des électeurs ordinaires. Enquête sur la normalisation de l’extrême droite (di F. Faury, edito da Seuil, 2024). Per essere ancora più chiari, oltre a un elettorato fortemente polarizzato e soprattutto fidelizzato, oggi sembra disposto a votare Rn un elettore che si auto percepisce e autodefinisce come “moderato”. Ancora più esplicitamente, il voto Rn appare sempre meno “scandaloso”. Ultimo elemento per completare il quadro una vera e propria “Bardella mania”. Il giovanissimo deputato europeo e presidente del Rn raccoglie infatti un consenso crescente in particolare tra un elettorato giovanissimo, solitamente non così attratto dalla destra radicale e soprattutto spesso destinato all’astensionismo.
Il secondo elemento degno di essere sottolineato riguarda ciò che sta accadendo nello spazio della gauche attorno alla candidatura del capolista Raphaël Glucksmann. Già abbiamo detto della leadership dell’intellettuale attento ai temi ambientali, alla difesa dei diritti umani, alla lotta alle multinazionali ma contestualmente filoccidentale e fortemente anti-Putin. Oltre a sottolineare il fatto che la sua candidatura non ha per nulla perso quota e anzi è oramai stabilmente attorno al 15%, e punta addirittura a insidiare la lista macronista Renaissance, la domanda da porsi è se Glucksmann sia realmente il simbolo di una rinascita della sinistra di governo. Chi propende per la risposta affermativa sottolinea come egli si stia mostrando abile nell’unire contenuti chiaramente di sinistra a un approccio pragmatico e mai dogmatico. Chi si mostra più cauto sottolinea che al suo probabile successo farà quasi sicuramente da contraltare un flop degli ecologisti (accreditati di poco più del 5%) e un ridimensionamento de La France Insoumise, orfana alle europee del suo tribuno Mélenchon. In questa lettura si conclude che quella in atto non è una ristrutturazione della sinistra socialdemocratica, quanto piuttosto un travaso di voti tutto interno allo spazio fluido e indistinto della passata e litigiosa Nupes. Difficile propendere per una o per l’altra interpretazione. L’unica certezza è che se il 10 giugno sarà confermato il risultato della lista guidata da Glucksmann, la sinistra di governo avrà una base sulla quale edificare una strategia di medio periodo in vista delle presidenziali del 2027.
Sul macronismo in quanto cultura politica e di governo il giudizio non può che essere negativo o perlomeno sospeso, dal momento che alla pars destruens non è seguita una pars construens all’altezza
Vi è un’ultima lezione che la campagna per il voto europeo sta evidenziando e riguarda Macron e il macronismo. Quando l’allora nemmeno quarantenne ministro dell’Economia del presidente Hollande decide di lasciare il governo per dedicarsi al suo club (En Marche!) che in realtà mai è diventato vera creatura partitica, si avvia una completa destrutturazione del bipolarismo francese. A un decennio di distanza il quadro politico non sembra aver ancora trovato una sua nuova strutturazione e sono stati solidità e adattabilità del quadro istituzionale della V Repubblica ad aver garantito la governabilità, seppur in un contesto di sempre maggiore insoddisfazione e critica, rivolte essenzialmente verso l’inquilino dell’Eliseo. Sul macronismo in quanto cultura politica e di governo il giudizio non può che essere negativo o perlomeno sospeso, dal momento che alla pars destruens non è seguita una pars construens all’altezza. Ma sarebbe errato fermarsi qui, perché dalla campagna elettorale per le presidenziali del 2017 in avanti il macronismo è stato anche (o forse quasi esclusivamente) un tentativo di imporre una narrazione francese sul futuro dell’Europa comunitaria. Riprendendo una serie di concetti tipici dell’approccio gaullo-mitterrandien, Macron ha costantemente tratteggiato un’idea di Europa sovrana, protettrice, autonoma da un punto di vista strategico, terza forza nel momento in cui si affaccia un nuovo bipolarismo Washington-Pechino. Il tutto guidando il Paese più euro-critico dell’Ue a 27 (i recentissimi dati Eurobarometro sono inequivocabili: una larga maggioranza pur non opponendosi all’integrazione in quanto tale, è profondamente critica su come l’Unione si sta sviluppando) e faticando non poco nel tentare di rilanciare quell’asse franco-tedesco ai livelli più bassi con la coppia Macron-Scholz.
Lungi dal voler trarre anche su questo fronte giudizi affrettati, una frase pronunciata dall’attuale presidente della Repubblica tedesca (e a lungo ministro degli esteri socialdemocratico) Frank-Walter Steinmeir durante la recente visita di Stato di Macron in Germania definisce forse meglio di ogni analisi l’operato di Macron: “laddove noi scorgiamo difficoltà, lui vede orizzonti possibili”. L’ennesimo round dello scontro Macron-Marine quasi certamente arriderà alla leader del Rassemblement National. Qualche speranza che questo non significhi l’avvio di una sua marcia trionfale verso l’Eliseo nel 2027 forse permane, a patto che nei suoi ultimi tre anni di presidenza alcuni degli “orizzonti” si tramutino in progetti concreti.
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