Se non lo si inserisce in una politica generale del ministero della Pubblica istruzione, la parte del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dedicato a Istruzione e Ricerca (Missione 4) può essere considerato alla stregua di una manovra finanziaria articolata in sei anni.
Il tema dell’università è contenuto nella sotto-sezione Dalla ricerca all’impresa. Per meglio interpretare gli interventi dedicati all’istruzione terziaria va segnalato che alcuni aspetti sono contenuti nella sezione Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione dagli asili nido alle università, che fa riferimento al ministero. All’interno di quest’ultimo alcuni punti riguardano specificatamente l’università: i) l’istruzione permanente; ii) la formazione post-secondaria professionalizzante (con particolare riferimento agli Istituti tecnici superiori); iii) la formazione in servizio del personale docente; iv) la riforma dei sistemi di orientamento degli studenti nel passaggio all’università.
i) L’importanza dell’istruzione degli adulti e dell’apprendimento permanente viene sottolineata con riferimento all’acquisizione di specifiche competenze e in particolare di quelle digitali. Il raccordo tra formazione iniziale e formazione permanente dovrà passare attraverso il rilancio dell’istruzione degli adulti. In questa prospettiva si inserisce altresì la formazione in servizio degli insegnanti, quale esempio specifico di collaborazione tra scuola e università.
ii) Lo sviluppo del Sistema di formazione professionale terziaria (Its) rappresenta il più specifico anello di collegamento tra scuola secondaria e università, all’interno del più ampio rapporto tra sistema formativo e sistema economico. Rapporto che si incentra sulla creazione di network con aziende, università e centri di ricerca, autorità locali e sistemi educativo-formativi per a) l’incremento del numero degli Istituti tecnici superiori (Its), b) il potenziamento dei laboratori con tecnologie 4.0, c) la formazione di docenti in grado di adattare i programmi formativi ai fabbisogni delle aziende locali, d) lo sviluppo di una piattaforma digitale nazionale per le offerte di lavoro agli studenti. Lo scopo generale è l’aumento degli iscritti agli Its.
iii) La formazione in servizio del personale docente che prevede la partecipazione di docenti universitari oltre all’organizzazione di seminari e stage di studenti delle scuole secondarie all’interno delle strutture universitarie e di ricerca.
iv) Quanto all’orientamento, si prevede l’introduzione di moduli di orientamento formativo rivolti alle classi quarte e quinte della scuola secondaria di secondo grado (della durata di circa 30 ore). La misura ricorda quella prevista dalla riforma Berlinguer del 1999 e mai realizzata. Si aggiunge altresì «la formazione di un milione di studenti attraverso corsi brevi erogati da docenti universitari e insegnanti scolastici che consentano agli studenti di comprendere meglio l’offerta dei percorsi didattici universitari e colmare i gap presenti nelle competenze di base richieste»: novità assoluta che necessita certamente di precisi chiarimenti.
Quali considerazioni si possono formulare sulla base dei documenti sin qui disponibili?
L’approccio del Piano è teso alla costituzione di un forte legame tra istruzione superiore e mondo economico, con la modernizzazione delle strutture formative in funzione dell’ammodernamento del comparto produttivo
L’approccio fondamentale del Piano è teso alla costituzione di un forte legame tra istruzione superiore e mondo economico, con la modernizzazione delle strutture formative in funzione dell’ammodernamento del comparto produttivo: in primis attraverso la digitalizzazione, ma più in generale con la revisione dello stesso sistema formativo, grazie al collegamento dell’università con la formazione professionale post-secondaria e il riferimento specifico alla formazione di personale ad alto livello (dottorati), funzionale ai bisogni del mondo economico. L’implicito riferimento è al modello internazionale della competizione tra sistemi produttivi, nella logica neo-liberal («non c’è sviluppo se non attraverso la competizione»).
Questa connotazione viene in qualche misura attenuata da richiami a valori come «equità» e «inclusività», che peraltro possono essere riferiti piuttosto ai livelli primario e secondario del sistema formativo (incremento degli asili-nido, orientamento per ridurre gli abbandoni), ma difficilmente possono essere combinati con le logiche di per sé diversificanti della competizione.
D’altro canto, non si riscontrano, nel documento, precise indicazioni a politiche del sistema formativo tese a contrastare le differenze economiche e sociali presenti sul territorio. Così, con riferimento al digital divide emerso durante la pandemia, la distribuzione degli strumenti tecnologici non può essere considerata come la soluzione delle condizioni del contesto economico, sociale e abitativo che sono alla base delle differenze, e tuttavia rappresenta bene il prevalente approccio del Piano ad aspetti parziali dei problemi di fondo.
Questa impostazione emerge, altresì, dal prevalere della dimensione quantitativa sulla qualitativa e dell’attenzione agli strumenti e alle strutture piuttosto che alle persone. Ora, da un lato, rischia così di ripercorrere esperienze passate non positive, quale la fornitura alle scuole dei primi Pc (per lo più finiti nelle cantine degli Istituti); dall’altro, l’esempio della gestione (in sé certamente di grande utilità) della didattica a distanza nel tempo della pandemia, dovrebbe aver suggerito il rischio di provare a risolvere una serie di problemi didattici attraverso gli strumenti piuttosto che con la modifica dei ruoli degli attori (insegnanti e studenti nella «didattica partecipata»). È bene ricordare, al riguardo, che l’enfasi fortemente posta sullo sviluppo delle applicazioni tecnologiche nell’economia e nella vita sociale rischia di trasformare l’università nell’unico ruolo di trasmettitrice di conoscenza tecnologica e per evitarlo, da più parti e da diverso tempo, si ritiene importante accentuare piuttosto lo sviluppo delle capacità di interpretare criticamente il cambiamento.
In questa direzione emerge non solo la necessità di modificare le modalità di organizzazione dell’offerta formativa (forme di trasmissione della conoscenza in sintonia con le altre fonti extra-sistema utilizzate dagli studenti), ma anche e soprattutto, l’importanza di predisporre gli stessi studenti alla comprensione di realtà inedite, mai presentatesi in precedenza, che richiedono l’assunzione di comportamenti e scelte tra alternative senza l’ausilio di esperienze pregresse.
Il tema assume una rilevanza cruciale nell’attuale situazione caratterizzata da continue trasformazioni nei diversi contesti economici, sociali e culturali. E dunque l’attenzione riguarda la formazione necessaria al confrontarsi con la complessità, la diversità e il cambiamento, dove l’imprevisto si riproduce con frequenza e caratterizza l’età dell’inimmaginabile («the age of the unthinkable»).
Coerentemente, nella stessa direzione sembra andare l’attenzione riservata a una sola parte – ancorché non trascurabile – delle attività universitarie rivolte all’esterno costituenti la «Terza missione»: il trasferimento tecnologico, che pure ha una sicura rilevanza ed è coerente con lo stretto rapporto auspicato tra istruzione superiore e mondo economico. Ma, in tal modo, si dimenticano le altre due componenti della «Terza missione» che rappresentano il nuovo – ma consolidato – rapporto dell’università con lo sviluppo della società come il Public Engagement (ovvero il rapporto con il territorio) e l’Educazione permanente (segnalata dal ministero della Pubblica istruzione, ma nei diversi Paesi ampiamente diffusa a livello universitario, sia per l’aggiornamento professionale sia per la diffusione della cultura tra gli adulti).
Emerge dal Pnrr un modello di sistema d’istruzione superiore sostanzialmente funzionale a un recupero di ritardi nei confronti di altri sistemi "competitori" sul piano economico
In sintesi, emerge dal Pnrr un modello di sistema d’istruzione superiore sostanzialmente funzionale a un recupero di ritardi nei confronti di altri sistemi «competitori» sul piano economico. Questa parziale prospettiva non sembra tener abbastanza conto, nelle «voci di spesa», dei mutamenti richiesti alle università dall’emergere di tutta una serie di problemi sociali ed economici tradizionalmente non considerati compiti istituzionali dalle università.
È questa, infatti, una delle tendenze che caratterizzano le trasformazioni in atto nei sistemi di formazione superiore. L’apertura alle nuove figure professionali, come si è visto, si esprime nel Piano attraverso l’accentuazione della rilevanza degli Istituti tecnici superiori. E tuttavia, un’altra apertura delle università che è sempre più richiesta riguarda la collaborazione diretta alla soluzione di problemi sociali, economici e culturali, propri ai territori circostanti, ma sovente collegati alle trasformazioni delle condizioni di vita della società globale.
Questa nuova dimensione richiede profondi ripensamenti sia nell’organizzazione degli atenei, sia nelle attività al loro interno, con i conseguenti riflessi sulle diverse figure del mondo accademico.
Se, come appare sempre più evidente, l’università è chiamata a collaborare alla soluzione delle grandi sfide della società (dal riscaldamento globale, alla perdita della biodiversità, alla povertà crescente, alla diffusione dei fondamentalismi, alle pandemie), come anche alle problematiche proprie alla sostenibilità urbana, legata alla disponibilità di fonti energetiche e idriche, ai trasporti, alla qualità dell’aria.
Se dunque la creazione del sapere si correla direttamente ai bisogni sociali, il cambiamento riguarda non solo l’orientamento del processo di produzione della conoscenza (articolazione, flessibilità, inter-disciplinarietà e non pluri-disciplinarietà dei curricoli), ma anche le modalità della produzione (formazione e ruoli dei formatori: docenti/ricercatori; formazione e ruoli dei fruitori: studenti), il ruolo dei referenti della produzione (cittadini quali stakeholder esterni), oltre la governance delle stesse istituzioni accademiche.
Ma di queste prospettive non sembra che il Piano tenga conto, in una visione a breve termine (il Pnrr è considerato una «piattaforma temporanea») forse inevitabile in mancanza di un progetto strategico di riferimento nel quale inserire i singoli interventi. Ma – in tale circostanza – il quadro che ne deriva segnala da una parte il ritardo consueto del sistema d’istruzione superiore italiano all’interno di un contesto globale in rapido cambiamento, e dall’altra (aspetto maggiormente preoccupante) la scelta di investire sullo sviluppo accelerato dell’economia grazie all’apporto modernizzante della conoscenza, secondo un collaudato modello che ovunque venga applicato aumenta le differenze sociali e culturali. Prospettiva che appare assolutamente devastante se applicata alla situazione italiana, ben nota per le storiche differenze culturali economiche e sociali.
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