All’indomani del voto italiano per le europee e le amministrative 2024 i commenti sono stati pressoché unanimi. Hanno vinto i due partiti maggiori (Fdi, Pd) e le due leader che li guidano; hanno perso il M5S di Giuseppe Conte e i “centristi”, Calenda e Renzi. A distanza di qualche settimana possiamo dire che le vittorie di Schlein e Meloni presentano alcune ombre, mentre la stroncatura delle ambizioni coltivate nei due mondi contrapposti del cosiddetto “campo largo” (nel M5S e nel sedicente Terzo polo) è un fatto certo.

L’unico esito davvero memorabile delle tornate elettorali 2024 è il ritorno del bipolarismo: centrodestra contro centrosinistra. Poi ognuno li chiamerà come meglio crede (sinistra-centro contro destra-centro, destra contro sinistra) ma la logica è di nuovo quella. Dopotutto, il campo che va da Renzi a Fratoianni non è più largo di quello che ai tempi del Prodi bis (2006-08) andava da Clemente Mastella a Franco Turigliatto. Mentre la destra incarnata da Giorgia Meloni non genera tensioni tra i poteri dello Stato rischiose per gli equilibri costituzionali o complicazioni diplomatiche per l’Italia nell’Ue superiori a quelle del Berlusconi quater (2008-2011).

L’unico esito davvero memorabile delle tornate elettorali 2024 è il ritorno del bipolarismo: centrodestra contro centrosinistra

Come nel 2006, alle europee del 2024, la somma dei partiti di centrodestra (Fi, Fdi, Lega) ha preso una quantità di voti (47,5%) pressoché identica a quella dei partiti di centrosinistra (Avs, M5s, Pd, Azione, +Eur-Iv). Nelle successive elezioni amministrative successi e sconfitte di una parte e dall’altra hanno ripreso a eguagliarsi, con casi più clamorosi di vittorie debordanti prodotte dall’impatto delle candidature locali e una ormai prevedibile prevalenza del centrosinistra nelle città più grandi. Un esito reso possibile dalla lezione appresa nel 2022, quando la divisione tra M5S e PD ha regalato una vittoria a mani basse al centrodestra nei collegi. A questo punto rimane da attendere che anche i duellanti del sedicente terzo polo si ravvedano o facciano un passo indietro. Il loro insano egocentrismo ha allontanato dall’area che vorrebbero rappresentare un terzo dei loro potenziali elettori, ha indotto i restanti due terzi a sprecare il loro voto, ha sottratto a Renew Europe 7-8 seggi che gli avrebbero consentito di rimanere il terzo gruppo dell’Europarlamento. Un suicidio davvero assistito. D’altro canto, il fatto che quell’area sia dilaniata da conflitti personali, la rende irrilevante nell’attuale centrosinistra, rendendo al tempo stesso l’attuale centrosinistra - quello fotografato di recente a Bologna, sul palco dell’Anpi, con al centro l’ex cossuttiano Pagliarulo - insufficiente nei numeri e squilibrato nella composizione politica.

Le stime dei flussi elaborate dall’Istituto Cattaneo mostrano che, al contrario di quanto è stato ipotizzato da diversi analisti sulla base dei valori aggregati, il Pd non ha riguadagnato quote di consensi al Sud grazie a travasi di ex elettori 5 Stelle, se non in casi localmente circoscritti, come a Bari, grazie al traino dell’ex sindaco Decaro. Gli ex elettori 5 Stelle, come è già capitato in altre elezioni europee e regionali, hanno in una larga quota disertato le urne, in particolare al Sud. Allo stesso tempo, i dati confutano l’interpretazione prevalente secondo cui la piccola soddisfazione per Salvini, che lo tiene in sella alla Lega, di avere ottenuto uno 0,2% in più rispetto alle politiche 2022 sia dovuta al successo personale di Roberto Vannacci. I dati dicono con chiarezza che Salvini la deve a due campioni di preferenze o signori delle tessere del Sud: l’ex sindaco di Catania Raffaele Stancanelli (Ex Msi-An-Fdi) e Aldo Patriciello (Ex Dc-Udc-Fi) che hanno trainato la Lega con i loro voti personali in Sicilia, Molise, Campania.

I dati confutano l’interpretazione secondo cui la piccola soddisfazione per Salvini, che lo tiene in sella alla Lega, sia dovuta al successo personale di Vannacci

Il post-voto e le scelte fatte finora nella fase di formazione degli organi dell’Ue per il prossimo quinquennio per un verso confermano il consolidarsi della dinamica bipolare e la definitiva trasformazione del M5S in una “costola della sinistra”, certificata dall’ingresso nel gruppo europeo ideologicamente più caratterizzato in questo senso (la Left). Per un altro verso hanno visto depotenziato il successo elettorale italiano delle due leader. Per un misto di ambizioni forse eccessive e di inesperienza, Meloni ha scoperto troppo tardi che l’asse tra S&D, Liberali e Popolari non è in discussione. Mentre Schlein ha rinunciato non si sa perché e in cambio di che cosa alla più cruciale delle caselle a cui avrebbe avuto diritto, in virtù del buon esito del voto: la presidenza del gruppo S&D dalla quale si gestiranno gli accordi più importanti sull’agenda parlamentare.