Sanscemo: i detrattori lo chiamano così, il Festival della canzone italiana. Fosse semplicemente un festival scemo, basterebbe forse non seguirlo, ignorarne l’esistenza. E fare altro. Del resto non sarebbe il primo programma scemo, né di certo l’ultimo. Ma (s’è capito, a questo punto il «ma» è d’obbligo) ora è diventato ben più che Sanscemo. Con l’edizione che si è appena conclusa si è assistito a una sorta di trasfigurazione, che ne ha definitivamente modificato i connotati. Una sorta di chirurgia plastica malriuscita, un abuso di botulino i cui danni risultano evidentissimi e devastanti.
È curioso che nell’epoca in cui la riproducibilità tecnica (non solo dell’opera d’arte, ahinoi, ma anche di qualsiasi sciocchezza riproducibile) tocca il suo apice, settant’anni dopo Benjamin, la possibilità di vedere e rivedere non conti nulla. Non c’è evento, piccolo o grande, che non sia possibile rintracciare, ex-post, in rete. Youtube è ormai diventato un enorme archivio di peregrinazioni della nostra contemporaneità, spesso fatta di materialità inconsistente. Il Festival, anzi il Festivál, non fa eccezione. Chiunque, digital divide a parte, può riguardarsi il seno grottesco e straripante della conduttrice e le sue mises, improbabili ma senz’altro in stile con le uova pasquali che già arrivano negli ipermercati. Ma anche gli operai della Fiat di termini Imerese con Maurizio Costanzo nelle vesti di leader sindacale, e il ministro Scajola, che dal suo collegio elettorale promette una soluzione governativa all’increscioso problema dello stabilimento Fiat. E poi ancora, e soprattutto, le canzoni, la musica, gli applausi e le contestazioni, alcune plateali. Ecco allora gli orchestrali dell’Ariston che in segno di protesta per il verdetto appallottolano i loro spartiti, mentre la conduttrice, che si autodefinisce "vecchia giornalista", nientemeno, si appassiona come non mai.
Riguardare dovrebbe servire per riflettere almeno un istante, per realizzare che ciò che conta, ciò che vince, non è la musica, buona o cattiva che sia; ma la tv ipergeneralista, quella del grande contenitore pop che mette insieme tutto e il contrario di tutto per catturare senza tregua l’attenzione, e gli sms, dei tele votanti, con grande giubilo delle compagnie telefoniche e della democrazia virtuale. In grado ormai di farsi beffa di qualsiasi competenza, di qualsivoglia preparazione, studio, approfondimento. È, ancora una volta, il pensiero rapidissimo, scevro da ogni riflessione, l’istinto che si risolve nel voto «messaggiato», che stravince sul pensiero fondato su una riflessione che duri più di un attimo.
Così, mentre si dovrebbero discutere i contenuti delle celebrazioni per i «centocinquant’anni», il popolo «se ne frega», e rende omaggio alla dinasta Savoia, quasi a ricordare in un flash mnemonico da scuola elementare che all’Unità d’Italia si arrivò sotto Vittorio Emanuele II, Duca di Savoia e Re di Sardegna. Sanscemo o no, il vincitore è il principe, Sua Altezza Reale Emanuele Umberto Reza Ciro Renè Maria Filiberto di Savoia, Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, Principe di Piemonte e di Venezia, per i più semplicemente Emanuele Filiberto, per farla breve.
In attesa che la democrazia virtuale del Festival si trasferisca definitivamente anche nell’agorà pubblica, con un voto alle politiche via sms – possibile per tutti, pioggia o non pioggia, invalidi inclusi, e pure italiani all’estero – ecco un indubitabile e significativo risparmio di denaro pubblico. Di questo, almeno per il momento, dovremo saperci accontentare.
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