La scena non è passata inosservata. L’11 febbraio su France 2 va in onda Vous avez la parole, una trasmissione politica molto influente della televisione francese. Marine Le Pen, presidente del Rassemblement national (ex Front national) è in piedi, ha un libro in mano, Le séparatisme islamiste, manifeste pour la laïcité, che legge ostentatamente, approvandone il contenuto: «Avrei potuto firmarlo io». Il suo interlocutore, Gerald Darmanin, autore del libro, è il ministro dell’Interno del governo di Jean Castex.

Il dibattito tra i due è uno dei momenti chiave di una sequenza delicata. Le due forze in campo si stanno preparando ad affrontare il ciclo politico della lunga campagna elettorale che accompagnerà la Francia alle elezioni presidenziali del 2022. Gli equilibri non sono affatto definiti. Dalla crisi dei Gilets jaunes, la tensione sociale sembra aumentare in modo eterogeneo ma continuo. Negli ultimi mesi, il contesto esplosivo della crisi sanitaria è stato reso ancora più intenso da un’ondata di attentati che ha provocato la decapitazione di un professore di filosofia, Samuel Paty. Nelle ultime settimane, il dibattito politico si è concentrato su un progetto di legge «volto a rafforzare la laicità e a consolidare i principi repubblicani», fortemente voluto dal presidente Macron, che nel suo discorso dei Muraux del 2 ottobre aveva dichiarato: «Il problema è il separatismo islamista».

Presentato al Consiglio dei ministri del 9 dicembre 2020, il testo del progetto di legge «contro il separatismo» è appena stato votato in prima lettura all’Assemblée nationale e sarà discusso in Senato. L’obiettivo, per la maggioranza macronista, è di dotare la Repubblica francese di un nuovo arsenale legislativo per combattere «l’ideologia islamista», considerata la matrice del terrorismo jihadista che, dagli attentati di Mohammed Merah nel 2012 e Charlie Hebdo nel 2015, ha ucciso fino a oggi più di 250 persone in Francia. Le misure del progetto di legge sono eterogenee: ampliano la portata delle leggi per la lotta contro il terrorismo, autorizzando la chiusura dei luoghi di culto in cui si «predica l’odio» ed estendendo i motivi di scioglimento anche alle associazioni; allargano in varie forme la «neutralità della funzione pubblica» alle imprese delegatarie di servizi pubblici o alle associazioni che percepiscono delle sovvenzioni pubbliche; proibiscono in modo più netto i certificati di verginità, la poligamia e i matrimoni forzati; infine regolamentano più strettamente l’insegnamento a domicilio.

La France Insoumise, gli ecologisti, una parte del centrosinistra (con alcune eccezioni importanti nel Partito Socialista) e persino i Républicains criticano Darmanin: il rischio è la «stigmatizzazione» di una legge che creerà un «riversamento dell’odio». Jean-Luc Mélenchon, l’oppositore più esplicito di tale progetto di legge, ha dichiarato all’Assemblea: «Con un’arroganza inaudita, questa legge pretende di dissotterrare l’humus (terreau) da cui nasce apparentemente il terrorismo. Ma quell’humus non è altro che lo spirito umano. In ogni epoca ci sono stati fanatici, terroristi, violenti, persone che hanno voluto distinguersi distruggendo». Il dibattito scientifico, e soprattutto intellettuale, sulla radicalizzazione dell’islam o sull’islamizzazione della radicalità continua in Parlamento.

Sorprendentemente per quanto concerne la televisione pubblica, la trasmissione di giovedì non era aperta alle forze dell’opposizione di sinistra, ma confrontava sulla proposta di legge unicamente il governo e il Rassemblement national. L’occasione per una discussione critica del progetto di legge è diventata così soltanto un momento di chiarificazione della sua relazione con l’estrema destra.

Tutte le fonti sono concordi, Darmanin e Le Pen hanno preparato meticolosamente questo dibattito. La presidente del Front National portando avanti il suo lavoro con un coach media, Darmanin riunendo diversi consiglieri nel fine settimana. Il libro aperto e la punchline di Marine Le Pen facevano parte di un copione. Ed è proprio questa meticolosa preparazione a rendere particolarmente impressionante il contrattacco del ministro dell’Interno: «Nella sua strategia di normalizzazione (dédiabolisation), Marine Le Pen è diventata ormai un po' troppo tenera, ha bisogno di prendere delle vitamine. Trovo che non sia abbastanza dura... Non solo non vuole legiferare sui culti, ma dice addirittura che l'islam non è un problema! Credo che deluderà molti dei suoi elettori stasera».

Marine Le Pen sembra allibita, sinceramente stupita dalla linea di Darmanin, quando dopo qualche istante risponde: «Le confermo che non intendo attaccare l'islam, che è una religione come le altre... E siccome sono profondamente legata ai nostri valori francesi, desidero preservare la totale libertà di organizzazione dei musulmani e la loro totale libertà di culto».

Pochi momenti sembrano tradurre in modo più evidente la permeabilità, forse addirittura l’egemonia delle idee di estrema destra nel dibattito francese e nella definizione del suo baricentro politico. Un esponente di centrodestra, ministro dell’Interno di un governo centrista rimprovera alla principale rappresentante dell’estrema destra francese di essere troppo moderata sull’islam.

Lo scambio è breve, ritmato, sconcertante: ideale per la fruizione televisiva contemporanea attraverso i social media. Un estratto di 51 secondi sul profilo Twitter di una studentessa che milita contro la legge pubblica è diventato subito virale e conta a oggi più di 2,5 milioni di visualizzazioni. Come per quasi tutti gli esempi troppo perfetti, però, l’interpretazione dello scambio è meno lineare di quanto possa sembrare a prima vista. Nel contesto del dibattito, il ministro dell’Interno sembra in realtà sviluppare un ragionamento ironico per mostrare come Le Pen stesse ipocritamente nascondendo ai telespettatori la durezza della linea politica del suo partito, il disprezzo profondo per l’islam e la sua intenzione di non legiferare sull’insegnamento privato soltanto per tutelare l’insegnamento cristiano. La linea dell’estrema destra sulla legge, riassunta perfettamente da un articolo di Valeurs actuelles, resta radicale: «Per non stigmatizzare l’islam, lo Stato rafforza il suo controllo su tutte le religioni».

Se il passaggio è meno lineare di quanto possa sembrare («Le Monde» parla di «un’occasione insperata di normalizzare Marine Le Pen a sedici mesi dalle elezioni presidenziali»), la ricezione e l’impostazione della strategia di Darmanin sconcertano. Durante il dibattito il ministro dell’Interno insiste a più riprese sul fatto di rappresentare una posizione molto più «efficace», più «concreta», meno «approssimativa» o «ideologica», in questo senso più «dura» di quella del Rassemblement national. «Sì, sono più duro di voi» dice Darmanin.

Per parlare di questa strategia, all’Eliseo e negli ambienti del partito di Macron si usa da qualche giorno la formula «stratégie à front renversé», un calembour sul vecchio nome del partito Front national, che racchiude un riferimento militare. Un «capovolgimento di fronte» è una manovra d’avvolgimento che porta a invertire la linea d’opposizione tra due forze. Combattendo a fronti invertiti, spiega il trattato sulla strategia di Helmuth von Moltke, «per entrambi il pericolo di sconfitta aumenta notevolmente, ma non c'è garanzia di vittoria per la difesa».

L’idea avallata dal Primo ministro e soprattutto dal presidente della Repubblica consiste nell’attaccare Marine Le Pen, togliendole il vantaggio di un’egemonia difensiva sui temi legati alla laicità e alla lotta contro il terrorismo. Durante la campagna elettorale il Rassemblement national sosteneva che Macron era il «candidato degli islamisti». Marine Le Pen diceva: «Bisogna sradicare l’ideologia fondamentalista nel Paese, ma Lei non lo farà perché è sottomesso all’islam». Questa critica è diventata ormai molto più difficile da mantenere.

All’Eliseo spiegano che «il presidente è fissato sul fatto che bisogna prenderla sul serio, trattandola come un membro dell’establishment. Marine Le Pen è diventata il sistema, può subire l’astensione». Si tratta quindi di affrontare in modo esplicito i temi che l’estrema destra è riuscita a plasmare, rispondendo con delle «soluzioni concrete» che rendano evidente la posizione «dell’erede Le Pen», come la definisce Macron, e il paradossale immobilismo politico del Rassemblement national. In altri termini, l’obiettivo, estremamente rischioso, è di mostrare che il Rassemblement national è ormai un partito tradizionale, Marine Le Pen un membro della «casta», e quindi a rischio «disrupzione», come il Partito socialista o Républicains.

A fine gennaio un sondaggio Harris International, ripreso dal microcosmo mediatico e politico, rivelava che Marine Le Pen perderebbe di un soffio nel caso si trovasse al secondo turno delle elezioni contro Emmanuel Macron. L’estrema destra non è mai stata così vicina all’Eliseo, ma si trova in realtà in una situazione paradossale. A quindici mesi dalle elezioni, in tutte le configurazioni elettorali possibili, Marine Le Pen raccoglie più di un quarto delle intenzioni di voto al primo turno. Il suo profilo è però ancora ritenuto poco «presidenziabile». La sua performance disastrosa nel dibattito del secondo turno del 2017 aveva reso evidente la sua inconsistenza politica e la sua impreparazione. Se controlla ormai il partito familiare che ha ridefinito, escludendo suo padre (Jean Marie Le Pen), rinominandolo, espellendo o marginalizzando il dissenso, una parte dell'estrema destra sembra intenzionata a far emergere un altro candidato più duro e pronto a cogliere l’occasione, forse persino il pamphlettista Eric Zemmour.

Nel «campo di rovine» del sistema dei partiti francesi, la divisione dell’estrema destra o persino l’implosione della candidata Le Pen permetterebbero a Macron di proiettarsi ancora, malgrado le diverse crisi che hanno accompagnato la sua presidenza, verso la rielezione. La strategia rimane particolarmente rischiosa. Sancendo probabilmente l’esaurimento definitivo del fronte repubblicano, l’alleanza provvisoria del secondo turno in funzione anti Le Pen, apre in modo sempre più chiaro in Francia una configurazione politica in cui l’alternanza con l’estrema destra diventa possibile.