Molti iscritti (742.653), un buon numero di “presi in carico”, proposte di formazione o tirocinio per il 28% di loro. A conti fatti, 213.000 giovani in 24 mesi hanno ricevuto una proposta. Non ci sono dati nazionali sul numero di giovani che hanno aderito concretamente alle proposte ricevute. Come dire, 80 giovani al mese, in ogni provincia italiana, hanno valutato se partecipare a un corso o un tirocinio. Costo dell'operazione: 1 miliardo e 200 milioni. Risorse investite per ciascun giovane (a prescindere dalla sua attivazione concreta): 5.600 euro. Questa Garanzia Giovani, pur in presenza di alcuni risultati positivi, non ha l'efficienza dei motori rodati, sembra più un prototipo, bisognoso di aggiustamenti e rettifiche per funzionare a regime. Entrando in pista, la corsa è stata ostacolata da dispositivi concepiti a tavolino, che non hanno superato la prova della strada.
Molto sinteticamente, Garanzia Giovani funziona così: i giovani inseriscono i propri dati nel portale, poi si recano al Centro per l'Impiego o presso enti accreditati e firmano un “patto di servizio”. Nel frattempo gli enti progettano corsi, tirocini, consulenze per l'avvio di impresa o per la ricerca del lavoro. Per presentare i progetti e ottenere il finanziamento, è necessario avere già raccolto l'adesione dei partecipanti e la disponibilità delle aziende a ospitare tirocinanti. Quando la Regione approva il progetto, gli enti contattano via mail tutti i giovani iscritti a Garanzia Giovani che hanno un profilo in linea con quello previsto dal progetto. Gli interessati si presentano alle selezioni. Solo una parte del finanziamento va direttamente al giovane. Il resto serve per tenere in piedi tutto il sistema informatico, non prevede nulla per gli enti per le fasi di progettazione, ricerca aziende e selezione, mentre gli enti stessi vengono remunerati per l’attività d’aula e di tirocinio (con un forfait variabile a seconda del profilo del candidato), a patto che vengano svolti oltre una certa percentuale delle ore previste. Ma non disponendo di dati precisi su quanti giovani hanno effettivamente frequentato questi corsi e tirocini, non si riesce a capire bene la ripartizione della spesa, almeno a livello nazionale.
La differenza tra il numero di iscritti (742.653) e il numero dei giovani ai quali è stato effettivamente proposto un corso o un tirocinio (213.847) ci dice che, a livello nazionale, i giovani si fanno avanti, ma il sistema non introduce alcuna novità nella vita di 72 giovani sui 100 che hanno bussato alla porta di Garanzia Giovani. Con le prevedibili differenze territoriali: male al Sud, meglio al Nord.
Raccogliendo le esperienze di alcuni enti promotori di Garanzia Giovani che operano in Veneto, è certo che, se qualcosa potrà andare male, lo farà. Come in altre regioni, è molto difficile trovare i giovani. Spariscono, non rispondono, non si decidono mai. Là dove c'è ricchezza di offerta, troppe proposte vengono inviate ai giovani iscritti al portale, producendo letture frettolose e adesioni incerte. Inoltre, nonostante l'accuratezza dei dati forniti dal portale, le aziende non hanno preso d'assalto le opportunità gratuite per valutare nuovo personale. Gli abbandoni e le rinunce sono frequenti, sia da parte dei giovani che da parte delle aziende. In questi casi, gli enti promotori non ricevono riconoscimento economico per il lavoro svolto.
Non è poi di grande aiuto la cosiddetta profilazione: il portale assegna a ogni giovane un indice di svantaggio, che valuta l'intensità di aiuto di cui il giovane avrà presumibilmente bisogno. Un decreto direttoriale del ministero definisce precisamente le variabili considerate: età, genere, titolo, esperienza, nazione di nascita, tasso di disoccupazione nel territorio di residenza, reddito familiare. L'indice determina il budget a disposizione (più alto per chi è più svantaggiato), ma non sa dire nulla sulla volontà di farcela di quello specifico giovane.
Per capire la chiave del problema, è utile considerare i tentativi di soluzione adottati. Alcuni enti organizzano colloqui e matching tra candidati e aziende prima di formulare il progetto (un po' in sordina, a dire il vero, perché la direttiva regionale non lo permette). L'obiettivo è consentire di scegliersi, favorire l'ingaggio reciproco, la fiducia di poter lavorare insieme. L'effetto è un evidente minor tasso di abbandono dei percorsi. Ancora, si evita di utilizzare Ido, la banca dati regionale che tutti usano, preferendo “nicchie” quali le candidature spontanee arrivate agli enti stessi o alle aziende partner, le reti di relazioni, i circuiti “altri” (sport, associazioni, ex allievi di …) perché le informazioni che arrivano attraverso le proprie reti di appartenenza sono prese in considerazione più di quelle istituzionali ma impersonali.
Insomma, sembra che l'arsenale tecnologico e procedurale che avrebbe dovuto regolare e favorire l'incontro tra giovani e aziende sia alla fin fine surclassato dall'efficacia di una rapporto umano, un colloquio vis-à-vis, organizzato grazie a relazioni e credibilità che una banca dati non sa garantire. Nessuna meraviglia: quando nel 1984 è stato introdotto il contratto di formazione e lavoro, le aziende ne hanno fatto un uso massiccio sicuramente per gli sgravi contributivi, ma soprattutto perché consentiva una chiamata nominativa, in un paese nel quale esisteva solo la chiamata numerica dei lavoratori. La vera convenienza era poter scegliere la persona da portarsi in azienda, non in base al solo titolo di studio o alla competenza tecnica, ma per gli aspetti relazionali, l'intraprendenza, la fiducia che sapeva ispirare.
Adesso più che mai il mercato del lavoro non è un “magazzino automatizzato”, che incrocia richieste e prodotti in base ai dati inseriti e funzionerà meglio se i dati saranno più precisi e numerosi e le corsie più ordinate. Il mercato è più simile alle agenzie matrimoniali, che raccolgono le informazioni sui clienti, ma soprattutto organizzano eventi, corsi, gite, cioè occasioni di incontro perché siano loro stessi a conoscersi e valutarsi l'un l'altro. Nessuno ci ha mai creduto alla barzelletta del computer che accoppia le anime gemelle, neanche quando si parla di lavoro.
Uscendo dalla metafora, a mio avviso Garanzia Giovani potrà ottenere i risultati auspicati se modificherà alcune premesse: il matching non dipende solo dai dati documentali, avviene se aziende, lavoratori e servizi per l'impiego stabiliscono relazioni, e se in queste il teorico fabbisogno di risorse umane prende forma con il nome e il cognome di una specifica persona. Si dia riconoscimento quindi alle modalità locali per favorire relazioni fiduciarie, ogni territorio con propri approcci. Si superi l'approccio da “concorso pubblico”, che non consente di fare riferimento al capitale sociale e relazionale dei soggetti coinvolti. Senza ingaggio reciproco è difficile portare a termine le imprese gloriose: va introdotta una condizionalità, come è previsto nel contratto di ricollocazione, mentre adesso il rischio maggiore è tutto a carico dell'ente accreditato, che avrà convenienza a mettere in atto strategie di creaming, con l’effetto paradossale di favorire i lavoratori più occupabili, ossia quelli che meno avrebbero bisogno di essere aiutati.
La valutazione se l'obiettivo è stato raggiunto non deve avvenire sulla singola misura (il corso o il tirocinio portati a termine), ma su un percorso che può avere fallimenti e rilanci, con tempi diversi e una vera presa in carico dei giovani a cura di operatori specializzati (counsellor e coach dell'orientamento e della ricerca del lavoro). Gli enti accreditati dovrebbero rilanciare il loro ruolo di promotori di “buoni motivi per lavorare insieme”, di agenti di sviluppo del capitale sociale dei territori, persone, aziende, istituzioni. La normativa di Garanzia Giovani risulta adesso molto impegnativa sul piano amministrativo e stringente riguardo il controllo dei budget, rendendo residuale il ruolo di “animazione economica” che ogni ente potrebbe e, a mio avviso, dovrebbe svolgere.
Insomma, per funzionare Garanzia Giovani dovrebbe favorire la nascita, fra i giovani e le aziende, di una vera relazione, premessa indispensabile per creare un rapporto di lavoro duraturo. Gli enti dovrebbero agire – più che come grigi burocrati – come sensali matrimoniali.
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