Un’intera pagina del settimanale della diocesi bolognese “Bo-Sette” è stata dedicata il 6 gennaio a “precisazioni redazionali”: scuse dovute per le cattiverie sorprendenti pubblicate nel numero precedente – su segnalazione del cardinale Biffi e firmate dal cardinale Re – contro la figura di Giuseppe Dossetti. Pur cautissime, quelle scuse sono state un vero e sorprendente regalo ai lettori, almeno a quelli che desidererebbero un giornale del tutto normale. Mentre normale in molti non lo giudichiamo, a causa dell’abitudine, spesso imperante, di criticare pensieri e aspetti della figura di Dossetti mai sottoponendo tali critiche al confronto di giudizi diversi, motivati, come sarebbe possibile, con competenza e cortesia. Qualità e bontà di don Giuseppe, da parecchi anni, stando al settimanale diocesano, sono tabù; e, sinceramente, a Bologna tale condotta censoria e rimovente dispiace non poco, perché la sua è una figura qui assai nota e realmente molto stimata.
È vero, però, che Dossetti è stato anche assai discusso, in varie circostanze della sua lunga, originale e serissima vita di cristiano. Ma è altrettanto vero che criticare Dossetti, pensieri e iniziative sue, sul settimanale diocesano bolognese è diventato cosa normalissima, mentre sgradevole e avvilente era il silenzio di altre voci che, potendo mostrare le loro diverse convinzioni inviandole al giornale, esponessero un altro Dossetti, importante e amabile. Questo squilibrio, a favore di posizioni debolissime e gestite molto autoritariamente, ha accresciuto una “cattiva fama” del foglio della Chiesa bolognese, nonostante l’informazione minuta, a suo modo anche accurata, con la quale ogni settimana riempie mediamente sei o otto pagine. Riflessioni formative vi compaiono talvolta, ma sono un sale assai raro. Il suo buon sapore farebbe accrescere le domande: come mai si discute di questo e non di “tesi” interessanti come sarebbero quelle “indiscusse” contro un Dossetti da voi o combattuto o di fatto cancellato e rimosso?; come si fa a non vedere che uno “zelo” così male inteso danneggia e riduce non poco l’immagine concreta della nostra Chiesa, di fatto ostile e insensibile a un’attenzione a Dossetti, qui a lungo presente e non per breve tempo?
Certo, capisco un poco i censori e la loro cattiva pedagogia. Ma adesso circola e si impone anche un’altra domanda: come mai il 6 gennaio è uscita quella pagina, con la sua documentazione cauta e non polemica? Non sorgeranno altre domande, anche più esigenti, su aspetti locali o nazionali e internazionali?
Intanto, un collegamento intrigante (e stimolante) si è letto subito su “la Repubblica”, dove Marco Ansaldo si è detto informato che la vicenda sarebbe già su un tavolo della Segreteria di Stato, perché "Dossetti divide sempre le posizioni cattoliche": anche in Vaticano, si direbbe dal contesto che subito ha enfatizzato un’eccezione rarissima nella Bologna tanto silenziosa negli ultimi anni. Inoltre, sul “Corriere della Sera” e a cura di un professionista autorevole di cose storiche come Paolo Mieli, l’8 gennaio ci è balzato sotto gli occhi un titolo di due righe su tre colonne, che dominava due pagine arricchite da una grande figura di Dossetti giovane a fianco del cardinale Pellegrino di Torino, che riportava queste sintetiche parole: La rivincita postuma delle idee di Dossetti, seguite da numerosi “strilli” sparsi qua e là, riassumenti alcune cose dossettiane tra le più serie, o infastidenti (“Un leader politico divenuto sacerdote”, “Tramite i suoi contatti con vescovi e teologi influenzò i lavori del Concilio Vaticano II”, “Diffidava dei laici ma contribuì a portare Einaudi al Quirinale durante il centrismo”, “Prese la tessera fascista poi si staccò dal regime e la Resistenza reggiana lo vide in prima linea”, “Nel 1949 fu contrario all’Alleanza atlantica e molti anni più tardi prese di mira Israele”). Il materiale storico che viene largamente citato è preso da due libri in uscita, di storici “specialisti” di dossettismo, come Paolo Pombeni e Enrico Galavotti (entrambi pubblicati dal Mulino in occasione della ricorrenza dei 100 anni dalla nascita di Dossetti, 13 febbraio 1913: il primo, Giuseppe Dossetti. L'avventura politica di un riformatore cristiano, già in libreria, il secondo, Il professorino. Giuseppe Dossetti tra crisi del fascismo e costruzione della democrazia, 1940-1948, disponibile da metà febbraio).
A Bologna, per la prima volta da moltissimo tempo, il giornale amministrato dalla Curia non affronta polemicamente, ma neppure ha nascosto, un’iniziativa discutibilissima di due cardinali purtroppo (oggi) ipercritici nei confronti di Dossetti. Ma subito un informato vaticanista riferisce l’episodio locale, elevandolo nel contesto nazionale in giorni in cui anche Ruini riprende la parola, offeso che, senza che nessuno lo ascolti, in Vaticano si faccia confusamente oscillare una preferenza cattolica tra Monti e Bersani (presunti svuotatori di voto berlusconiano) rinunciando all’incontro di Todi, voluto da Ruini, e solo si discuta, con passione, di candidature di cattolici, ospitati o no in una varietà di liste tutte attive in una competizione che si annuncia assai dura. E, insieme, sciaguratamente tripolare, se si eleva anche Berlusconi a un livello paragonabile a quello di Monti e Bersani, considerando anche il logoratissimo Silvio come un vincitore almeno ipotetico, dato che nessuno può “sondaggiare” con sicurezza le percentuali finora assai alte di elettori indecisi su chi votare, e di elettori propensi ad astenersi su tutti.
Essere contenti e ottimisti forse è troppo: ma almeno c’è da essere interessati a seguire con attenzione e una certa aspettativa di progresso le vicende italiane in corso. I voti dati saranno sicuramente importanti, come è più giusto di ogni illusoria preferenza “antipolitica”. Anzi già ora li giudico come, alla fine, bastevolmente positivi se produrranno per vincitore, con chiarezza aritmetica, uno dei due candidati che possiamo dire “europei”. In seconda ipotesi, ho fiducia che, anche in caso di un’ingovernabilità che richiedesse la stipulazione di un compromesso tra i due “europei”, aritmetica e politica permetteranno loro di scrivere un tale accordo e poi firmarlo. Se invece fosse necessaria un’alleanza a tre, essendo anche i risultati berlusconiani e leghisti necessari a comporre una maggioranza in entrambe le camere, sono pronto a scommettere che Bersani si rifiuterà di farlo, e che Monti, si trovasse solo con Berlusconi, non vorrebbe certo “salire nella politica di quella orribile presidenza”. Tornare a votare sarebbe, purtroppo, assolutamente necessario, ma di fatto neppure troppo difficile, sia pure dispendioso e a costo di parecchia vergogna personale, e quindi di umiltà. Ma da farsi assolutamente e senza scrupoli risibili, e cioè ancora con la legge infame conosciutissima e che, di per sé, non ci impedisce certo nessuna delle correzioni - a quel punto inevitabili - di schieramento.
Tirare a sorte uno schieramento bipolare sarebbe meglio che fare quel governo a tre, che sarebbe somma assoluta di tutti i nostri difetti. In questo senso, e per questa mostruosità, in fondo, sono ottimista. È possibile evitare di dover proclamare la verità più amara in assoluto, da dirsi in latino, tanto per usare una lingua morta, ma in questa situazione sapiente quanto occorre: mala tempora currunt, et pejora supervenient.
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