Una campagna elettorale in piena estate non s’era mai vista. È da escludere che il capo dello Stato abbia a cuor leggero sciolto il Parlamento e convocato gli elettori. Ma l’hanno costretto. Quello che era uno dei grandi pregi del regime rappresentativo, permettere ai pretendenti alla rappresentanza di incontrare faccia a faccia almeno una minoranza degli elettori sul territorio nel corso della campagna elettorale, è stato sminuito da tempo dalla straripante invadenza dei media. Ne restava qualche residuo. Sarà spazzato via senza pietà, malgrado qualche leader che promette una campagna casa per casa. Forse sarebbe meglio dire ombrellone per ombrellone, quando però tutti vorrebbero essere lasciati in pace e godersi un po’ di pausa. L’estate quest’anno è spietata. Resteranno i media, dove non solo la presenza di quelli privati è ormai larghissima, ma dove questi ultimi sono anche in prevalenza schierati per una parte politica. Come vulnus alla democrazia non è poco.
Ciò che non ci possiamo anzitutto aspettare è che le suddette parti politiche avanzino attendibili promesse elettorali. Non è, francamente, un problema della destra: il suo popolo si contenta di poco: meno regole, meno vincoli di solidarietà reciproca, meno tasse, meno ambiente, meno tutele per chi lavora, meno migranti e magari un po’ di rigore per chi non vuole lavorare con paghe infami. A quello tiene e sa bene cosa aspettarsi una volta che la destra sarà arrivata al governo. Ci sarà qualche fibrillazione sul capo del governo. Nessuno farà però saltare il banco, che è molto appetitoso e qualche accordo spartitorio si addiverrà: magari la premiership a rotazione. Ci sarà da vedere come affronteranno i problemi del Paese, che sono enormi.
Molto più complicate sono le cose per il fronte opposto. Era andato avanti per mesi con un’ipotesi forte, un accordo Pd-M5S, ora saltato. Il Pd è all’affannosa ricerca di alleati per ampliare il suo consenso, si sta rivolgendo perfino ad avversari che gli hanno dato parecchio filo da torcere e a transfughi delle sue liste, che l’hanno abbandonato e non gli hanno dato tregua. A quanto pare, la sua fantasia si spinge ad accogliere anche i fuoriusciti di Forza Italia, con l’ambizione di attrarre una parte almeno dell’elettorato di quest’ultima. Ancora non ha capito che gli elettori sono molto più seri degli eletti, non tradiscono facilmente le lealtà di schieramento e semmai preferiscono astenersi. Naturalmente, i potenziali partner, che hanno accanitamente lavorato (con l’ausilio dei grandi media privati) per rompere l’accordo col M5S, gongolano e alzano il prezzo. Lasciamo perciò perdere i programmi. La cosa più allettante che il Pd abbia finora evocato è l’agenda Draghi: al di là del merito, non il massimo di originalità, specie a tener conto dello stato di povertà in cui versa un bel pezzo del Paese. Ma toccherà vedere anche le misure di contorno. Che fine farebbe, ad esempio, il Reddito di cittadinanza? Uno dei partner possibili ha già lanciato un referendum per abolirlo.
La cosa più allettante che il Pd abbia finora evocato è l’agenda Draghi: al di là del merito, non il massimo di originalità, specie a tener conto dello stato di povertà in cui versa un bel pezzo del Paese
Non sono messi meglio il M5S e la sinistra che approssimativamente potremmo definire radicale. Il M5S ha i suoi guai. Ha inanellato una sequenza innumerevole di errori, grazie ad un personale politico mediamente inadeguato. Giuseppe Conte ha provato a dargli una forma nuova, ma è stato ostacolato da dentro e da fuori. Anche lui non è proprio del mestiere. La sua fortuna è che il suo elettorato, che ormai è soprattutto quello fuoruscito dal Pd, difficilmente potrebbe rientrarvi: al più si asterrà. La sinistra radicale, infine, non gode certo di percentuali strabilianti, ma, magari insieme al M5S, avrebbe forse avuto l’occasione per coprire gli spazi del riformismo democratico pro-Welfare che il riorientamento del Pd sta lasciando liberi. La povertà del Paese dovrebbe essere motivo di cercarvi per prima cosa rimedio. Tiene però molto ad essere radicale, senz’ombra di compromissione, e si è scelta un leader in De Magistris che alle elezioni calabresi non è andato oltre il 16% e che, come sindaco di Napoli, non ha lasciato ricordi indelebili.
Con queste premesse due autorevoli studiosi, Antonio Floridia e Gaetano Azzariti, hanno lanciato un appello perché tutti coloro che non sono ascrivibili alla destra stipulino un accordo tecnico che impedisca a quest’ultima di raggiungere, con l’attuale sciagurata legge elettorale, una maggioranza tale da riscrivere unilateralmente la Costituzione (oltre che di nominarsi i giudici costituzionali su misura). L’idea è ragionevole. Ma, ammesso che tutti i potenziali aderenti trovino un accordo, un interrogativo sorge spontaneo. Che Costituzione stiamo difendendo e con chi la difendiamo? La Costituzione ha già subito molti e gravi oltraggi, tanti dei quali dalle stesse forze che dovrebbero raggiungere l’accordo tecnico. In più: le Costituzioni si oltraggiano anche con legislazione ordinaria.
Toccherà difendere ancora una volta la Costituzione: ma essa ha già subito molti e gravi oltraggi, tanti dei quali dalle stesse forze che dovrebbero raggiungere l’accordo tecnico
Proviamo a ragionarci sopra un attimo. Il Pd ha per un trentennio patrocinato riforme di stampo presidenzialista e consimili. Ha voluto la ridefinizione bipolare della contesa politica e vagheggiato qualche forma di premierato assoluto. Nel 2001 ha adottato unilateralmente la riforma del Titolo V, che ha già prodotto effetti disastrosi. Quella riforma contiene le condizioni per adottare il regionalismo differenziato, disfacendo l’unità nazionale, e uno dei suoi presidenti di regione ne è tra i fautori più entusiastici. Sempre il Pd ha condiviso nel 2012 la riforma che introduceva il pareggio di bilancio, che, per quanto disapplicato in emergenza, costituisce un forte vincolo alla finanza pubblica. Nella scorsa legislatura, ancora il Pd si è fatto promotore di una riforma costituzionale di ampio respiro, che aveva il pregio di rivedere radicalmente il Titolo V, salvo annegare la revisione in un insieme di misure molto discutibili. Tra di esse la cancellazione del bicameralismo paritario e la trasformazione del Senato in un club di lusso riservato alla classe politica locale e dalle incerte competenze. Aggiungiamoci due leggi elettorali micidiali, l’Italicum, poi bocciato dalla Corte costituzionale, e il Rosatellum (adottato in società con Forza Italia), che insiste con le liste bloccate e prevede una ripartizione dei seggi che potrebbe consentire riscritture unilaterali della Costituzione. Anche i 5 Stelle hanno perpetrato il loro bravo sfregio, con una riduzione del numero dei parlamentari che riduce spropositatamente la rappresentatività delle assemblee.
Non mancano i danni compiuti con legislazione ordinaria. Il referendum avverso alla privatizzazione dell’acqua, il cui esito è già stato messo in discussione. Come promette di esserlo il referendum sul nucleare. E che dire di chi ha proposto di militarizzare i siti ove si deciderà di collocare i rigassificatori e gli inceneritori? Per non parlare delle offese che hanno già ricevuto istruzione, università e sanità pubbliche. Infine, viste le premesse, c’è da fidarsi che i partiti di cui si è detto non siano disponibili a sostenere alcune proposte plebiscitarie care ai partiti di centrodestra? Già è stato rispolverato il “sindaco d’Italia”.
In conclusione. Che Costituzione stiamo proteggendo? Il massimo rispetto per gli inviti di Azzariti e Floridia. Sarebbe più che doveroso almeno a sua difesa seppellire l’ascia di guerra. Ma l’invito ha senso solamente se conterrà delle clausole da tutti concordate. La Costituzione ha la sua età e qualche aggiustamento è opportuno. Ma fatto nel modo appropriato. Che almeno ci si dica con chiarezza che si vuol mantenere l’impianto del regime parlamentare, non licenziarlo e nemmeno eluderlo.
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