Sui giornali italiani di domani, martedì 3 maggio, la vera notizia non sarà l’uccisione di Osama bin Laden, a dieci anni da quell’11 settembre. No, l’attenzione dei lettori sarà tutta rivolta all’esito della querelle negozi aperti vs. negozi chiusi, domenica primo maggio. Com’è andata? Un tema davvero appassionante che ci obbliga a riflettere sul lavoro in Italia, a dispetto dei grandi eventi che hanno accompagnato quest’anno la ricorrenza, distraendo un poco l’attenzione dalla festa dei lavoratori. A cominciare dai postumi della sbornia dei coniugi Middleton, cui è andato, unanime, il riconoscimento da parte delle Trade Unions britanniche per avere opportunamente evitato questa particolare domenica per il matrimonio del secolo. Proseguendo con la cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, oltre un milione di pellegrini a Roma, che secondo la Santa Sede, al contrario, doveva tenersi assolutamente questa domenica.
Se in giro per il mondo la giornata di ieri è stata segnata da numerose manifestazioni di protesta (spesso sfociate in scontri) verso l’incapacità dei governi di gestire la crisi economica globale, in Italia ci si è molto occupati, appunto, dell’apertura-chiusura degli esercizi commerciali. Questo mentre il Paese assiste al progressivo e inesorabile processo di smantellamento di quel che resta dell’unità sindacale. Sul punto, ancora una volta, è arrivata dal Colle la saggezza del buon senso, a rammentarci che i sindacati divisi sono sindacati più deboli. In un momento in cui, forse, ci sarebbe invece bisogno di sindacati più forti. Ed è una fortuna che al Quirinale si lavori anche il primo maggio: “Lo sviluppo economico e la sua qualità sociale, la stessa tenuta civile e democratica del nostro Paese, passano attraverso un deciso elevamento dei tassi di attività e di occupazione, un accresciuto impegno per la formazione e la salvaguardia del capitale umano, un’ulteriore valorizzazione del lavoro, in tutti i sensi. Questo discorso riguarda in special modo i giovani, fa tutt’uno con le risposte da noi tutti dovute alle aspettative per il futuro delle giovani generazioni”. Parole sante, ci scusi il nostro presidente, che fanno a pugni con la realtà; nel senso che provano a prenderla a cazzotti, ma da sole non ce la fanno. Ci vorrebbe forse un governo che cominciasse a prendere sul serio i dati sull’occupazione e sulla disoccupazione, con particolare riguardo per i giovani e i precari?
Anche le ali più moderate del sindacato, alla buon’ora, hanno iniziato ad accorgersi del processo in atto in Italia da più di un decennio: i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. “È necessaria una legge che sposti i pesi del fisco da lavoratori e pensionati verso coloro che, essendo più ricchi, hanno pagato meno - ha detto Bonanni -. Vogliamo un pronunciamento chiaro da parte del governo”. Campa cavallo che l’erba cresce.
Eppure a volte si ha la sensazione che basterebbe poco per riavviare qualche processo virtuoso verso una nuova unità sindacale e un discreto e democratico spirito combattivo, almeno in contesti specifici.
Nel frattempo, per fortuna, da piazza San Giovanni Francesco De Gregori e Lucio Dalla ci cantano le stesse canzoni di trent’anni fa. Sempre più stanchi, sempre meno convinti. E Roma è invasa dai pellegrini (e dai molti dissoccupati).
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