La scelta del presidente Macron di procedere senza indugi allo scioglimento dell’Assemblea nazionale pochi minuti dopo l’arrivo dei risultati del voto europeo ha finito per oscurare proprio il primo dato, cioè il significato elettorale della consultazione.
Si è trattato di un voto sanzione netto nei confronti prima di tutto dell’inquilino dell’Eliseo. Il vento dell’anti-macronismo diffuso nel Paese, le difficoltà già chiare dopo la rielezione del 2022 e soprattutto dopo le legislative del giugno dello stesso anno e durante la fase della contestata riforma delle pensioni, si sono coagulati per esplodere in questo passaggio delle europee. La sconfitta era attesa, ma è arrivata una débâcle che sa di umiliazione. La lista guidata dalla spenta, poco conosciuta e ancor meno carismatica Valérie Hayer è stata più che doppiata da quella di Rn del giovanissimo Jordan Bardella. Ma l’impegno diretto e la vera e propria sovraesposizione dell’inquilino dell’Eliseo rendono l’esito del voto una umiliazione elettorale personale per Emmanuel Macron. Mai nella storia della V Repubblica un presidente si era così impegnato in prima persona per un voto europeo. Dunque, a monte di qualsiasi analisi, occorre partire dal vero perdente della serata del 9 giugno 2024.
Allo stesso modo è necessario sottolineare la vittoria totale del Rassemblement national della coppia Bardella-Le Pen. Non si tratta di un fulmine a ciel sereno, sia perché i sondaggi da mesi prefiguravano questo esito, sia perché è bene ricordare che la destra radicale francese (prima Fn ora Rn) si piazza al primo posto alle elezioni europee dal 2014. Se questa, dunque, è la terza tornata che vede il successo della creatura di Marine Le Pen, le proporzioni del 2024 sono impressionanti. Ad eccezione della lista guidata da Simone Veil nel 1984 (peraltro composta da Rpr ed Udf), nessun partito francese, da quando esiste l’elezione diretta del Parlamento europeo, aveva mai superato il 30%. Bardella ha condotto il Rn al 31,5% e porterà da 23 a 30 il numero di parlamentari a Strasburgo. A colpire, oltre ai numeri, è oramai il percorso condotto negli ultimi quarant’anni. Fu proprio il voto europeo del 1984 (complice il sistema elettorale proporzionale) a trasportare l’allora leader del Front national Jean-Marie Le Pen alla ribalta, ottenendo quell’11%, poi ripetuto con il buon risultato alle legislative del 1986 (ancora una volta con il proporzionale) e con lo score in doppia cifra (14,4%) delle presidenziali del 1988. Ma il vero salto di qualità lo ha compiuto la figlia del fondatore, leader incontrastata del partito dal 2011. Alla sua strategia di dédiabolisation si è aggiunta, con l’ingresso di 88 deputati all’Assemblea nazionale nel 2022 e la sua doppia partecipazione al ballottaggio presidenziale (nel 2017 e nel 2022), una vera e propria respectabilisation .
È la terza volta che alle elezioni europee la creatura di Marine Le Pen vince, ma le proporzioni questa volta sono impressionanti: nessun partito francese aveva mai superato il 30%
Un esempio su tutti può spiegare meglio di ogni formula o di ogni dato politologico. In occasione della manifestazione contro l’antisemitismo a seguito della profanazione del cimitero ebraico di Carpentras del maggio 1990, Jean-Marie Le Pen non solo fu bandito, ma additato di essere parte del meccanismo di alimentazione di tale sentimento. Quando nel novembre scorso, a seguito dell’attacco di Hamas a Israele, una nuova grande marcia per combattere l’antisemitismo è stata organizzata nel Paese, Marine Le Pen vi ha preso parte ed è stata al contrario la sinistra radicale di Mélenchon a boicottarla. Le prime analisi sui flussi elettorali confermano la fidelizzazione del voto Rn (circa il 90% di chi aveva scelto Marine Le Pen alle presidenziali del 2022 ha votato per la lista Bardella) e il fatto che categorie di elettorato fino ad ora poco permeabili (giovani, pensionati, imprenditori e donne) hanno al contrario iniziato a spostarsi verso il Rn. Infine, non ultimo per importanza, occorre ricordare che il Rn ha monopolizzato il dibattito elettorale sui temi percepiti come davvero decisivi per la maggioranza dell’opinione pubblica francese: la perdita di potere d’acquisto, l’aumento eccessivo delle spese energetiche (carburanti compresi) e l’incapacità di gestire flussi migratori considerati pericolosi soprattutto per le dinamiche di integrazione.
In definitiva, un perdente chiaro e un vincente che lo è altrettanto. Sul significato del voto si può solo aggiungere l’atteso e confermato buon risultato di Raphaël Glucksmann con la sua lista Ps-Place Publique, terzo a circa un punto percentuale dalla lista macronista. Un successo che però conferma i dubbi già espressi in campagna elettorale, dal momento che si accompagna a una tenuta di La France Insoumise (male rispetto alle legislative, ma meglio rispetto alle europee del 2019), ma soprattutto a un pessimo risultato da parte degli ecologisti, che perdono oltre il 9% e lasciano dunque qualche dubbio sulla reale portata della ristrutturazione della gauche socialdemocratica e di governo.
Analizzato il voto occorre soffermarsi sulla scelta politico-istituzionale del presidente in carica, cioè decidere di utilizzare l’articolo 12 della Costituzione della V Repubblica che fornisce all’inquilino dell’Eliseo la facoltà di sciogliere l’Assemblea nazionale. È necessario prima di tutto ricordare che il Rn ha condotto tutta la campagna elettorale evocando questa possibilità in caso di vittoria. Ma le parole di Bardella e di Le Pen erano ascrivibili alla provocazione, appunto tipica della corsa elettorale. La decisione del presidente della Repubblica è giunta come un fulmine a ciel sereno. I primi retroscena parlano di una scelta in realtà maturata nella seconda metà di maggio e assunta nell’entourage più ristretto dei collaboratori personali di Macron, tenendo completamente all’oscuro i membri del governo e soprattutto il primo ministro Attal. Al netto delle prime reazioni (dal “pompiere piromane” al “novello generale de Gaulle”), la decisione non è per nulla banale e merita qualche riflessione.
Con la scelta di rovesciare il tavolo e di farlo in maniera assolutamente immediata e improvvisa Macron ha depotenziato, almeno in parte, l’eco della vittoria del Rassemblement national
Con la scelta di rovesciare il tavolo e di farlo in maniera assolutamente immediata e improvvisa Macron ha depotenziato, almeno in parte, l’eco della vittoria del Rassemblement national. Il dibattito si è immediatamente concentrato sulla sua decisione e sull’avvio di una campagna elettorale per le legislative che durerà soltanto tre settimane. In questo senso l’inquilino dell’Eliseo ha operato seguendo il suo classico approccio volontarista. Seppur sconfitto ha optato per non subire la situazione e per ributtare la palla nel campo avversario.
Qui si innesta la seconda riflessione, che è in realtà una doppia lettura nel tentativo di interpretare gli obiettivi di Macron. L’alternativa allo scioglimento sarebbe stata quella di trascinare gli ultimi tre anni scarsi di presidenza con la quasi certezza (almeno maturata nel cerchio ristretto dei suoi collaboratori) di regalare il Paese a Marine Le Pen alle presidenziali del 2027. Tutto ciò ricordando che dal giugno 2022 Macron non ha alcuna maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale. Seguendo questa lettura la carta della dissolution aprirebbe di fronte al presidente due possibili scenari. Da un lato utilizzare le tre settimane di campagna per far crescere nel Paese il timore concreto di una maggioranza lepenista all’Assemblée nationale e di conseguenza innescare un sentimento di “difesa repubblicana” tale da produrre non tanto una maggioranza assoluta a lui favorevole, ma almeno un nuovo Parlamento ingovernabile, così da poter poi esercitare liberamente tutti i suoi poteri dall’alto del primato presidenziale, comunque garantito dalla costituzione della V Repubblica. Dall’altro lato un voto anticipato potrebbe tramutarsi nell’ottenimento da parte del Rn della maggioranza assoluta a Palais Bourbon (magari con l’aiuto di Reconquête di Marion Maréchal e di una parte di transfughi della destra repubblicana). Anche se poco probabile, questa potenziale e del tutto nuova union des droites a guida Rassemblement national, porterebbe Bardella a Matignon, instaurando così una nuova coabitazione, fatto clamorosamente nuovo in regime di quinquennato. Quasi tre anni di questa ipotetica convivenza Bardella-Macron dovrebbero, questa è l’ultima parte della riflessione macroniana, “vaccinare” il Paese, spingendolo a rigettare una presidenza Marine Le Pen alle presidenziali del 2027.
I critici del presidente affermano che egli stia “scimmiottando de Gaulle nel ’68” (lo scioglimento dopo il maggio francese, che produsse l’Assemblea più gollista della V Repubblica; ma attenzione la leadership era già di fatto transitata verso Georges Pompidou), ma che si ritroverà “come Chirac nel 1997” (il quale decise di sciogliere un anno prima della scadenza della legislatura per rafforzare la maggioranza dopo le contestazioni per la riforma sociale e si trovò poi a dover gestire cinque anni di coabitazione con Jospin primo ministro). Il quadro è molto complesso da interpretare e nei prossimi giorni si potranno esprimere giudizi più certi, senza dimenticare che le incognite di una campagna elettorale di sole tre settimane, che segue però mesi di campagna per le europee, costituisce un unicum nel panorama francese, ma in generale continentale. Tutto ciò conduce a qualche possibile considerazione a caldo su come il quadro politico complessivo potrà reagire di fronte alla decisione presidenziale.
Il Rassemblement national ha in apparenza accolto con entusiasmo la scelta dello scioglimento. In realtà i bene informati parlano di un pizzico di inquietudine che sembra attraversare i vertici del partito. Tra il 2017 e il 2022 il RN è passato da 1 a 88 deputati eletti. Ora il target diventa la maggioranza assoluta, considerato il carattere scarsamente coalizzabile del partito. E il sistema elettorale a doppio turno per l’elezione dell’Assemblea nazionale qualche problema lo porrà per raggiungere la “quota magica” di 289 eletti.
A sinistra la situazione è ancora più complicata e lo si è colto nelle durissime dichiarazioni di Glucksmann a proposito della scelta di Macron. L’idea del nuovo barrage républicain, o del cosiddetto nuovo “fronte popolare” rimette completamente in gioco prima di tutto la France Insoumise e soprattutto quella logica della Nupes, clamorosamente fallita nella sua incapacità di proporsi come una reale alternativa di governo nel periodo 2022-2024.
Infine, due parole devono essere spese per ciò che resta del “macronismo”. I vertici di Renaissance sembrano convinti della praticabilità di un sussulto in grado di unire Horizons dell’ex primo ministro (e presidenziabile per il 2027) Edouard Philippe, i centristi del Modem di François Bayrou e una parte consistente di ciò che resta dei post-gollisti de Les Républicains. Un’ipotesi già complessa a livello di vertici, ma addirittura titanica se traslata a livello di elettorato. La vera domanda da porsi è se, nonostante l’assenza di una vera forma partito “macroniana”, sarà possibile attivare in pochi giorni una partecipazione elettorale già deficitaria, per la maggioranza presidenziale, due anni fa.
Un ultimo punto, in attesa delle “grandi manovre”. Il presidente Macron dovrà condurre la campagna elettorale e contemporaneamente impegnarsi nelle trattative che tra la metà e la fine del mese di giugno condurranno alla scelta di un nuovo presidente della Commissione Ue o alla conferma di Ursula von der Leyen. Il suo peso politico nelle prossime riunioni del Consiglio europeo sarà ai minimi storici. E, considerata la disfatta della maggioranza del cancelliere Scholz in Germania, mai come questa volta il motore franco-tedesco appare in panne. Dall’impasse francese alla crisi europea il passo è davvero breve.
Riproduzione riservata