Il report 2021 sull’equità di genere pubblicato a marzo dalla Commissione europea mostra che la pandemia ha ampliato le disuguaglianze di genere in tutte le aree di vita considerate.

Il report evidenzia l’aumento della violenza di genere contro le donne, confermando che il rischio di violenza domestica tende ad aumentare in periodi di crisi. Non sono ancora disponibili dati comparativi sufficientemente ampi a livello europeo, tuttavia fonti nazionali diverse hanno mostrato negli Stati membri una escalation della violenza contro le donne da parte dei partner.

Inoltre le donne sono sovra-rappresentate nei settori del mercato del lavoro più colpiti dalla crisi (come vendita al dettaglio, ospitalità, assistenza e lavoro domestico, che non possono essere svolti a distanza, meno pagati e più precari, con contratti a tempo determinato e part-time), e hanno avuto maggiori difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro durante la parziale ripresa della scorsa estate 2020 con tassi di occupazione in aumento dell'1,4% per gli uomini ma solo dello 0,8% per le donne tra il secondo e il terzo trimestre 2020.

Il report 2021 sull’equità di genere in Europa mostra che la pandemia ha ampliato le disuguaglianze di genere. Le donne sono sovra-rappresentate nei settori del mercato del lavoro più colpiti dalla crisi e le aumentate difficoltà di conciliazione tra lavoro pagato e famiglia dovute alle chiusure delle scuole hanno avuto un impatto asimmetrico in base al genere

Le aumentate difficoltà di conciliazione tra lavoro pagato e famiglia dovute alle chiusure delle scuole hanno avuto un impatto asimmetrico in base al genere: le donne trascorrono in media 62 ore a settimana a prendersi cura dei bambini (rispetto alle 36 ore per gli uomini, le madri single con bambini sotto i 12 anni 77 ore settimanali) e 23 ore a settimana a fare i lavori domestici (15 ore per gli uomini). In Europa (ma anche in Nord America, Israele e India) durante la pandemia, soprattutto se con figli piccoli, hanno aumentato il loro tempo nel lavoro domestico, cura dei bambini e compiti scolastici, e in alcuni casi questo ha richiesto loro di ridurre le ore di lavoro pagato o licenziarsi, con un rafforzamento dei ruoli di genere tradizionali.

In questo contesto, anche i dati sull’Italia mostrano un effetto negativo della pandemia su occupazione, disoccupazione e tassi di inattività più significativo sulle donne, e in particolare sulle madri, malgrado sia stata evidenziata la partecipazione dei padri alla cura dei bambini e ai compiti scolastici nei primi mesi di chiusure. Nel contesto italiano di debole supporto pubblico alla conciliazione tra lavoro pagato e vita privata e svantaggio occupazionale femminile già prima dell’emergenza sanitaria, le misure a sostegno delle famiglie nel Dpcm 12 marzo 2021 non hanno compensato pienamente gli effetti della pandemia.

Il numero di dipendenti che lavorano da casa è aumentato a un livello senza precedenti, sia in Italia che negli altri Paesi europei: tuttavia è discutibile se lavorare da casa abbia effettivamente migliorato l'equilibrio tra lavoro e vita privata durante un periodo in cui scuole e servizi per l'infanzia sono stati chiusi e la quantità di lavoro non retribuito è cresciuta massicciamente.

Come sottolineato da Save the Children e Alleanza per l’infanzia, congedo parentale straordinario, lavoro a distanza laddove possibile e voucher babysitter pur rappresentando strumenti di gestione dell’emergenza non sono utilizzabili in tutte le aziende o da parte di tutte le categorie di lavoratori e lavoratrici, hanno un costo per chi li adotta e hanno elevati rischi di svantaggiare ulteriormente sia i bambini con diverse risorse familiari – dato che non rappresentano una garanzia di opportunità educative e diritto all’istruzione – sia le madri sul mercato del lavoro, inoltre «in presenza continuativa di figli piccoli e/o di necessità di farsi carico anche dell’accompagnamento alla didattica online, il lavoro a distanza più che uno strumento di conciliazione costituisce una forte intensificazione del doppio lavoro». Il lavoro da remoto non è un congedo, ha implicato una riorganizzazione complessiva della vita quotidiana e i correlati rischi di intensificazione dei carichi e estensione dell’orario di lavoro (Eurofound) sono stati una scelta, più forzata che volontaria, che ha riguardato solo una minoranza in settori di alto livello.

Le politiche contano nel ridefinire l’impatto della crisi sulle famiglie e l’equità, e non tutte le famiglie hanno vissuto la pandemia nello stesso modo. I piani nazionali di ripresa prevedono la prospettiva dell’uguaglianza di genere

Se in questi settori, come ad esempio nelle università, il Covid19 ha reso più urgente trasformare le modalità di lavoro, le ricerche disponibili mostrano rischi aggiuntivi per le lavoratrici che si trovano in posizioni più svantaggiate del mercato del lavoro, come nel caso delle donne migranti.In particolare per le migranti impiegate nel settore della cura è emerso il contrasto tra il loro riconosciuto ruolo di lavoratrici «essenziali» e la contemporanea esclusione dalle misure di supporto. Ulteriori stratificazioni nell’accesso alle misure di contenimento degli effetti negativi della pandemia hanno differenziato infatti lavoratrici (e lavoratori) migranti, come hanno evidenziato Raffaele Bazurli, Francesca Campomori e Chiara Marchetti: il cosiddetto «Decreto Rilancio» approvato il 20 maggio 2020 ad esempio ha previsto regolarizzazioni nei settori agroalimentare e domestico-assistenziale e non negli altri, escludendo diversi soggetti vulnerabili tra cui le donne vittime di tratta e le lavoratrici provenienti da Paesi senza obbligo di visto per ingresso (ad es. l’Ucraina).

Le politiche contano nel ridefinire l’impatto della crisi sulle famiglie e l’equità, e non tutte le famiglie hanno vissuto la pandemia nello stesso modo, come emerge anche dall’esperienza di altri Paesi. In Australia ad esempio le madri single hanno riportato vissuti soggettivi migliori delle madri in coppia e la politica di sostegno finanziario per chi aveva posti di lavoro temporaneamente sospesi aiuta a spiegare questo risultato. Allo stesso modo, in Canada e negli Stati Uniti i divari occupazionali di genere creati dalla pandemia si sono ridotti rapidamente con l’apertura delle scuole.

Secondo il report 2021 sull’equità di genere malgrado le donne siano in prima linea nell'affrontare la pandemia (il 76% degli operatori di assistenza sociale e sanitaria e l'86% degli operatori nei servizi sanitari sono donne e hanno assistito a un aumento senza precedenti del carico di lavoro, dei rischi per la salute e delle sfide all'equilibrio tra lavoro e vita privata), sono notevolmente più numerosi gli uomini negli organismi decisionali per rispondere alla crisi sanitaria. Delle 115 task force nazionali dedicate Covid-19 in 87 Paesi, inclusi 17 Stati membri dell'Ue, l'85,2% era composto principalmente da uomini, l'11,4% principalmente donne e solo il 3,5% aveva la parità di genere. A livello politico, solo il 30% dei ministri della Salute negli Stati dell’Ue sono donne. Allo stesso tempo, la task force della Commissione per la crisi Covid-19 è guidata dalla presidente von der Leyen e comprende altri cinque commissari, tre dei quali sono donne. Per monitorare i progressi in ciascuno dei 27 Stati membri nell’attuazione della Strategia per l’equità di genere 2020-2025, adottata l’anno scorso, la Commissione ha lanciato a marzo il Gender Equality Strategy Monitoring Portal.

Mentre le conseguenze della crisi sanitaria hanno evidenziato la necessità di cambiamenti strutturali dei sistemi di cura nella prospettiva del riequilibrio di genere e delle opportunità dei bambini, gli Stati membri dovranno spiegare alla Commissione in che modo i loro piani nazionali di ripresa contribuiranno a promuovere l'uguaglianza di genere e c’è grande attenzione per l’Italia che insieme alla Spagna è destinataria di circa la metà delle risorse complessive della Recovery and resilience facility, il quale costituisce circa il 90% del pacchetto Next Generation Eu. Il piano dell’Italia prevede sia indicatori qualitativi e quantitativi degli effetti di genere delle politiche (gender mainstream), sia interventi specifici diretti alla riduzione delle disuguaglianze di genere, in particolare nell’ambito istruzione e ricerca (soprattutto nelle discipline Stem), salute, investimenti, infrastrutture sociali e servizi per supportare l’occupazione femminile e politiche attive per il lavoro, inclusi percorsi formativi per riallineare domanda e offerta di lavoro in relazione alle twin transitions, cioè le transizioni ecologica e digitale per le quali la Commissione prevede vincoli di quote da destinare nel piano. La sfida che si apre è dunque delineare una strategia per promuovere l’equità efficace nel merito e nel metodo, integrata con gli interventi finanziati con il bilancio nazionale (come ad esempio l’assegno unico per le famiglie con figli).