Esattamente 12 mesi fa, il 17 marzo 2020, il decreto «Cura Italia» ha introdotto le misure emergenziali a sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici con figli sotto i 12 anni a seguito della sospensione dei servizi educativi per la prima infanzia e della chiusura delle scuole. In particolare, il primo e successivo provvedimento (il decreto «Rilancio» del 19 maggio 2020), oltre a rendere più «facile» lo smart working (anche se fino a ora abbiamo avuto più che uno smart working un lavoro da casa non regolato e diffuso in modo eterogeneo) ha introdotto due misure, tra di loro alternative.
La prima è stata il congedo «straordinario» di 15 giorni (esteso poi a 30 giorni) previsto per i genitori lavoratori (dipendenti privati, lavoratori autonomi e iscritti alla gestione separata) con figli minori di 12 anni, coperto economicamente con un’indennità pari al 50%. In alternativa al congedo i genitori-lavoratori hanno potuto beneficiare del «bonus babysitting», dapprima fissato nella somma di 600 euro, nei successivi provvedimenti esso è stato rivisto nell’entità e prolungato nel tempo. Potevano beneficiarne solo alcune categorie di lavoratori (dipendenti settore privato, iscritti gestione separata, autonomi iscritti Inps, dipendenti pubblici del solo settore sanitario). Erano esclusi i lavoratori del comparto pubblico, in primis, le insegnanti e gli insegnanti.
Le misure prese per aiutare le famiglie con figli nell’emergenza pandemica non hanno colto appieno, né durante il primo lockdown né quando c’è stata una parziale ripresa delle attività produttive, la portata e le conseguenze sia per i genitori, in particolare le madri, della sovrapposizione tra lavoro, cura e supplenza rispetto alla scuola, sia per i bambini e i ragazzi del rinvio dei bisogni educativi e di socialità.
A fronte della chiusura delle scuole e nel momento in cui la rete di solidarietà familiare intergenerazionale è diventata essa stessa un fattore di rischio, la questione della conciliazione non è stata seriamente affrontata. Si pensi alla facilità con cui si è giunti alla soluzione dello smart working per conciliare famiglia e lavoro. Inoltre, i bisogni di cura, educativi e di socialità dei figli non sono stati riconosciuti e, in assenza del sostegno dei nonni, sono stati scaricati interamente sulle famiglie.
A 12 mesi dall’inizio della pandemia ed esattamente un anno dopo il Dpcm «Cura Italia», con l’arrivo della terza ondata di Covid-19 con famiglie ormai stremate, con una nuova e generalizzata chiusura della scuola e dei servizi, arriva il decreto-legge 12 marzo 2021. Il nuovo decreto non solo manca ancora una volta di una visione di insieme e di più lungo periodo capace di dare risposte soddisfacenti ai bisogni di conciliazione che vivono le famiglie con figli, ma, in continuità con i provvedimenti dell’anno appena trascorso, non lascia intravedere una prospettiva capace di costruire le condizioni per uno sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale, economico e demografico che rimetta al centro la parità di genere e le opportunità per le nuove generazioni.
Il nuovo decreto non cambia la rotta. Anzi, alcuni articoli riducono le opzioni a disposizione delle famiglie. Innanzitutto, perché si considera lo smart working (o meglio il lavoro da casa) uno strumento di conciliazione e lo si concepisce come alternativo al congedo straordinario. Se uno dei due genitori lavora da casa, pur con figli troppo piccoli per poterlo effettivamente fare, l’altro non può richiedere il congedo. Ciò appare un controsenso rispetto all’obiettivo sia della conciliazione, sia di assicurare ai figli se piccoli adeguate cure, se in età scolare, un accompagnamento attivo nelle attività di Dad. Inoltre, il modo con cui si continua a regolare il congedo risulta poco attento al riequilibrio di genere della cura, non prevedendo alcun incentivo per favorirne l’utilizzo anche da parte dei padri. Il congedo è anche molto penalizzante per le famiglie con redditi modesti, che si vedono decurtato il 50% del salario.
Il bonus baby-sitting che già nell’ edizione del 2020 (prima e seconda edizione) appariva limitato sia rispetto ai bisogni di conciliazione, sia rispetto al sostegno e alla cura dei figli, nel disegno del nuovo decreto appare ancora più restrittivo perché destinato ai soli lavoratori autonomi e al personale dei settori essenziali (lavoratori iscritti gestione separata Inps, i lavoratori autonomi, il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, dipendenti del settore sanitario ecc.). Invece una madre che lavora come commessa o un padre che lavora come operaio non può farne richiesta. Continua ad apparire anche molto limitato il disegno complessivo della misura perché l’importo non cambia in relazione all’età e al numero dei figli e perché non ha alcuna possibile valenza educativa. Appare anche preoccupante una sua eventuale erogazione a favore dei nonni, come nell’edizione del 2020, anche per le contraddizioni che solleverebbe sul piano sanitario e della sicurezza.
In sintesi, le misure emergenziali previste per aiutare le famiglie e offrire sostegni di cura, educativi e opportunità di socialità anche extra-familiari per i bambini continuano a non cogliere la portata e le conseguenze di tali misure, scaricando ancora una volta sulle famiglie i costi e la soluzione dei bisogni educativi e di socialità dei figli. In particolare preoccupano le conseguenze su quelle madri che hanno minori risorse economiche e culturali e che saranno costrette a lasciare il lavoro più di quanto gli ultimi dati Istat indichino. È quanto sottolineano anche alcune associazioni, tra cui l’Alleanza per l’Infanzia e le reti che si raccolgono in EducAzioni, che oltre a esprimere preoccupazione per la chiusura dei servizi educativi e della didattica in presenza, chiedono al governo di ripensare al disegno delle misure straordinarie a sostegno delle famiglie nel periodo dell’emergenza, per impedire ricadute ulteriormente penalizzanti sulle madri e sui bambini/ragazzi di classi sociali più svantaggiate. In dettaglio, rispetto alle varie misure previste nel nuovo decreto, Alleanza per l’Infanzia chiede per quanto riguarda lo smart working di rivalutare il concetto di incompatibilità con la domanda di accesso per il bonus baby-sitting o con il congedo; per quanto riguarda il congedo straordinario di riconsiderare l’ammontare dell’indennità (riducendo la decurtazione) e prevedendo forme di incentivo economiche capaci di coinvolgere maggiormente anche i padri nell’utilizzo. Infine per quanto riguarda il bonus babysitting, Alleanza per l’infanzia chiede di ripensare al target dei beneficiari: estendendo la platea dei potenziali beneficiari a tutti i genitori lavoratori con figli sotto i 14 anni, indipendentemente dal settore in cui lavorano e dalla modalità lavorativa. In relazione a quest’ultima misura, anche alla luce di quello che emerge dall’analisi dei dati sui beneficiari del 2020, sarebbe opportuno pensare ad un provvedimento che non favorisca rapporti di lavoro totalmente informali, come è successo nel 2020 con la possibilità di utilizzo del bonus babysitting per compensare i nonni. Basterebbe chiedere che il bonus venga destinato ad effettivi prestatori d’opera, anche per favorire l’occupazione, per quanto temporanea. Sarebbe inoltre auspicabile lasciare alle famiglie la scelta tra le due misure, indipendentemente dalla modalità di lavoro.
Per ridurre il disagio che stanno vivendo i bambini, gli adolescenti e le loro famiglie, vanno riaperti i servizi educativi e le scuole al più presto e dappertutto. Non si capisce perché Paesi anche molto vicini a noi, come la Francia, riescano a chiudere tutto tranne la scuola e noi, viceversa, a un anno dall’inizio della pandemia non si riesca a prevedere gli strumenti necessari per la possibile ripresa della scuola dopo Pasqua, cioè tra due settimane.
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