Da grande mi piacerebbe fare il corrispondente dall’Italia per qualche giornale estero, grande o piccolo, su carta o in rete. Un po’ perché il corrispondente appartiene alla nobile e un po’ misteriosa categoria dei mediatori: come gli ambasciatori, i contrabbandieri e i medium, tutti dediti ai traffici oltreconfine. Un po’ perché basta confrontare i giornali italiani e quelli esteri per rendersi conto che la corrispondenza dall’Italia è ormai un sottogenere della letteratura fantastica: lo scaffale sotto il picaresco, in alto a destra, accanto alla fantascienza. In effetti, come ci sembrano seriosi i giornali esteri, in confronto ai nostri; e come devono sembrare rutilanti i nostri all’estero, almeno per quei pochi che hanno il fegato di comprarli, salvo nasconderli dentro l’ultimo numero di "Playboy".
Prendiamo il "Nouvel Observateur", rivista francese serissima che però da anni affida le proprie corrispondenze dall’Italia a Marcelle Padovani, la Natalia Aspesi transalpina: detto con sincera ammirazione dell’una e dell’altra. Anche questa settimana, in un numero dedicato all’affaire Dominique Strauss-Kahn (La descente aux enfers, la sobria titolazione), non manca un resumé della storiaccia di Ruby: roba dell’Ottocento, per il lettore italiano. Eppure, anche questo è una sorta di omaggio al nostro new new journalism: quel misto di gossip con annessa indignazione che ci manca tanto quando siamo all’estero. Ma tranquilli, ben presto anche i giornali stranieri si adegueranno ai nostri; la vita pubblica, ormai, imita l’arte dappertutto, anche se invenzioni come Vittorio Sgarbi e i Responsabili restano per ora inarrivabili.
Insomma, cosa scriverei oggi se fossi un corrispondente dall’Italia?
Il clima primaverile induce alla pigrizia, dunque mi spenderei l’ultimo capitolo della soap berlusconiana. La notizia è che dopo essere riuscito nell’impresa più memorabile della sua carriera – far vincere a Milano una coalizione di centrosinistra guidata da un ex di Rifondazione comunista – l’ex grande comunicatore è stato zitto tre giorni, alimentando le illazioni più incontrollate. Qualcuno sosteneva addirittura che si fosse imposto moderazione, ma era molto più plausibile un’altra voce: che i suoi collaboratori lo tenessero legato e imbavagliato in uno sgabuzzino di Arcore.
Non appena è riuscito a liberarsi, infatti, si è immediatamente attaccato al telefono e ha convocato tutti i direttori dei telegiornali che controlla: una cosa, sia detto fra parentesi, che da sola richiede una buona mezza giornata. Poi è apparso in video, con accanto bene in vista il suo simbolo elettorale, e ha straparlato a volontà, sul Tg1 bielorusso addirittura in apertura, facendo crollare gli ascolti: sancendo, in questo modo, anche la fine della mitica par condicio, provvedimento che ormai serve solo a punire i seguaci di Fabio Fazio, infliggendo loro l’ennesima maratona musicale di Daniel Barenboim.
Le promesse dello statista, come da copione collaudato, sono state lasciate per l’ultima ora, in modo da non apparire definitivamente inverosimili: due ministeri-ombra a Milano, uno a Napoli, accuratamente scelti fra quelli più improbabili (Riforme, Semplificazione e Pari opportunità); no tax area nelle aree dell’Occidente a più alta concentrazione di evasione fiscale; annullamento di tutte le multe per divieto di sosta e, inavvertitamente, di tutti i reati a sfondo sessuale. Il resto, un diluvio di calunnie contro il povero Giuliano Pisapia: il quale però, per una sorta di nemesi della comunicazione, si è subito strappato di dosso gli abiti che coprivano il costume da Superman e ha sventato il furto di un’auto. Solo che la mia carriera di corrispondente dall’Italia rischia di finire qui, prima ancora di cominciare: perché i miei ipotetici lettori esteri, a questo punto, hanno sicuramente già smesso di credermi da un pezzo.
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