Se durante il balletto notturno delle proiezioni ci si può trincerare dietro a un vago “è troppo presto per esprimersi”, la mattina dopo il voto la realtà cinica e bara obbliga alle prime valutazioni. Intanto, un’occhiata va al dato sulla partecipazione. In calo, come previsto. Ma con differenze assai significative lungo la penisola. Se la media nazionale indica un meno cinque (62,14% contro il precedente 67,42%), in alcune regioni i cali appaiono decisamente più vistosi: -9% in Piemonte, attorno al -11% in Lombardia ed Emilia-Romagna, -10% in Sardegna, ad esempio. Mentre spicca – e, visto il risultato che premia nettamente Virginia Raggi, non è certo un caso – il virtuoso Lazio (+2%), con il dato di Roma che arriva quasi a un +3 e mezzo.
Nelle cinque città più importanti di questa tornata amministrativa che rinnova oltre 1.300 amministrazioni comunali gli shock non sono mancati, a dimostrazione che la politica italiana, per quanto possa apparire respingente, sorprende spesso più del calcio. Nulla o quasi, in definitiva, è ormai prevedibile a tavolino, se non – in pochi e circoscritti casi – per sommi capi.
Milano non regala il distacco sperato al candidato scelto dal centrosinistra e ai suoi sponsor nazionali; tanto che meno di un punto lo divide da Stefano Parisi. Uno sguardo retrospettivo alla primarie milanesi che fecero prevalere Sala su Francesca Balzani è necessario e utile. Così come sarebbe necessario che il Partito democratico e il suo leader si ponessero qualche domanda sulla lungimiranza di una scelta che, per molti milanesi che hanno sostenuto durante il suo mandato l’amministrazione uscente, è apparsa quanto meno discutibile.
A Torino e Bologna il Pd ha puntato sull’usato sicuro. Nella capitale sabauda il sindaco uscente arriva a sfiorare il 42% (dopo avere impensierito parecchio il suo partito nel corso delle proiezioni notturne). Ma il Pd raccoglie a malapena il 30% dei consensi e, soprattutto, la candidata del M5S, da subito data per “pericolosa”, supera il 30%. Un ballottaggio il cui esito converrebbe non dare per certo. Dopo le proiezioni che verso le due di notte davano Merola sotto il 36%, il Pd bolognese si deve accontentare di un 40% scarso per il suo candidato; ma con non poche preoccupazione per doversi confrontare tra quindici giorni non con il candidato grillino – che in via Rivani avrebbero senz’altro preferito – ma con la candidata leghista Borgonzoni a più riprese sostenuta dal capo lombardo Salvini, che in campagna elettorale non ha lesinato in provocazioni. Quando saranno disponibili i dati, sarà interessante vedere i voti ottenuti dai due candidati impresentabili della lista Borgonzoni, l’una che invoca i forni per i migranti, l’altro che si offre ai bolognesi proprietari di casa con manganello e attrezzi vari per sgomberare inquilini indesiderati.
A Napoli, dove il sindaco uscente si consola con un 42% ottenuto grazie al sostegno di molte liste (la lista di De Magistris si ferma al 13 e mezzo), il Pd non arriva neppure al ballottaggio, racimolando un misero 12% (scarso), che risulterà però decisivo al ballottaggio.
Di Roma si è detto: il Movimento 5 Stelle ottiene un risultato a lungo ipotizzato ma mai realmente sperato. Anche perché, se il 19 giugno prossimo venisse confermato il primo posto della giovane Virginia Raggi, Roma poi toccherà governarla. Anche qui l’altalena notturna delle proiezioni ha fatto paura a molti, soprattutto quando il secondo posto sembrava in mano a Giorgia Meloni, il cui ottimo risultato, 20,5% e oltre, mette in ombra non solo il ferrarista Marchini ma la stessa credibilità del centrodestra così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni, a cominciare dal vecchio e sempre sorridente Silvio Berlusconi.
In conclusione, per molti la pagella finale di questo primo turno si rivela assai amara, a cominciare dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Anche perché, se in astratto il voto per le comunali nulla c’azzecca (come avrebbe detto Di Pietro) con il referendum di ottobre, in concreto sul quel voto costituzionale peserà eccome.
A proposito, per i nostalgici dei bei tempi andati c’è una buona notizia: Clemente Mastella, l’inossidabile, è riuscito a portare al ballottaggio il candidato Pd e rischia di guidare la “sua” Benevento per i prossimi cinque anni.
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