Le elezioni europee del 26 maggio hanno ampiamente confermato, in Spagna, gli orientamenti emersi dalle politiche del 28 aprile scorso. La vittoria del Psoe e la sconfitta del Pp sono state nette, la crisi di Podemos altrettanto evidente. A Ciudadanos non è riuscito il sorpasso sui popolari e il partito di destra radicale Vox non solo non ha sfondato, ma ha perso 4 punti percentuali rispetto alle politiche del mese prima. I socialisti, con il 32,8% dei voti, hanno eletto all'Europarlamento di Strasburgo 20 deputati (+6). I popolari con il 20,1% ne hanno eletti 12 (-4). Terzo partito si è confermato Ciudadanos, con il 12,7% dei consensi e 7 seggi (+5), Podemos il quarto con il 10,05 % e 6 seggi (-5), mentre Vox, con il 6,2 % dei voti, ha conquistato per la prima volta 3 seggi.
Facendo un confronto con le elezioni precedenti il Psoe ha guadagnato sulle europee del 2014 (quando aveva ottenuto il 23% dei consensi), sulle politiche del 2015 (22%), del 2016 (22,6%) e anche su quelle del 28 aprile (28,6%). Il Pp ha recuperato qualcosa dopo il tracollo delle ultime politiche (16,7%), ma resta distante dai risultati delle europee del 2014 (26%), delle politiche del 2015 (28,7%) e soprattutto del 2016 (33,1%). Di lieve conto l’arretramento di Ciudadanos rispetto alle legislative del 2015 (13,9%), del 2016 (13%) e del 2019 (15,8%), mentre ben più rilevante è stata l’emorragia di voti da Podemos rispetto al 2015 (20,6%), al 2016 (21,1%) e anche rispetto al voto del 2019 (14,3%).
Trainata dalle contemporanee elezioni per il rinnovo dei parlamenti di 12 Comunità autonome e di tutti le amministrazioni comunali, l’affluenza alle urne è stata elevata (63,3%), nettamente superiore a quella delle europee del 2014 (45,8%). Partecipazione superata solo da quattro Paesi.
I socialisti si sono ripresi una parte dei voti andati in precedenza a Podemos, che ha pagato le proprie divisioni interne e la difficile posizione assunta di fronte al problema catalano (favorevole al referendum, ma contraria all’indipendenza). I popolari hanno recuperato una parte dei consensi intercettati da Ciudadanos e da Vox, forse per la repentina conversione a U, verso il centro, del partito che il nuovo leader Pablo Casado aveva spostato decisamente a destra.
Passando alle Comunità Autonome, il Psoe è risultato il primo partito in 10 delle 12 Comunità Autonome in cui si è votato, superando in 7 di esse il Pp, che era stato il partito più votato nelle elezioni autonomistiche del 2015. Particolarmente clamorose sono state le sconfitte del Pp in alcune sue roccaforti (Castiglia e León, Comunità di Madrid, La Rioja). Complessivamente considerati, sempre rispetto alle elezioni del 2015, i socialisti hanno guadagnato 58 seggi, Ciuidadanos 44, i popolari ne hanno persi 71, Podemos 68 e Vox ne ha ottenuti per la prima volta 27.
I numeri dicono molto, ma in questo caso non dicono tutto. Con le eccezioni di Castiglia-La Mancia e dell’Estremadura, dove i socialisti hanno ottenuto la maggioranza assoluta e potranno governare in solitudine, in quasi tutte le altre realtà regionali i governi avranno bisogno, per insediarsi, di patti di investitura tra i partiti o di vere e proprie coalizioni. Ed è proprio su questo terreno che diversi i fattori entrano in gioco a complicare le cose. Non bisogna dimenticare che il leader socialista Pedro Sánchez per confermarsi alla guida del governo avrà bisogno dei voti di Podemos e, per non doversi rivolgere ai deputati dei partiti indipendentisti catalani, di un numero di astensioni superiore a quello dei voti contrari. Non è un mistero che Pablo Iglesias puntava a entrare nell’esecutivo di Madrid con dei ministri o, in subordine, almeno con delle personalità indipendenti che rappresentassero la sua area. Uscito ridimensionato dal voto europeo Podemos vede ora indebolite le sue capacità di esercitare pressione sui socialisti, che d’altra parte potrebbero rivolgersi a Ciudadanos, il cui leader, Albert Rivera, ha però posto un veto alla collaborazione con Sánchez. Lo stesso ordine di problemi riguarda la possibilità di varare i governi di quelle Comunità in cui il Psoe ha ottenuto la maggioranza relativa, ma sono i tre partiti di destra (Pp, Ciudadanos e Vox) ad aver raggiunto quella assoluta. Sapranno, e soprattutto vorranno, il Pp e Ciudadanos isolare la destra radicale o riproporranno la soluzione andalusa che ha consentito nel gennaio di quest’anno di portare alla presidenza del governo di Siviglia il popolare Juanma Moreno con i voti anche di Vox? E nel caso sia il modello andaluso a essere riproposto, sarà disponibile Vox al ruolo di figurante in governi che terranno fuori i suoi rappresentanti? E qualora lo fosse, che condizioni imporrà al Pp e Ciudadanos? E infine, Ciudadanos saprà resistere alle pressioni dei partner liberali europei al cui eurogruppo parlamentare aderisce, che spingono affinché il partito di Rivera eviti alleanze con i neofranchisti di Vox? Un segnale in questo senso è venuto dall’ex presidente del governo francese Manuel Valls che, presentato alle comunali di Barcellona da Ciudadonos ed eletto, ha minacciato di lasciare il partito qualora Rivera decidesse di affidarsi al voto di Vox. E non è da escludere che anche di questo abbia parlato con Macron il leader socialista volato a Parigi all’indomani del voto. Destinati all’irrilevanza a Strasburgo, i voti di Vox rischiano di essere determinanti in molte Comunità autonome, sempre qualora popolari e Ciudadanos non decidano di porre un argine alla propria destra.
Al centro dell’attenzione stanno in particolare la Comunità autonoma di Madrid, da 24 anni guidata dai popolari, e le due capitali, Madrid e Barcellona, dalle ultime amministrative guidate rispettivamente da Manuela Carmena e Ada Colau, in vario modo espressione del vento nuovo che aveva attraversato la politica spagnola dal movimento degli indignati in avanti.
Nella Comunità di Madrid, sebbene il Psoe abbia conquistato la prima posizione (37 seggi), sommando i seggi conquistati dall’ottimo risultato della lista Más Madrid di Carmena (20 seggi) e Podemos (7) la sinistra non raggiunge la maggioranza assoluta di 67 seggi necessari per governare, che invece superano assieme il Pp (30), Ciudadanos (26) e Vox (12). Con numeri diversi, una situazione analoga è quella uscita dalle urne per quanto riguarda il comune di Madrid, dove Psoe (8 consiglieri) e Más Madrid (19) restano al di sotto del numero dei consiglieri ottenuti dal Pp (15), Ciuidadanos (11) e Vox (4).
Diversa, più complessa e in bilico appare la situazione di Barcellona dove i due partiti indipendentisti, Esquerra Republicana de Catalunya (ErC) e Junt, hanno ottenuto rispettivamente 10 e 5 consiglieri, perdendone 3 rispetto alle precedenti comunali; la lista di Ada Colau, Barcelona en Comú, ha conquistato anch’essa 10 consiglieri e 8 ne hanno eletti con un forte incremento di voti i socialisti catalani, mentre il Pp e Ciudadanos, ne hanno ottenuti rispettivamente 2 e 6. Considerato che la maggioranza si ottiene con 21 voti e che né gli indipendentisti, né la sinistra e tantomeno la destra hanno i numeri per raggiungerla, la legge prevede che dopo due votazioni, sia il rappresentante del partito di maggioranza relativa ad occupare la carica di sindaco. Salvo colpi di scena dell’ultima ora, non è improbabile che tocchi allora a Ernest Maragall, che alla testa di ErC ha ottenuto un pugno di voti in più della lista guidata da Ada Colau.
Da segnalare infine le notevoli affermazioni dell’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont e di Oriol Junqueras rispettivamente alla guida di JxCat-Junts (28,5%) e di ErC-Ara Repúbliques (21,1%), entrambi eletti al Parlamento europeo.
Dalla Spagna soffia un venticello di sinistra. Il Psoe è diventato il primo partito socialista europeo. Complessivamente considerato il voto plurimo del 26 maggio ha mostrato un sistema politico assestato su un quadripartitismo instabile nel quale i due partiti tradizionali recuperano consensi (il Psoe rispetto a Podemos) o li perdono, mantenendo tuttavia uno zoccolo duro (il Pp rispetto a Ciudadanos). Considerando che l’unico partito sovranista ed euroscettico era Vox, il voto degli spagnoli ha lanciato un inequivocabile segnale di adesione al progetto europeo. Qualche volta l’erba del vicino è davvero più verde.
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