Il futuro al lavoro. Andrea Nahles, da poco meno di un anno presidente della Spd, sta tentando di far uscire il suo partito dalla crisi nella quale si trascina ormai da anni. Una crisi confermata dai sondaggi che danno ormai i socialdemocratici terza forza politica dopo i conservatori e i Grünen e a rischio di essere superati dalla stessa Alternativ für Deutschland. Per invertire questa tendenza, Nahles ha intenzione di innovare profondamente il programma del partito e ha già avviato una discussione interna con lo slogan “Zukunft in Arbeit” (il futuro nel lavoro).
Lasciamo per ora da parte la questione del se e del come la Spd riuscirà a far convivere queste proposte – molte delle quali sono già state valutate molto negativamente dai vertici della Cdu – con la sua presenza in un’alleanza di governo che, almeno nel testo del Koalitionsvertrag, non prevede moltissimi degli interventi chiesti dalla socialdemocrazia. Anche perché, d’altro canto, alla Spd serve tempo, quantomeno per comunicare agli elettori queste nuove proposte: il partito di Nahles è indubbiamente l’ultimo a volere adesso una crisi di governo che condurrebbe a nuove elezioni (catastrofiche per la socialdemocrazia).
Il primo pacchetto di riforme che la Spd ha presentato lunedì scorso (Un nuovo stato sociale per un nuovo tempo) è dedicato proprio al lavoro e, in particolare, al superamento di gran parte delle famose riforme di Schröder, la ormai celebre Agenda 2010.
A fare da perno del sistema è un diritto al lavoro (Recht auf Arbeit) con il quale la Spd intende schierarsi decisamente contro un reddito di base o di cittadinanza (Grundeinkommen). Diritto al lavoro significa che «la comunità solidale si obbliga a occuparsi di ogni singolo membro e rendere possibile ad ognuno lavoro e partecipazione, invece di sottrarsi da questa responsabilità con un reddito di base». Il lavoro resta, dunque, elemento centrale anche nell’epoca della digitalizzazione e del mutamento tecnologico: «salari equi e buone condizioni di lavoro restano anche per il futuro la chiave di una vita autodeterminata». Tutela e dignità del lavoro si traducono in proposte concrete: salario minimo (approvato proprio dalla Grande coalizione a partire dal 2015 e fissato a 8,50 euro, attualmente è di 9,19 euro e, in prospettiva, la Spd lo fissa a 12 euro, misura che dovrebbe coinvolgere poco meno di 10 milioni di lavoratori), maggiore centralità dei contratti di categoria (tramite vantaggi fiscali per le imprese che li adottano), rafforzamento della codecisione (Mitbestimmung) nei luoghi di lavoro, provvedimenti ad hoc per le nuove forme di lavoro autonomo (in particolare quelle delle piattaforme online) che garantiscano «diritti e condizioni minime di lavoro, come una paga minima e protezione sociale».
C’è, poi, l’altra gamba del sistema (per ragioni di spazio non ci soffermiamo sugli interventi previsti per la famiglia, come un’assicurazione universale per i bambini), quella rivolta a chi non lavora (e non accede quindi ai benefici previsti dalla tutela della disoccupazione che i lavoratori stessi pagano mensilmente con le trattenute sulla basta paga) o a chi, pur lavorando, non guadagna a sufficienza da garantirsi una vita dignitosa.
Qui si prevede il superamento del sistema dell’Hartz IV con un nuovo Bürgergeld (diciamo una sorta di reddito minimo garantito) fondato su tre presupposti. 1) È privo di sanzioni, quantomeno di quelle senza senso e vergognose: si pone ovviamente subito il problema, per ora non chiarito del tutto, di quali siano queste sanzioni. 2) È più attento alla storia professionale di ogni singolo cittadino, per evitare che debba essere costretto ad accettare ogni proposta di lavoro. Infine, 3) rende possibile per i titolari di questa prestazione di disporre comunque di piccoli patrimoni personali, mentre oggi chi riceve l’Hartz IV è obbligato a utilizzarli (quasi) completamente (finendo quasi sempre per peggiorare la propria condizione, diventando sempre più povero).
Si tratta di una modifica più letterale che sostanziale: il superamento del sistema di Schröder del fördern und fordern (incentivare e pretendere) avviene tramite altre formulazioni, tutto sommato abbastanza simili. I cittadini, ad esempio, sono senz’altro titolari dei diritti alle prestazioni dello Stato sociale ma sono anche investiti da precisi obblighi e responsabilità. La ragione è evidente: in un sistema che fa del lavoro il perno con il quale assicurare agli individui libertà e autodeterminazione, quelli che non lavorano vanno inseriti, quanto prima, in un percorso di riqualificazione professionale o messi nella condizione di tornare a lavorare. La Spd, però, tramite l’innalzamento del salario minimo vorrebbe combattere il fenomeno, oggi stabile ma comunque molto consistente, dei salari bassi o bassissimi e vorrebbe affidare i lavoratori che recepiscono il Bürgergeld (magari perché il loro salario è comunque troppo basso) alla mediazione dell’Agentur für Arbeit e non più degli uffici del Jobcenter (la cui asfissiante e irrazionale burocrazia è particolarmente odiata). In questo modo dovrebbe essere limitata il vero problema dell’Hartz IV: un enorme regalo alle imprese, tramite l’intervento dello Stato che mette di tasca propria una certa quota di salario (che dunque, nella sua quota di spettanza alle imprese, resta molto basso), senza che i lavoratori abbiano ricevuto alcunché in cambio. Lo testimonia il dato in base al quale i disoccupati sono diminuiti ma sono aumentati coloro che pur lavorando fanno domanda di Hartz IV.
In attesa di leggere anche le altre proposte è possibile fare due valutazioni. Innanzitutto Nahles sta riuscendo, lentamente, a dare la propria impronta al partito: superando razionalmente e senza inutili estremismi quanto andava superato delle riforme del 2003. Ci sono certamente ancora punti oscuri – come ha fatto notare il professor Butterwegge vicino alla Linke – ma nella sostanza è evidente che la Spd si stia confrontando con maggiore chiarezza e senza inutili affanni o estremismi con il proprio (recente) passato. Del resto che le riforme del 2003 abbiano bisogno di essere riviste e riaggiornate è un fatto ormai acquisito. Riacquistando alcuni tratti tipici della socialdemocrazia classica, a partire dalla centralità dei lavoratori e delle loro rappresentanze: è un inizio indubbiamente interessante, seppur segnato da alcune contraddizioni e forse non sufficiente a superare l’attuale crisi.
Perché ciò che ancora lascia aperto più di un dubbio sulla consistenza di queste proposte è il rapporto della Spd, più che con la propria storia, con il futuro: questa centralità del lavoro e dei lavoratori come si traduce in una proposta politica complessiva adatta al contesto internazionale che si è venuto a determinare negli ultimi anni? Qual è, ad esempio, la declinazione europea di queste proposte? Come ci si relaziona ai colossi economici che operano in Europa, come Amazon, il cui fondatore ha dichiarato proprio in Germania l’inutilità dei sindacati?
Ma ancor più stringente appaiono anche altre questioni: il ruolo dello Stato non solo nelle prestazioni sociali come il Bürgergeld ma anche nella tutela e nell’erogazione di beni comuni, a partire dal patrimonio immobiliare, dal quale lo Stato tedesco si è ritirato negli ultimi decenni con la conseguenza di un’impennata degli affitti in un Paese storicamente di affittuari e non di proprietari (Il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung segnala che il rischio di povertà è cresciuto enormemente proprio tra chi ha una casa in affitto). Le proposte della Spd permettono certamente di riaprire una discussione politica importante con le altre forze progressiste tedesche. Ma, almeno per ora, appaiono più dettate dalla gestione dell’emergenza che da una chiara indicazione di rotta.
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